“Il mio papà ha una gamba sola”: quando i limiti diventano magie

Un Laboratorio sulle emozioni

Psicologia e scuola di Novembre-Dicembre: la scuola è #cittadinanza

Autismo – strumenti e proposte da “Psicologia e Scuola”

Siamo tutti uguali ma diversi

Primi giorni di scuola

Gioco e cresco con gli altri

Conoscersi e riconoscersi

Lo spazio nella scuola dell’infanzia è il luogo nel quale si concretizzano le relazioni e i rapporti educativi, il contesto carico di significati affettivi, di connotazioni educative e formative, dove quello che ha significato è come ci si sente al suo interno e dove ogni bambino, qualunque sia la sua condizione, sperimenta e costruisce la propria identità. L’ambiente, così come viene organizzato e strutturato, parla, fa accoglienza; gli spazi presentano la scuola: infatti è attraverso di essi che si comunicano implicitamente modi di stare, di muoversi e parlare con gli altri, di assumere abitudini e piccole regole di convivenza (Penso, 2018). Il luogo nel quale i bambini vivono e lavorano, secondo com’è pensato e predisposto, promuove o meno l’apprendimento; gli spazi ben organizzati possono favorire indirettamente l’autonomia dei bambini, sviluppare comportamenti esploratori, generare sicurezza e serenità. Questo, chiaramente, vale anche per gli spazi esterni, a contatto con la natura, che costituiscono elementi potenzialmente molto favorevoli (Bortolotti et al., 2014). Rappresentano, per dirla con un linguaggio mutuato dall’ICF, dei facilitatori o – al contrario – delle barriere per l’apprendimento. Per esempio, una disposizione dei giochi ben visibile e accessibile faciliterà l’organizzazione di attività ludiche spontanee di vario tipo, mentre una strutturazione degli arredi poco flessibile e modificabile a seconda delle attività tenderà a offrire ai bambini contesti di apprendimento limitati e ripetitivi.

AttivitàLa successione delle attività, a questo livello scolastico, è utile che venga organizzata sulla base di specifiche routine, ossia di compiti e situazioni ricorrenti in grado di scandire la vita quotidiana: si tratta di azioni estremamente importanti perché accompagnano e sottolineano quello che si propone a scuola, creano un clima, trasmettono messaggi, influiscono sul comportamento dei bambini. Le esperienze dei gesti quotidiani, articolate in routine, possono sembrare delle piccole cose, ma in realtà forniscono non solo conoscenze pratiche, in quanto accrescono le abilità, facilitano le interazioni e consentono di leggere e reinterpretare il mondo. Le attività si caratterizzano in maniera positiva e motivante per i bambini anche in relazione alla disponibilità di materiali, strutturati o naturali che siano, i quali rappresentano dei mediatori fra il mondo interno dei bambini e la realtà concreta. Con la loro varietà essi offrono occasioni continue di esplorazione, di ricerca, di curiosità, di manipolazione; attivano processi di natura logica; permettono la conquista di una maggiore sicurezza e di una prima organizzazione delle conoscenze, ma anche capacità di riordino e classificazione. Proprio come gli spazi, la tipologia dei materiali, la loro ricchezza&nbsp;e forma, qualità e quantità, la loro predisposizione, la sistemazione e le modalità di offerta, la possibilità o meno da parte dei bambini di poterli scegliere in modo autonomo, raccontano la pedagogia di una scuola, le scelte e i pensieri educativi degli insegnanti (Penso, 2018). In sintesi, bisogna progettare attività molto flessibili che possano essere svolte anche in piccoli gruppi, all’interno dei quali i bambini che già frequentano dagli anni precedenti rappresentino una presenza rassicurante per i più piccoli e per coloro che possono presentare bisogni particolari. È importante coniugare aspetti routinari con elementi di novità e mettere a disposizione materiali e giochi che siano motivanti e stimolino all’iniziativa. Vanno privilegiate, almeno inizialmente, attività di breve durata, in modo da dare comunque a ogni allievo l’idea del compito concluso, dell’aver finito e prodotto qualcosa. In questo modo si rinforza il senso di autoefficacia e di stima di sé, si potenzia la motivazione a fare e si instaura la prassi o la routine della pausa, del riposo, del gioco alla fine di un’attività.

