Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

A livello esplicito tutto pareva andare bene, ma le sue sensazioni gli dicevano che non era affatto così. Di che cosa fidarsi?

Sensazioni con un nome e una storia

Tommaso era sempre indeciso: non sapeva che pizza prendere, quale maglietta mettersi, se una sua compagna di classe gli piaceva, dove desiderava andare in vacanza, che cosa avrebbe voluto fare da grande. Scegliere per lui era un vero incubo, e di conseguenza anche vivere quasi non gli piaceva più. «Di fatto in ogni secondo devo scegliere qualcosa», mi ha raccontato la prima volta che ci siamo incontrati, «anche adesso sto scegliendo le parole per descriverle questa situazione; e se non fossero quelle giuste?». Questi dubbi perenni erano arrivati a farlo sentire spesso paralizzato di fronte a una vertiginosa sensazione di perdita di controllo. In quei momenti, l’unico modo che trovava per uscire dalla paralisi era contare. «I numeri sono sempre quelli. Uno, due, tre, quattro, cinque... sono sicuri»: “Ben vengano”, ho pensato io quando me lo ha detto, in parte sollevata dall’adattamento creativo al quale era andato incontro. Chissà che cosa avrebbe fatto se non avesse avuto i suoi numeri! Contando, di fatto, si stava salvaguardando da una sofferenza psicologica intollerabile, per quanto apparentemente questo suo “strano gioco” – così lo definiva – potesse sembrare solo invalidante e dannoso. Ci ho tenuto subito a dirglielo, cercando di rendere lo sguardo patologico che aveva su se stesso più indulgente e, soprattutto, attento anche alla funzione – e non solo alla disfunzione – che i suoi sintomi potevano avere.

Tommaso era sempre indeciso: non sapeva che pizza prendere, quale maglietta mettersi, se una sua compagna di classe gli piaceva, dove desiderava andare in vacanza, che cosa avrebbe voluto fare da grande.
 
 Scegliere per lui era un vero incubo, e di conseguenza anche vivere quasi non gli piaceva più. «Di fatto in ogni secondo devo scegliere qualcosa», mi ha raccontato la prima volta che ci siamo incontrati, «anche adesso sto scegliendo le parole per descriverle questa situazione; e se non fossero quelle giuste?». Questi dubbi perenni erano arrivati a farlo sentire spesso paralizzato di fronte a una vertiginosa sensazione di perdita di contr

Tommaso era sempre indeciso: non sapeva che pizza prendere, quale maglietta mettersi, se una sua compagna di classe gli piaceva, dove desiderava andare in vacanza, che cosa avrebbe voluto fare da grande.Scegliere per lui era un vero incubo, e di conseguenza anche vivere quasi non gli piaceva più. «Di fatto in ogni secondo devo scegliere qualcosa», mi ha raccontato la prima volta che ci siamo incontrati, «anche adesso sto scegliendo le parole per descriverle questa situazione; e se non fossero quelle giuste?». Questi dubbi perenni erano arrivati a farlo sentire spesso paralizzato di fronte a una vertiginosa sensazione di perdita di controllo.In quei momenti, l’unico modo che trovava per uscire dalla paralisi era contare. «I numeri sono sempre quelli. Uno, due, tre, quattro, cinque... sono sicuri»: “Ben vengano”, ho pensato io quando me lo ha detto, in parte sollevata dall’adattamento creativo al quale era andato incontro. Chissà che cosa avrebbe fatto se non avesse avuto i suoi numeri! Contando, di fatto, si stava salvaguardando da una sofferenza psicologica intollerabile, per quanto apparentemente questo suo “strano gioco” – così lo definiva – potesse sembrare solo invalidante e dannoso. Ci ho tenuto subito a dirglielo, cercando di rendere lo sguardo patologico che aveva su se stesso più indulgente e, soprattutto, attento anche alla funzione – e non solo alla disfunzione – che i suoi sintomi potevano avere.

Alla fine di questi incontri condivisi Tommaso ha detto che, per la prima volta dopo molto tempo, non si considerava pazzo: le sensazioni brutte e incomprensibili che provava adesso avevano un nome e una storia. Per questo si è sentito meglio quasi immediatamente, nonostante anche adesso, che frequenta l’Università, ogni tanto si metta a contare quando si sente sotto stress, per esempio per un esame, perché lo tranquillizza, quasi fosse una piacevole ninna-nanna che sceglie di regalarsi. “E perché no”, penso io, del resto ha uno strumento in più per gestire la fisiologica ansia che mettono gli esami, ed è lui che lo governa, ormai non si fa certo tenere in scacco. Adesso sa che le sue sensazioni – ansia compresa – non sono ostacoli che lo paralizzano, ma bussole in grado di orientare il suo movimento nel mondo.

Una famiglia molto collaborativa

Nome del ragazzo, caratteristiche e fatti sono stati modificati a tutela della sua privacy.

Ho visto i genitori di Tommaso altre volte: abbiamo scelto insieme di cambiare rotta e abbiamo iniziato&nbsp;– sempre insieme – a dire a Tommaso le cose come stavano. Non si sono sentiti giudicati, anzi, mi hanno percepita parte della loro squadra. Hanno aggiustato il tiro rapidamente, legittimando in questo modo molte delle sensazioni che Tommaso non sapeva spiegarsi. Tommaso è stato fortunato, e posso dire di essere stata fortunata anch’io a trovare una famiglia del genere. Abbiamo fatto diversi incontri tutti e quattro insieme, perché era importante per tutti darsi&nbsp;uno spazio e un tempo in cui parlarsi con tanta profondità.

Data la pesantezza e la complessità della situazione di Tommaso, mi sono riservata di fare un colloquio con i suoi genitori, previo accordo con lui. Quel colloquio è stato indispensabile per iniziare a comprendere da dove potessero avere origine i suoi tanti dubbi paralizzanti. I suoi genitori avevano avuto una vita molto dura, costellata di lutti e&nbsp;sacrifici, e per questo desideravano che la vita di Tommaso, invece, fosse felice. Lo desideravano così tanto che – ovviamente in buona fede – da sempre avevano omesso quasi tutto ciò che per lui avrebbe potuto rappresentare un problema o una fonte di stress o, più in generale, di emozioni negative. In questo modo, negli ultimi anni a Tommaso non era stato detto che il padre aveva perso il lavoro e che&nbsp;aveva poi faticato a trovarne un altro. Non gli era stato detto che il nonno aveva un tumore ai polmoni che lentamente si stava aggravando. Tommaso non sapeva che anche la madre aveva avuto dei problemi di salute seri, fortunatamente poi risolti. Perfino della morte del gatto era stato tenuto all’oscuro: gli avevano raccontato che probabilmente si era perso, ma che magari prima o poi sarebbe ritornato.

L’origine dei dubbi

Tommaso viveva insomma da molto tempo in una situazione davvero “doppia”: a livello esplicito tutto andava molto bene. Ma a livello implicito, e cioè in termini di atmosfera, di sensazioni viscerali, di emozioni “a pelle”, le cose non andavano affatto bene. Mettevi nei suoi panni: di che cosa fidarsi? Delle sensazioni che gli dicevano che molte cose non erano così rosee come sembravano, o dell’apparenza che faceva sembrare “tutto a posto”? Eccolo, il dubbio. Quell’incertezza che può nascere dall’esperire, su due livelli di conoscenza paralleli, cose completamente opposte.

Un’incertezza paralizzante

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