Sulla punizione: un sondaggio

Diversità: mai perdere la capacità di meravigliarsi

Il senso di sé cognitivo

La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

RIFLETTERE SULLE PAROLE

Le parole sono azioni, ci hanno insegnato decenni di ricerche sulla comunicazione, ricordandoci che parlando “facciamo” sempre qualcosa e che il linguaggio diventa significativo solo nell’interazione concreta con i nostri interlocutori. Per esempio, parlando con i genitori al nido dichiariamo le scelte e i valori di fondo del servizio, esprimiamo la progettualità pedagogica del gruppo educativo a cui apparteniamo, facciamo emergere punti di forza o debolezze, orientiamo, definiamo, proponiamo. Parlando possiamo generare appartenenza, promuovere la condivisione delle pratiche e delle finalità (per esempio attraverso la documentazione), esprimere sintonizzazione emotiva e comprensione reciproca; ma possiamo anche escludere, dividere, separare.

La complessità della comunicazione è un dato di fatto: i bambini crescono avvolti in una “rete di parole” e, le lunghe catene di “discorsi” (Fasulo e Pontecorvo, 1999) tra bambini e tra adulti e bambini, ma anche tra adulti, accompagnano le attività quotidiane andando a formare quel repertorio di parole e comportamenti che diventa poi abituale. Questo vale per i discorsi con i bambini, ma anche tra educatori e genitori.Tuttavia, non è sempre facile ritagliarsi un tempo per curare le “parole in uso” (Bove, 2016) e la qualità degli stili comunicativi che utilizziamo nel dialogo tra adulti.La crisi che stiamo vivendo ci spinge a rileggere con attenzione anche questa parte della pedagogia del nido che, spesso, rimane implicita e che, a volte, passa in secondo piano. Pensiamo per esempio alle parole che usiamo quando “raccontiamo” i bambini alle famiglie:• che immagini di infanzia/bambino o famiglia veicoliamo?• che linguaggi privilegiamo?• che stili comunicativi utilizziamo?In un momento come quello che stiamo vivendo, nel quale i genitori hanno meno occasioni di transito negli spazi del nido, riflettere sulle parole, le lingue, i linguaggi che usiamo per restituire e condividere l’esperienza educativa dei bambini con le famiglie è parte della professionalità educativa.

Il nido è sempre stato un luogo accogliente, che si è trasformato negli ultimi decenni per accogliere tutte le famiglie, invitandole a entrare e a “sostare” nello spazio pubblico del servizio. Uno spazio di relazioni, di scambi tra pari e di legami solidali (Galardini, 2020). Oggi questa apertura necessita&nbsp;di nuove regole che implicano la capacità di negoziarle tra interlocutori, al di là della differenza.Sarebbe un peccato non cogliere in questa situazione alcune opportunità di rinnovamento. 1. La cura del tempo/i tempi della comunicazione con le famiglie Se accogliere significa “legare-con”, come ci insegna l’etimologia della parola, allora è necessario curare i tempi e i contesti del dialogo. Avere la parola, la lingua, il tempo per condividere sono premesse per poter essere parte attiva di un’esperienza di dialogo che collega. Non tutte le famiglie sono in questa condizione e di questo dobbiamo tener conto se vogliamo davvero alimentare una cultura pedagogica dell’accoglienza aperta e inclusiva.Comunicare con le famiglie oggi significa essere consapevoli dei contesti, dei vincoli, dei limiti dell’incontro per introdurre strumenti e strategie di dialogo diversificati, anche oltre le parole. 2. L’osservazione durante la comunicazioneOsservare quello che succede mentre comunichiamo è una competenza professionale complessa, ma fa parte di una professionalità rigorosa, seria, in formazione. Le tecnologie rendono più sfumate le dinamiche stesse del dialogo, ma aprono anche possibilità di auto-osservazione inedite.Possiamo imparare a osservarci a posteriori, oppure possiamo documentare gli scambi comunicativi annotando eventi peculiari, parole significative, espressioni esemplificative, atteggiamenti. Attraverso esercizi di documentazione o di auto-formazione possiamo elevare i momenti di scambio e dialogo, in presenza e a distanza, a oggetto di riflessione critica per modificare le pratiche. 3. La capacità di capovolgere lo sguardo Mai come in questo momento la vita, dentro e fuori dai servizi per l’infanzia, ci chiede di allenarci ad assumere altri punti di vista, ingrediente essenziale per una buona comunicazione intesa come dialogo e non come mera trasmissione di informazione.Comunicare è uno stile di azione che può essere uno stile di indagine, che ci aiuta a fare un passo in avanti vedendo nella pedagogia dell’accoglienza e delle relazioni con le famiglie un delicato esercizio di apertura all’altro e di negoziazione partecipata. Un apprendimento pedagogico necessario per generare esperienze di qualità per tutti i bambini e per tutte le famiglie, nessuno escluso.

