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La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

Perché ricordiamo?

L’utilizzo del ricordo influenza la sua conservazione: ciò che non viene rievocato per molto tempo tende a essere dimenticato

Per prima cosa diamo una definizione. Quando parliamo di memoria ci riferiamo alla “capacità di un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri” (Galimberti, 1999). Si noti che il concetto di memoria comprende sempre, oltre alla conservazione di informazioni, anche il loro apprendimento e l’accesso consapevole o inconsapevole a quanto conservato, ovvero il ricordo in senso stretto. Al lettore attento non sarà sfuggito che questa definizione è più complessa rispetto a quanto siamo abituati a pensare, integra infatti l’aspetto “passato” della memoria (la conservazione di informazioni) in funzione di quello “futuro” (l’utilizzo nel mondo reale di quanto viene conservato). È l’utilizzo stesso del ricordo a influenzare la sua conservazione, condizione che abbiamo sperimentato tutti: ciò che non viene rievocato per molto tempo tende a essere dimenticato; si parla infatti di use it or lose it (usalo o perdilo).

Qualunque nostra azione ha a che fare con la memoria. È un esercizio di memoria andare al lavoro percorrendo la strada abituale, distinguere un cane da un gatto e anche riconoscere una persona quando la si incrocia per strada (soprattutto se indossa la mascherina!). Similmente, tutte le funzionalità cognitive necessitano di un rapporto costante con quanto immagazzinato: il linguaggio, per esempio, non può prescindere dalla conoscenza di simboli e significati, e la percezione necessita di modelli prestabiliti per dare coerenza a quanto si esperisce. In generale, poi, il contesto più strutturato in cui ci è richiesto di utilizzare esp

Qualunque nostra azione ha a che fare con la memoria. È un esercizio di memoria andare al lavoro percorrendo la strada abituale, distinguere un cane da un gatto e anche riconoscere una persona quando la si incrocia per strada (soprattutto se indossa la mascherina!). Similmente, tutte le funzionalità cognitive necessitano di un rapporto costante con quanto immagazzinato: il linguaggio, per esempio, non può prescindere dalla conoscenza di simboli e significati, e la percezione necessita di modelli prestabiliti per dare coerenza a quanto si esperisce. In generale, poi, il contesto più strutturato in cui ci è richiesto di utilizzare esplicitamente la nostra memoria è quello scolastico. Il modo in cui utilizziamo la memoria in una realtà iper-complessa come quella in cui viviamo, però, ci dice poco o nulla su che cosa sia veramente la memoria, su come “funzioni” e su quale sia il suo scopo a livello adattivo.

Siamo abituati a pensare che la memoria sia il sistema cognitivo che consente di apprendere e ricordare informazioni, e infatti avere una buona memoria significa essere in grado di ricordare molte informazioni. Allo stesso modo, a coloro che studiano la memoria capita quasi quotidianamente di sentirsi dire: “Ah, io non ricordo niente, ho una memoria davvero pessima”. Questo approccio – che chiameremo classico – alla memoria come sistema di ritenzione ha radici molto antiche, risale ai lavori di Platone e Aristotele e trova&nbsp;ampio seguito nei secoli successivi passando per Cicerone, Agostino d’Ippona e Giordano Bruno, solo per citarne alcuni. Ad avere uguale influenza a livello popolare è anche il significato di memoria in materia di tecnologia: il computer con la memoria migliore è quello che è in grado di contenere la quantità maggiore di informazioni. Sempre in materia di computer, siamo abituati a valutare la qualità di ciò che questo ricorda in base a quanto è fedele rispetto all’input originario: se scrivo qualcosa al computer la sera, mi aspetto che la mattina dopo lo scritto sia identico. Applichiamo più o meno consapevolmente questa regola anche alla nostra memoria: quanto più un ricordo corrisponde alla realtà, tanto maggiore si suppone che sia la sua qualità. Contrariamente a quanto avviene per il computer – costruito per sopperire a nostre incapacità di calcolo e di ricordo – alcune teorie recenti hanno proposto che la memoria umana abbia una direzione temporale opposta. In altre parole, mentre la memoria del computer è diretta al passato e quindi finalizzata alla conservazione di informazioni, la memoria umana è diretta al futuro, finalizzata al tentativo di prevedere ciò che sta per accadere. Questa prospettiva alternativa può sembrare controintuitiva e antistorica, ma ha fondamenti sperimentali molto solidi e consente di integrare tutta una serie di evidenze che altrimenti costituirebbero serie anomalie all’interno del paradigma classico (per una rassegna si veda Gatti, Vecchi, 2019).

Che cos’è la memoria Daniele Gatti, Tommaso Vecchio, Carocci, Roma (2020)Come funziona realmente la nostra memoria? Quanta verità c’è in quello che ricordiamo? In quali situazioni ricordiamo “meglio” e in quali “peggio”? In ultimo, e quasi provocatoriamente: la memoria serve davvero a ricordare? Il volume risponde a queste domande presentando le diverse teorie sulla psicologia della memoria, le principali ricerche in materia e gli sviluppi più recenti nell’ambito delle neuroscienze cognitive.

