“Il mio papà ha una gamba sola”: quando i limiti diventano magie

Accoglienza, gioco, progettazione

Psicologia e scuola di Novembre-Dicembre: la scuola è #cittadinanza

Autismo – strumenti e proposte da “Psicologia e Scuola”

Emozioni: conoscerle e gestirle

Primi giorni di scuola

Gioco e cresco con gli altri

Conoscersi e riconoscersi

L’area maggiormente deficitaria nei bambini con disturbi dello spettro autistico riguarda quindi ciò che lo psicologo Daniel Stern (1977) definisce sistema motivazionale intersoggettivo.Come emerge ormai chiaramente dalla letteratura, l’intersoggettività nelle sue forme più precoci (per esempio il riconoscimento delle espressioni materne) è presente nei bambini a sviluppo tipico fin dal secondo o terzo mese di vita. Secondo l’approccio di Trevarthen (1979) il bambino è dotato fin dalla nascita di un’intelligenza interpersonale che gli permette di comprendere l’Altro, a livelli via via più complessi, e di negoziare con esso emozioni, intenzioni, esperienze e significati. Si parla, infatti, di intersoggettività primaria e secondaria: mentre la prima riguarda i primi 9-10 mesi di vita e si caratterizza per forme implicite di comunicazione come il sorriso, il passaggio alla seconda è determinato dal graduale sviluppo delle competenze interpersonali che portano alla consapevolezza della condivisone con l’Altro delle intenzioni verso gli oggetti e dei significati reciproci. Uno degli aspetti determinanti in questa fase è la risposta del bambino al proprio nome: se un bambino a sviluppo tipico tende a distogliere l’attenzione da ciò che stava facendo per volgerla verso la persona che lo ha chiamato, i bambini con autismo tendono a ignorare il richiamo rimanendo completamente assorti nell’attività che stavano svolgendo in precedenza. A circa due anni questi bambini tendono a evitare il contatto oculare, non manifestano interesse per i volti umani o per i compagni di gioco e non sviluppano l’attenzione condivisa, hanno un ridotto bagaglio di espressioni emotive, il loro gioco tende a focalizzarsi esclusivamente sugli oggetti e hanno difficoltà nella comprensione di gesti convenzionali (per esempio il “pointing”). Tutti questi aspetti vanno a interferire con il normale sviluppo dei processi psiconeurobiologici dell’intersoggettività, le cui tappe principali aprono la strada e sostengono l’elaborazione di competenze di livello superiore nella comunicazione e nel pensiero, inclusi il linguaggio verbale e la conversazione (Bråten, 2007).

L’area maggiormente deficitaria ne

L’area maggiormente deficitaria nei bambini con disturbi dello spettro autistico riguarda quindi ciò che lo psicologo Daniel Stern (1977) definisce sistema motivazionale intersoggettivo.Come emerge ormai chiaramente dalla letteratura, l’intersoggettività nelle sue forme più precoci (per esempio il riconoscimento delle espressioni materne) è presente nei bambini a sviluppo tipico fin dal secondo o terzo mese di vita. Secondo l’approccio di Trevarthen (1979) il bambino è dotato fin dalla nascita di un’intelligenza interpersonale che gli permette di comprendere l’Altro, a livelli via via più complessi, e di negoziare con esso emozioni, intenzioni, esperienze e significati. Si parla, infatti, di intersoggettività primaria e secondaria: mentre la prima riguarda i primi 9-10 mesi di vita e si caratterizza per forme implicite di comunicazione come il sorriso, il passaggio alla seconda è determinato dal graduale sviluppo delle competenze interpersonali che portano alla consapevolezza della condivisone con l’Altro delle intenzioni verso gli oggetti e dei significati reciproci. Uno degli aspetti determinanti in questa fase è la risposta del bambino al proprio nome: se un bambino a sviluppo tipico tende a distogliere l’attenzione da ciò che stava facendo per volgerla verso la persona che lo ha chiamato, i bambini con autismo tendono a ignorare il richiamo rimanendo completamente assorti nell’attività che stavano svolgendo in precedenza. A circa due anni questi bambini tendono a evitare il contatto oculare, non manifestano interesse per i volti umani o per i compagni di gioco e non sviluppano l’attenzione condivisa, hanno un ridotto bagaglio di espressioni emotive, il loro gioco tende a focalizzarsi esclusivamente sugli oggetti e hanno difficoltà nella comprensione di gesti convenzionali (per esempio il “pointing”). Tutti questi aspetti vanno a interferire con il normale sviluppo dei processi psiconeurobiologici dell’intersoggettività, le cui tappe principali aprono la strada e sostengono l’elaborazione di competenze di livello superiore nella comunicazione e nel pensiero, inclusi il linguaggio verbale e la conversazione (Bråten, 2007).

