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Se tu potessi formulare un sogno per gli alunni e gli insegnanti?

Il mio sogno sarebbe cambiare immediatamente la scuola. Ridurre drasticamente il numero degli alunni per classe, immettere insegnanti che potremmo chiamare “provvisori” per materie accessorie e attività varie, anche solo per raccontare ai bambini storie di vita. Questo non lo si può fare con ventiquattro alunni tutti insieme... Volendo, si potrebbero dividere, per esempio, in tre gruppi e magari dieci in un’aula a fare una cosa, otto a farne un’altra, sei a farne un’altra ancora e poi si potrebbero incontrare a fine giornata.&nbsp; La farei così la scuola. Aumenterei gli spazi, gli insegnanti e in ultima analisi i soldi destinati all’insegnamento. Vorrei che l’Italia diventasse letteralmente tutta un Paese-scuola: scuola di poesia, di filosofia, di italiano. Si arriva in Italia e si è a scuola: il paesaggio, il mare, le piante sono scuola... Se io fossi il Presidente del Consiglio vorrei che tutta l’Italia fosse così. Una grande aula didattica dove si apprende in ogni luogo.

Franco Arminio, poeta, scrittore e regista, è nato e vive a Bisaccia, nell’Irpinia d’Oriente (provincia di Avellino). Ha pubblicato molti libri che hanno raggiunto decine di migliaia di lettori, dei quali l’ultimo è La cura dello sguardo, Nuova farmacia poetica, edito da Bompiani (2020). Ha vinto il Premio Napoli (2009) con Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia (Laterza, 2008), il Premio Stephen Dedalus (2011) con Cartoline dai morti 2007-2017 (nottetempo, 2017), il Premio Volponi (2012) e il Premio Carlo Levi (2013) con Terracarne (Mondadori, 2011). Paesologo, da anni viaggia e scrive, in cerca di meraviglia e in difesa dei piccoli paesi italiani: è ispiratore e punto di riferimento di molte azioni contro lo spopolamento dell’Italia interna. Ha ideato e porta avanti la Casa della Paesologia a Bisaccia e il festival “La luna e i calanchi” ad Aliano.&nbsp; Collabora con il «Corriere dalla Sera», «il manifesto» e «il Fatto Quotidiano» ed è animatore del blog “Comunità Provvisorie”.

L’educazione alla bellezza è molto importante e il degrado degli edifici, dei luoghi, non può essere un alibi. Anzi, per contrasto, quando la vita si svolge in luoghi difficili, a maggior ragione c’è sete di armonia, di bellezza, di intensità. Si tratta di farla affiorare, questa sete, ma c’è in tutti noi, negli adulti come nei bambini. Come farla emergere a scuola? Pensiamo allo sguardo. Io poco fa mi sono fatto un giro per guardare e fare foto. Questa “manutenzione dello sguardo” la faccio continuamente: avevo un po’ di tempo libero e ho deciso di fare una passeggiata nel mio paese, che pure percorro da tanti anni, e ho trovato ancora dei particolari che mi erano sfuggiti prima... quando lo sguardo è sganciato da compiti, quando non si deve andare dal punto A al punto B di fretta, ma ci si può spostare con calma, si vedono tante cose.&nbsp; Quindi io farei fare ai bambini degli esercizi di percezione, fuori o dentro la scuola, e farei loro annotare le cose che hanno visto, senza inventare nulla, senza arzigogolare. I bambini devono essere allenati a captare la ricchezza delle sfumature, dei segni che ci sono in qualunque spazio, sia interno sia esterno. Questo, secondo me, è già un modo interessante per fare a scuola manutenzione dello sguardo, perché noi tutti guardiamo ma spesso non sappiamo guardare: ci scambiamo astrazioni, opinioni, ma trascuriamo l’aspetto percettivo della realtà.

Tu hai parlato di epidemia di “autismo corale”, che ci vede rinchiusi nei dispositivi digitali, impegnati in una comunicazione priva di vitalità. Come fare i conti con questo fenomeno?

L’“autismo corale” è una malattia molto grave: c’è una vicinanza fisica ma una distanza spirituale. Ora le cose sono peggiorate, con tutti i rischi che questo comporta: rimane la distanza spirituale&nbsp;ma, adesso, c’è anche la distanza fisica. Attenzione, allora, a far buon uso di queste giornate sia nella scuola sia fuori, per cercare di tenere vivo il nesso, la relazione con gli esseri umani e con il mondo. Quando dico “relazione con il mondo” intendo anche gli alberi, il lampione, le porte chiuse... bisogna educare i bambini al fatto che c’è un contesto fuori dal proprio corpo che non è solo quello dei giocattoli, della famiglia, degli spazi per divertirsi; tutto quello che c’è fuori, tutto il mondo esterno è degno di attenzione. È importante anche ciò che spesso sfugge alla vista e sembra un dettaglio insignificante.

Nel tuo ultimo libro, La cura dello sguardo, scrivi: «... Cerca le tue parole. Chi cerca le sue parole si ammala assai poco». Come mai? Questo vale anche per i bambini?

Tutti noi subiamo una lingua che ci ferisce e tutti quanti dovremmo produrre una lingua che ci guarisce. Questo è un po’ il gioco. Naturalmente non è possibile codificarlo così in astratto. È il singolo insegnante che nella situazione specifica, con il suo approccio specifico, può declinare queste cose. Se&nbsp;io fossi stato in una scuola questa mattina, avrei fatto delle cose concrete, suggerite da quella situazione specifica. Io insisto molto sul fatto che per tutte le azioni della vita occorre avere una mappa, un progetto, un’idea su dove andare, però occorre anche saper leggere la situazione che si presenta di volta in volta e che è sempre unica e irripetibile. Si tratta di annusare l’aria. Si arriva in classe la mattina e si deve leggere subito se ci sono tensioni o meno. La propria metodologia si deve piegare alla situazione reale, a ciò che si ha davanti. Al di là del metodo, conta il fervore che si riesce a creare nella classe, intorno all’italiano, a un problema di matematica, alla geografia, intorno alla bellezza. Si apprende in maniera erotica, come ci ha insegnato Platone, e non dobbiamo mai dimenticarlo. Siamo esseri umani, diversi dagli animali perché abbiamo questa miracolosa capacità di svelare ma anche di occultare proprio attraverso la lingua. In questo momento in cui la relazione fisica è interdetta, c’è, potentissima, la relazione linguistica, tramite telefono, computer, chat. Se non ci fosse la lingua, in realtà, le nostre relazioni deperirebbero moltissimo perché senza incontro verbale e fisico ci scorderemmo gli uni degli altri.

Sulla base della tua esperienza di ex maestro elementare, quanto ritieni sia importante educare i bambini alla bellezza? Come educarli al bello se si frequentano brutti edifici scolastici, se si vive in contesti degradati, privi di natura?

La manutenzione dello sguardo

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