La relazione allievo-scuola-genitore

Il colloquio insegnante-genitore-allievo - "Pillole" per cominciare bene

La musica fa bene, prima e dopo la nascita

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Un giorno mi raccontò di avere la sensazione che forse, dentro a tutti i suoi “strati”, c’era un’Erika che neanche lei stessa conosceva. Così le proposi di trovare un’immagine che potesse rappresentare questo suo sentire. La volta dopo mi portò l’immagine di una matrioska aperta: il volto della matrioska esterna era molto sorridente, quello della successiva triste, quello della seguente tristissimo e quello dell’ultima, la più piccola e la più interna, emetteva un grido di pura e spietata disperazione. Ci fu subito chiaro che sotto a tutti quegli “strati” c’era una bambina sofferente che chiedeva accoglienza, ascolto e comprensione.

Gli “strati” servivano per proteggere la bimba dentro alla matrioska, metafora del suo sentire, del suo bisogno di gridare a gran voce la sua presenza, del suo desiderio di prendersi uno spazio. Il senso di fallimento che sentiva in tutti gli ambiti della sua vita, di fatto, si può dire che lo avesse trasferito sul corpo: se nessuno la considerava era perché aveva un corpo “inguardabile”, “inaccettabile”, mica perché lei non era amabile! In un certo senso Erika cercava di difendere, attraverso un “cuscino brutto”, la sua autentica bellezza. Quell’obesità le era servita per non sentirsi completamente da buttare via, oltre che per avere uno scopo: "Quando dimagrirò – perché dimagrirò – finalmente mi ameranno". E invece si potrebbe dire che il viaggio – come spesso succede in psicoterapia – è stato fatto al contrario: quando si è sentita più amabile – quando ha cominciato ad amarsi! – ha potuto permettersi di iniziare a fare a meno dei suoi “strati”.

Oggi, dopo tre anni, Erika ha concluso la scuola secondaria di secondo grado ed è quasi normopeso. Ma del suo peso, nel nostro cammino insieme, abbiamo parlato molto poco. Piuttosto, ci siamo concentrate sulle sue relazioni familiari, su quel senso di invisibilità che percepiva, e che col tempo iniziò a descrivere molto bene, anche con grande ironia: "Rispetto agli altri non ero né carne né pesce. Allora, ho detto, “facciamo che sono carne!”". Inoltre, nell’entrare sempre più in contatto con le sue emozioni, le fu chiaro che di fare il lavoro del padre proprio non ne aveva voglia, e che si sentiva in colpa per questo. Fu molto difficile comunicare la sua decisione alla famiglia, ma una volta fatto Erika si sentì liberata – per l’appunto – "da un grande peso".

Un "peso" da togliersi

Il senso di inadeguatezza

Dentro agli strati

Erika (nome di fantasia) a diciannove anni si sentiva una "fallita": non riusciva a portare a termine il percorso scolastico (era stata bocciata due volte), non riusciva ad avere relazioni sentimentali, non riusciva neanche a finire di leggere un libro. Durante il nostro primo incontro si definì "un inutile fantasma"&nbsp;e mi disse queste parole: "Curioso, sono così grossa, eppure mi sento invisibile". Sì, perché Erika era molto sovrappeso e aveva richiesto una psicoterapia per questo, dopo aver constatato che – "ovviamente", sottolineava – non riusciva a seguire alcuna dieta per più di pochi giorni, nonostante gli innumerevoli incontri avuti negli ultimi due anni con diversi dietisti e nutrizionisti.

Erika è la terza di quattro figli. Il padre apparteneva a una famiglia modesta ma poi è riuscito a diventare imprenditore e a fondare un’azienda divenuta importante. Anche nell’ambito della famiglia allargata vige il mito del padre che “si è fatto da solo”, che è un esempio da seguire per tutti. I suoi due fratelli maggiori e la madre lavorano nella ditta del padre e pure per lei e la sorellina minore era stato immaginato lo stesso destino.Prima del percorso di psicoterapia non aveva mai neanche vagheggiato di poter fare qualcosa di diverso nella vita, anche se non sapeva dire se il lavoro nell’azienda del padre le sarebbe piaciuto o meno. Aveva chiaro solo il profondo senso di inadeguatezza e di inferiorità che provava di fronte a tutti i suoi familiari: rispetto a loro, molto "brillanti e capaci", si sentiva "insipida",&nbsp;non molto brava, non bella, quella che – come sempre l’avevano descritta – fin da neonata "dove la mettevi stava", tanto da arrivare a doversi ricordare della sua presenza. Data l’esuberanza dei fratelli più grandi e anche della sorella minore, tuttavia, questa era sempre stata vista come una cosa positiva: "ci mancavi solo tu!"&nbsp;le dicevano. Probabilmente per questa ragione, fin dai suoi primissimi ricordi emerge il suo tentativo di emulare i fratelli, non riuscendo mai a eguagliarli, e di aderire il più possibile – faticosamente – a tutto ciò che le veniva chiesto o detto di fare/essere.

Una bambina da proteggere

Non aveva alcuna voglia di fare il lavoro del padre, e si sentiva in colpa per questo. Ma una volta comunicata la sua decisione, Erika si sentì liberata da un grande peso

Indicazioni e strategie per favorire la collaborazione tra scuola e famiglia

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FAQ 15. La famiglia può chiedere di tenere nascosto il disturbo e applicare solo forme di tutela che non siano visibili o riconoscibili come tali dai compagni? (ed. PLUS)

Tanti strati… per proteggersi

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