Tra i pregiudizi maggiormente diffusi sui disturbi dello spettro dell’autismo vi è sicuramente la credenza che le persone affette da tale condizione siano incapaci di provare emozioni e poco interessate a creare e mantenere relazioni sociali. Indipendentemente dalla gravità dei deficit e dal livello di funzionamento generale, ciò che si riscontra sono, piuttosto, delle difficoltà nel riconoscere ed esprimere le proprie emozioni in termini di esperienza soggettiva e nell’utilizzarle in maniera funzionale, in quanto segnali comunicativi nell’interazione con l’Altro.

Questi presupposti teorici costituiscono una solida base su cui costruire progetti di intervento rivolti a bambini e ragazzi con autismo che tendano a supportare lo sviluppo, l’espressione e il potenziamento di quelle abilità fondamentali ai fini comunicativi e relazionali.

Sullo sviluppo dell’intersoggettività

Progetti di intervento per l’autismo

<ul><li style="text-align: justify;">Bråten S. (ed.) (2007), On Being Moved. From Mirror Neurons to Empathy, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam-Filadelfia. </li><li style="text-align: justify;">Stern D.N. (1977), The First Relationship: Infant and Mother, Harvard University Press, Cambridge (MA)-Londra.</li><li style="text-align: justify;">Trevarthen C. (1979), «Communication and Cooperation in Early Infancy: A Description of Primary Intersubjectivity», in Bullowa M. (ed.), Before Speech, Cambridge University Press, Cambridge (MA).</li></ul>

Il Laboratorio delle emozioni

Tra i pregiudizi maggiormente diffusi sui disturbi dello spettro dell’autismo vi è sicuramente la credenza che le persone affette da tale condizione siano incapaci di provare emozioni e poco interessate a creare e mantenere relazioni sociali. Indipendentemente dalla gravità dei deficit e dal livello di funzionamento generale, ciò che si riscontra sono, piuttosto, delle difficoltà nel riconoscere ed esprimere le proprie emozioni in termini di esperienza soggettiva e nell’utilizzarle in maniera funzionale, in quanto segnali comunicativi nell’interazione con l’Altro.

<a data-cke-saved-href="https://www.scuolastore.it/it/book/i-capolavori-inside-out-0" target="_blank" href="https://www.scuolastore.it/it/book/i-capolavori-inside-out-0">Inside out</a> (2018) Disney Libri, Giunti, Firenze.

Il Laboratorio nasce come parte di un percorso psicoeducativo volto a sostenere la capacità di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, di decodificare e interpretare gli stati emotivi altrui e di comprendere e condividere il significato attribuito ai sentimenti, in una situazione protetta come quella di un piccolo gruppo di pari.Abbiamo scelto di dare spazio alle emozioni con cartoni animati (come quello della Disney/Pixar, Inside Out) e albi illustrati che fossero motivanti e offrissero tutta una serie di elementi di neuropsicofisiologia delle emozioni e dei complessi processi che danno luogo alle nostre risposte comportamentali in una modalità visiva, semplificata e divertente. A partire dalle cinque emozioni di base, ciascuna rappresentata dal personaggio corrispondente, è possibile costruire, insieme ai ragazzi, una sorta di libro virtuale che tiene traccia del lavoro fatto insieme; nel contesto del piccolo gruppo ogni partecipante porta il proprio contributo e beneficia del continuo confronto con i pari.Uno dei vantaggi del laboratorio così impostato consiste proprio nella sua natura “in divenire”: il risultato finale non è determinato in partenza ma si co-costruisce insieme ai partecipanti, in funzione delle loro risorse e grazie a tutto ciò che di prezioso emerge dal continuo confronto all’interno del gruppo di pari.

Un Laboratorio sulle emozioni

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