La prospettiva dell’inclusione sgombra il campo da un orientamento purtroppo ancora presente e sicuramente foriero di risultati poco positivi: quello che possa esistere un’educazione particolare per il bambino con disabilità, magari da delegare a una figura specifica che si occupi di lui. Come ho messo in evidenza in uno specifico lavoro (Cottini, 2017), orientarsi verso l’inclusione significa, invece, dare attenzione non soltanto alle strategie da mettere in campo per soddisfare le esigenze di particolari allievi, ma volgere&nbsp;lo sguardo anche verso l’ambiente scuola, il clima della sezione o della classe, la differenziazione didattica, la progettazione condivisa, la promozione delle strategie collaborative, la conoscenza e gestione delle emozioni. Fare inclusione vuol dire quindi rendere inclusivi i contesti, i metodi e gli atteggiamenti per tutti.

Le competenze inclusivePerché questo possa avvenire sono richieste, come abbiamo già detto, competenze inclusive in tutti gli insegnanti, ma anche un ampio ventaglio di conoscenze e di capacità metodologico-didattiche speciali, che fanno parte del bagaglio specifico dell’insegnante specializzato per il sostegno. In particolare mi riferisco alla conoscenza delle diverse situazioni di disabilità, al possesso di strategie didattiche per favorire apprendimenti funzionali anche in allievi con gravi compromissioni, alle metodologie di facilitazione della comunicazione, alle procedure per contenere i problemi comportamentali e così via. In questa prospettiva, alcuni elementi di tipo metodologico possono essere posti in primo piano pensando al lavoro in contesti eterogenei, magari caratterizzati anche dalla presenza di allievi in situazione di disabilità. A livello di scuola dell’infanzia appaiono centrali le seguenti linee operative:<ul><li style="text-align: justify;">la dimensione ludica come elemento in grado di includere; </li><li style="text-align: justify;">l’organizzazione degli spazi, dei tempi e delle attività.</li></ul>

attraverso l’ambiente fisico, la scelta di arredamenti e di oggetti, si deve creare una disposizione funzionale e invitante, gradevole per essere abitata e vissuta dai bambini. Per quanto riguarda gli allievi in situazione di disabilità questa esigenza è ancora più avvertita. L’importanza dell’organizzazione dell’ambiente è stata fortemente enfatizzata dal programma Teacch (Schopler, Mesibov, 1995; Cottini, 2011) per allievi con disturbi dello spettro autistico. Per loro rappresenta una condizione essenziale per comprendere il contesto, conferirgli stabilità ed essere in grado di operare in esso. Per i bambini con disabilità intellettiva la situazione non presenta le stesse caratteristiche: lo spazio, come per tutti, ha importanza in quanto è in grado di facilitare il loro coinvolgimento e farli partecipare più agevolmente, rendendoli maggiormente attivi nel loro agire quotidiano. Oltre ciò, proprio in considerazione della presenza della disabilità intellettiva, rallenta la capacità di adattamento rapido ai cambiamenti, per cui poter disporre di un ambiente rassicurante e comprensibile è una base essenziale per costruire apprendimenti significativi.