PROSPETTIVE E RISORSE

Una buona comunicazione si espande con un effetto alone positivo, generando modalità concrete di ascolto e aiuto reciproco, quando mobilita le risorse dell’interlocutore ampliando lo spazio della negoziazione tra significati e punti di vista. Decenni di ricerche sulla pedagogia del nido, ma anche l’esperienza di relazione con le famiglie maturata dagli educatori dei servizi per l’infanzia, testimoniano quanto sia complesso trovare un linguaggio comune che permetta davvero la comprensione reciproca:<ul><li>alcune volte la comunicazione con i genitori è fluida, lieve, dinamica e può basarsi su esperienze pregresse, codici comuni, credenze condivise sull’educazione;</li><li>altre volte, invece, si parte da convinzioni diverse, si usano linguaggi diversi, si fa fatica a capirsi, ci si fraintende.</li></ul>

libri, film, siti, luoghi…

UN LINGUAGGIO CONDIVISO

A volte la comunicazione unisce e tiene insieme generando comportamenti resilienti, altre volte divide e allontana aumentando le condizioni di vulnerabilità delle famiglie stesse

In un momento in cui la forbice delle disuguaglianze si è inasprita (Rapporto Save the Children, 2020) e in cui l’incertezza sembra essere non solo il paradigma dominante, ma la condizione di vita di tutti, stare a fianco delle famiglie significa aprire il nido anche ad altri canali comunicativi o linguaggi, attivando un paziente lavoro di costruzione di esperienze di “prossimità” e di “vicinanza”, mediato dal dialogo nel rispetto della sicurezza di tutti.Se c’è un insegnamento che possiamo trarre dalla drammatica crisi che abbiamo vissuto, è la necessità di lavorare con e non contro. La crisi sanitaria ci ha insegnato il valore dei legami, il senso della comunità e della solidarietà tra famiglie (Mantovani, Bove, et. al. 2021), invitandoci a scoprire nuovi modi per accompagnare le famiglie anche nei momenti più difficili, in cui la distanza fisica sembrava generare distanza sociale. Ci ha insegnato che è possibile sperimentare modi innovativi per “far entrare le famiglie nel servizio” (Milani, 2018) utilizzando strumenti e linguaggi inediti.Ma soprattutto sono emerse nuove risorse: la capacità di comunicare nonostante la distanza, la tenacia di tenere vivi i legami da remoto, l’uso delle tecnologie e di strategie di narrazione mediate dalle immagini o dalle storie, la sperimentazione di tempi e orari diversi per comunicare con le famiglie. Un capitale di esperienze variegato da approfondire e da coltivare anche nei prossimi mesi per generare spazi comunicativi inclusivi per tutte le famiglie (Antonietti, Guerra, Luciano, 2020).

GENERARE SPAZI INCLUSIVI

Ripensare le modalità di comunicazione per generare spazi inclusivi

Antonietti, et al. (2020). Trasformare la relazione educativa nelle situazioni di emergenza: un’indagine nei servizi 0-6 ai tempi del Covid-19. In Pedagogia Oggi, 2, pp. 63-75.Bove, C. (2020). Capirsi non è ovvio. Dialogo tra insegnanti e genitori in contesti educativi interculturali. Milano: Franco Angeli.Bove, C. (2016). Le parole nella relazione con i bambini: osservare il “linguaggio in azione” al nido. In Mantovani, S., et al. Didattica e nido d’infanzia. Reggio Emilia: Edizioni Junior.Fasulo, A. Pontecorvo, C. (1999). Come si dice. Roma: Carocci.Galardini, D. (2020) (a cura di). L’educazione al nido. Roma: Carocci.Mantovani, S., et.al. (2021). Children “under&nbsp;lockdown”: voices, experiences, and resources during and after the COVID-19 emergency. In: Early Childhood Research Education Journal, 29 (1), 1-20.Paola Milani (2018). Educazione e famiglie. Roma: Carocci.

Le parole sono azioni, ci hanno insegnato decenni di ricerche sulla comunicazione, ricordandoci che parlando “facciamo” sempre qualcosa e che il linguaggio diventa significativo solo nell’interazione concreta con i nostri interlocutori. Per esempio, parlando con i genitori al nido dichiariamo le scelte e i valori di fondo del servizio, esprimiamo la progettualità pedagogica del gruppo educativo a cui apparteniamo, facciamo emergere punti di forza o debolezze, orientiamo, definiamo, proponiamo. Parlando possiamo generare appartenenza, promuovere la condivisione delle pratiche e delle finalità (per esempio attraverso la documentazione), es

Le parole sono azioni, ci hanno insegnato decenni di ricerche sulla comunicazione, ricordandoci che parlando “facciamo” sempre qualcosa e che il linguaggio diventa significativo solo nell’interazione concreta con i nostri interlocutori. Per esempio, parlando con i genitori al nido dichiariamo le scelte e i valori di fondo del servizio, esprimiamo la progettualità pedagogica del gruppo educativo a cui apparteniamo, facciamo emergere punti di forza o debolezze, orientiamo, definiamo, proponiamo. Parlando possiamo generare appartenenza, promuovere la condivisione delle pratiche e delle finalità (per esempio attraverso la documentazione), esprimere sintonizzazione emotiva e comprensione reciproca; ma possiamo anche escludere, dividere, separare.

In dialogo con le famiglie

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