<ul><li style="text-align: justify;">Bondioli A. (2004), «Promuovere dall’interno», in Bondioli A., Ferrari M. (a cura di), Educare la professionalità degli operatori per l’infanzia, 61-77, Junior, Bergamo.</li><li style="text-align: justify;">Bortolotti A., Pasqualotto A., Tomasi P., Venuti P. (2014), «Alla “Scuola inclusiva nel Bosco”, per essere liberi di crescere assieme», Italian Journal of Special Education for Inclusion, 2, 185-199.</li><li style="text-align: justify;">Chiappetta Cajola L., Rizzo A. (2014), «Gioco e disabilità: l’ICFCY nella progettazione didattica inclusiva nel nido e nella scuola dell’infanzia», Form@re - Open Journal per la formazione in rete,&nbsp;14, 3, 25-42, <a data-cke-saved-href="https://oaj.fupress.net/index.php/formare/article/view/3500/3500" target="_blank" href="https://oaj.fupress.net/index.php/formare/article/view/3500/3500">https://oaj.fupress. net/index.php/formare/article/view/3500/3500</a> (verificato il 15 luglio 2020).</li><li style="text-align: justify;">Cottini L. (2011), L’autismo a scuola. Quattro parole chiave per l’integrazione, Carocci, Roma.</li><li style="text-align: justify;">Cottini L. (2017), Didattica speciale e inclusione scolastica, Carocci, Roma. </li><li style="text-align: justify;">Cottini L. (2019), Vincere le sfide con la sindrome di Down, Anicia, Roma. </li><li style="text-align: justify;">Franceschini G., Borin P. (2014), Il curricolo della scuola dell’infanzia, Carocci, Roma.</li><li style="text-align: justify;">Mignosi E. (2016), «Educazione, convivenza e cittadinanza nella prima infanzia», in Tomarchio M., Ulivieri S. (a cura di), Pedagogia militante, diritti, culture, territori, 189-203, ETS, Pisa. </li><li style="text-align: justify;">OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) (2007), ICF-CY. Classificazione&nbsp;Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Versione per bambini e adolescenti, Erickson, Trento.</li><li style="text-align: justify;">Penso D. (2018), «Dal programma al curricolo», Zeroseiup, 1, 12-13. </li><li style="text-align: justify;">Schopler E., Mesibov G.B. (1995), Learning and Cognition in Autism, 137-156, Plenum Press, New York (tr. it. Apprendimento e cognizione nell’autismo, McGraw-Hill, Milano, 1998).</li><li style="text-align: justify;">Vygotskij L. S. (1933), «Play and Its Role in the Natural Development of the Child», in Bruner J.S., Jolly A., Sylva K. (a cura di) (1976), Play: Its Role in Development and Evolution, 537-554, Basic Boks, New York.</li></ul>

TempoPer i bambini della scuola dell’infanzia la percezione del tempo non è regolata dall’orologio: è un tempo da vivere, un tempo esistenziale che assume un valore significativo e costituisce una risorsa fondamentale rispetto alle esigenze di relazione e di apprendimento. Franceschini e Borin (2014), a questo proposito, sottolineano che i tempi del curricolo della scuola dell’infanzia possono essere orga- nizzati intorno a tre diverse unità di&nbsp;riferimento tra loro interdipendenti: l’anno scolastico, la settimana, la giornata tipo. L’anno scolastico è articolato in tre parti: una parte iniziale dedicata all’inserimento e all’accoglienza dei bambini dai tre anni e alla ricostruzione dei gruppi sezione; un periodo centrale inframmezzato dalle festività, deputato allo svolgimento di specifici progetti didattici; una parte finale dedicata alla conclusione temporanea o definitiva dell’esperienza scolastica. Anche la settimana scolastica può essere concepita come dotata di una relativa autonomia, poiché prevede un preciso punto iniziale e finale e un’interruzione di uno o due giorni tra una settimana e l’altra. La giornata-tipo, intesa come il livello temporale più percepibile dal bambino nel suo svolgimento routinario, è anch’essa caratterizzata da una parte iniziale dedicata all’accoglienza, una parte centrale connotata da una sequenza di attività specifiche più o meno formali, una parte finale orientata al commiato e al ricongiungimento con i genitori. La presenza della disabilità intellettiva è una condizione penalizzante per la comprensione di questa articolazione, in quanto la successione delle attività e la loro conclusione può diventare difficilmente identificabile se sostenuta soltanto da indicazioni verbali (del tipo: “Oggi facciamo questo, poi quest’altro, poi...”). Tutto ciò rende molto utile prevedere indicazioni visive delle attività, soprattutto per i bambini con disabilità più piccoli e compromessi, almeno fino a quando non hanno ben compreso l’organizzazione.

L’insegnante è presente e partecipe: promuovere dall’interno significa anche giocare e divertirsi con i bambini

La partecipazione al gioco per i bambini della scuola dell’infanzia è una condizione fondamentale per lo sviluppo e il benessere personale e sociale. Opportunamente, la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (Convention on the Rights of the Child, CRC) prevede il diritto al gioco (art. 31) tra i diritti inalienabili dei bambini, alla stregua del nome, della famiglia, della casa, del cibo ecc.

Lo spazio deve comunicare con gli allievi, stimolare il loro bisogno di gioco, di movimento, di espressione, di intimità e di socialità;

Fare inclusione è più che includere

Il gioco come elemento che connette

Promozione del gioco “dall’interno”Va poi chiaramente favorito il passaggio a forme di gioco maggiormente sociale, come quello parallelo e di interazione, da rendere sempre più elaborate e complesse, anche attraverso la promozione di situazioni nelle quali siano abbattute eventuali barriere alla partecipazione di bambini con disabilità e promosse forme di facilitazione da parte dell’adulto e dei compagni. A questo livello è importante sottolineare come, dal punto di vista metodologico, l’intervento dell’insegnante e dell’adulto in generale, per promuovere forme di gioco in grado di rappresentare occasioni importanti di sviluppo, debba avvenire soprattutto dall’interno (Bondioli, 2004). In altre parole, dopo aver sollecitato esperienze ludiche che prevedono l’esplorazione di situazioni da soli o in gruppo, egli si connette a quanto accade, arricchendo intenzionalmente le possibilità di apprendimento attraverso specifiche strategie. Il “promuovere dall’interno” fa sì che gli interventi dell’adulto non vengano percepiti dai bambini in termini direttivi-esterni, né in termini giudicanti, e permette non solo il perdurare della motivazione e dell’implicazione in quello che si sta facendo, ma anche una maggiore partecipazione emozionale di tutti (adulti compresi).

L’accesso alla scuola dell’infanzia rappresenta uno snodo significativo nell’esperienza evolutiva di ogni bambino, ma finisce per rivelarsi per tutti, e per i bambini in situazione di disabilità in particolare, come una straordinaria opportunità di crescita, sviluppo, conquista di competenze e affermazione di sé. Gli elementi metodologici esposti di seguito appaiono significativi e rilevanti nella prospettiva di creare le premesse per una reale inclusione, centrata non soltanto sull’azione riferita ai bambini con disabilità ma anche alla costruzione di contesti in grado di accogliere realmente tutti.

La creazione di contesti inclusiviA questo livello la dimensione dei bisogni speciali, identificabile in specifiche categorie di allievi, viene integrata da una prospettiva che pone al centro la creazione di ambienti inclusivi, nei quali ognuno possa sentirsi accolto e trovare la possibilità di esprimere le migliori energie di cui dispone. Oltre ciò, va messo in evidenza che l’inclusione è una responsabilità dell’intera organizzazione scolastica e tutti gli insegnanti, non soltanto quello specializzato per il sostegno, devono sviluppare competenze per promuovere contesti in grado di favorire la partecipazione e il successo formativo di ogni allievo. Certamente l’esigenza di creare contesti inclusivi, com’è nella logica dell’inclusione, non deve portare a sottovalutare i bisogni specifici che alcuni individui presentano e a far pensare che non debbano essere messe in campo anche didattiche rivolte direttamente all’allievo in difficoltà. Questa affermazione non va letta, chiaramente, come una semplice richiesta di interventi indirizzati al singolo allievo, da promuovere con un rapporto individuale e in ambienti separati, ma come necessaria sottolineatura dell’esigenza di individualizzazione, ricercata pure in contesti collettivi, in piccolo gruppo, nelle esperienze di tutoring ecc.

Anche per il bambino con disabilità la dimensione ludica rappresenta una preziosa opportunità di promozione delle proprie potenzialità,

La prospettiva dell’inclusione sgombra il campo da un orientamento purtroppo ancora presente e sicuramente foriero di risultati poco positivi: quello che possa esistere un’educazione particolare per il bambino con disabilità, magari da delegare a una figura specifica che si occupi di lui.Come ho messo in evidenza in uno specifico lavoro (Cottini, 2017), orientarsi verso l’inclusione significa, invece, dare attenzione non soltanto alle strategie da mettere in campo per soddisfare le esigenze di particolari allievi, ma volgere lo sguardo anche verso l’ambiente scuola, il clima della sezione o della classe, la differenziazione didattica, la progettazione condivisa, la promozione delle strategie collaborative, la conoscenza e gestione delle emozioni.Fare inclusione vuol dire quindi rendere inclusivi i contesti, i metodi e gli atteggiamenti per tutti.

in quanto consente di interagire, senza specifiche richieste prestative a questo livello scolastico, con pari che presentano un più elevato grado di sviluppo, potendoli imitare e magari contare sul loro aiuto per raggiungere progressivamente un’autonomia. È in questo contesto, inteso come macrocontenitore di zone di sviluppo prossimale, che possono emergere modalità di supporto fra compagni, motivazione e interesse, apprendimenti significativi. Il gioco, a questo livello, rappresenta «la fonte dello sviluppo e crea la zona di sviluppo pros- simale» (Vygotskij, 1933, p. 545).

Organizzazione di spazi, tempi, materiali e attività

Certamente la trattazione relativa alle attività, ai giochi e alle relazioni potrebbe essere molto ampia, ma in questo ambito l’obiettivo è quello di dimostrare che il contesto inclusivo si costruisce con una attenta organizzazione, con piccole azioni, una buona didattica e un atteggiamento realmente accogliente. E i risultati, poi, finiscono per estendersi oltre l’ambiente della scuola.

Il rapporto fra gioco e disabilità In un’interessante ricerca (Chiappetta Cajola, Rizzo, 2014) è stato indagato il rapporto fra gioco e disabilità attraverso l’impiego di procedure di osservazione sistematica riferite all’International Classification of Functioning, Disability and Health for Children and Youth (ICF-CY; OMS, 2007). Valutando il gioco solitario, da spettatori e quello parallelo hanno appurato che nella scuola dell’infanzia i bambini con varie tipologie di disabilità tendono a giocare maggiormente a livello individuale (gioco solitario, 48% del tempo dedicato al gioco), rispetto al gioco paral- lelo (28%) e a quello da spettatori (24%). Le autrici sottolineano come il gioco solitario rappresenti un importante indicatore di sviluppo per i bambini con disabilità e non sia semplicemente un segno di immaturità. Nel gioco solitario, infatti, vengono attivati processi percettivi, di individuazione di mete da perseguire, manipolazione di oggetti e di parti del corpo, che si traducono anche in un impegno&nbsp;prolungato, intenzionale e orientato a degli obiettivi. Per quanto riguarda l’evoluzione del bambino, sperimentare, per esempio, l’uso di nuovi oggetti e giocattoli, di giochi ritmici e musicali conducendo attività senso-motorie reiterate e piacevoli, permette lo sviluppo di motivazioni legate a processi di conoscenza e autoregolazione, che possono essere importanti anche per l’acquisizione, che va adeguatamente supportata, della dimensione simbolica del gioco.

L’accesso alla scuola dell’infanzia rappresenta uno snodo significativo nell’esperienza evolutiva di ogni bambino, ma finisce per rivelarsi per tutti, e per i bambini in situazione di disabilità in particolare, come una straordinaria opportunità di crescita, sviluppo, conquista di competenze e affermazione di sé.Gli elementi metodologici esposti di seguito appaiono significativi e rilevanti nella prospettiva di creare le premesse per una reale inclusione, centrata non soltanto sull’azione riferita ai bambini con disabilità ma anche alla costruzione di contesti in grado di accogliere realmente tutti.

Nelle diverse situazioni l’insegnante è dunque presente e partecipe, sollecitando e supportando le esprienze cinestesiche, immaginative, cognitive, emozionali a livello individuale e di gruppo: il tutto avviene in una dimensione ludica in cui promuovere dall’interno significa anche giocare con i bambini e divertirsi con loro (Mignosi, 2016). Si tratta di una modalità di presenza che richiede grande attenzione, concentrazione e un’osservazione e un ascolto costanti rispetto a quanto accade e rispetto a se&nbsp;stessi nel corso dell’attività; comporta lo stare dentro e fuori parallelamente, essendo coinvolti in modo partecipe senza confondersi con i bambini, fornendo magari qualche aiuto aggiuntivo all’allievo con bisogni speciali e lasciandolo poi sperimentare da solo; necessita, da un lato, di una progettualità educativa e, dall’altro, della capacità di imboccare nuove strade facendosi sorprendere dall’imprevisto, anche quando è determinato dall’azione del bambino con disabilità o con altri bisogni particolari. Un ultimo elemento che sottolineo si riferisce all’essenza stessa del gioco, che è divertimento e libera sperimentazione di situazioni da&nbsp;parte del bambino con la sua corporeità, le sue azioni sugli oggetti, i suoi linguaggi, le sue interazioni. È del tutto ovvio che il gioco è anche un’attività didattica, ma lo è soltanto se resta gioco e sfugge alla tentazione, con allievi che presentano disabilità, di trasformarsi a scuola in un’attività riabilitativa.

Accoglienza, gioco, progettazione

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