Questa definizione ha il merito di formalizzare chiaramente le argomentazioni proposte in chiave adattiva e le evidenze sperimentali in materia di funzionamento e limiti della memoria. Per quanto riguarda la prima, coerentemente con le teorie di Darwin, si può affermare che la memoria è una funzionalità evolutasi nel corso di migliaia di anni e la sua organizzazione funzionale – così come si è sviluppata – garantisce un miglior adattamento all’ambiente rispetto agli individui che non possiedono tale funzionalità. Da questo assunto deriva un’inferenza banale, ma in grado di stravolgere la concezione classica della memoria: il fatto che un sistema – la memoria – sia in grado di svolgere un compito – ricordare – non significa che questa sia la sua finalità biologica, ma è possibile che questa capacità sia solamente qualcosa di collaterale (Klein, 2013). Dobbiamo quindi valutare la memoria alla luce non solo di ciò che fa, ma anche di come lo fa e di che cosa riesce meglio con ciò che fa. Dobbiamo quindi indagare come funziona.

Che cos’è davvero la memoria?

A quanto abbiamo presentato possiamo ora far seguire alcune riflessioni. La prima è relativa al rapporto tra verità, accuratezza della memoria e sincerità. Con il termine “verità” si definisce ciò che è effettivamente accaduto, ed è diversa sia dalla sincerità (l’intenzione di dire la verità) sia dall’accuratezza del ricordo (il grado di corrispondenza tra memoria e verità). È possibile dunque che una persona voglia dire la verità, che sia sincero, ma anche che la ricordi in maniera errata, e che dunque manchi di accuratezza. È importante, poi, chiarire che «l’attendibilità [...] dipende dall’accuratezza del ricordo, mentre la quantità di elementi che vengono ricordati non è particolarmente rilevante» (Mazzoni, 2003). In maniera più radicale, un approccio come quello presentato non può non riflettersi su ciò che accade nei contesti scolastici e su come ci si relaziona con la memoria. Di qualunque materia si tratti, ciò&nbsp;che avviene a scuola ha a che fare con l’apprendimento di contenuti e, perché sia efficace, deve inevitabilmente interfacciarsi con il sistema cognitivo che viene utilizzato per imparare, con la nostra memoria. Abbiamo mostrato che la memoria è limitata, e anche perché lo è, e questi concetti sono i principali elementi a sostegno della limitazione (e forse anche dell’abbandono) dell’apprendimento nozionistico e fine a se stesso che talora ancora si richiede agli studenti. Non solo una ritenzione passiva è difficoltosa e anti-mnestica, ma se non si richiede un utilizzo più o meno frequente di quanto faticosamente appreso, questo decadrà in breve tempo, vanificando di conseguenza tutto lo sforzo. È la finalità stessa del ricordo a suggerirci la direzione dell’insegnamento: se ricordiamo solo le informazioni che utilizziamo, allora è necessario fare di più e studiare di meno per ricordare meglio. Infine, rimanendo in tema di apprendimento e rapporto con la tecnologia, come non citare i richiami contro l’utilizzo di computer e altri dispositivi che possono fungere invece da utili ausili? Come abbiamo visto, non è formalmente corretto sostenere che, poiché abbimo tutte le informazioni a portata di click, non siamo più in grado di ricordarle correttamente, perché in ogni caso non è questa la finalità della nostra memoria. Libri e computer conservano le informazioni molto meglio di noi, ecco perché li abbiamo inventati e continuiamo a utilizzarli; la tecnologia non è la fine della memoria umana, è solo l’inizio. Con le parole del campione russo di scacchi Garry Kasparov: «Non dobbiamo avere paura della tecnologia, dobbiamo lavorare con essa», perché il computer ricorda bene per conservare meglio, mentre noi ricordiamo male per prevedere meglio.

Strumenti e percorsi:

Come funziona la memoria?

Per rispondere alla domanda perché ricordiamo? possiamo analizzare alcuni sottosistemi del ricordo a lungo termine (per una rassegna si veda Squire, 2009). Riconosciamo una memoria di tipo motorio (memoria procedurale), il cui esercizio è inevitabilmente diretto al futuro: ricordo come ci si lega le scarpe perché tutti i giorni devo farlo e dunque mi serve e mi servirà. Riconosciamo poi una memoria di tipo concettuale (memoria semantica), il cui utilizzo avviene nuovamente in direzione futura: mantengo il significato di un certo cartello stradale perché così quando guido so che cosa aspettarmi se lo vedo. E riconosciamo infine una memoria di tipo episodico, legata a singoli momenti della nostra vita. In relazione a quest’ultima, numerosi studi di neuroimmagine hanno mostrato che ricordare un evento del proprio passato e immaginare un evento futuro attivano le stesse aree cerebrali (Addis et al., 2009), come se le conoscenze conservate venissero utilizzate per basare la programmazione del futuro. In generale, quello che si vuole affermare non è che tramite la memoria non siamo in grado di ricordare, ma che il ricordo non è la sua finalità principale. La capacità di ricordare deve essere sempre subordinata all’utilizzo che viene fatto delle informazioni conservate.&nbsp;

Qualunque nostra azione ha a che fare con la memoria. È un esercizio di memoria andare al lavoro percorrendo la strada abituale, distinguere un cane da un gatto e anche riconoscere una persona quando la si incrocia per strada (soprattutto se indossa la mascherina!). Similmente, tutte le funzionalità cognitive necessitano di un rapporto costante con quanto immagazzinato: il linguaggio, per esempio, non può prescindere dalla conoscenza di simboli e significati, e la percezione necessita di modelli prestabiliti per dare coerenza a quanto si esperisce. In generale, poi, il contesto più strutturato in cui ci è richiesto di utilizzare esplicitamente la nostra memoria è quello scolastico. Il modo in cui utilizziamo la memoria in una&nbsp;realtà iper-complessa come quella in cui viviamo, però, ci dice poco o nulla su che cosa sia veramente la memoria, su come “funzioni” e su quale sia il suo scopo a livello adattivo.

Con il passare del tempo, gran parte delle informazioni vengono dimenticate a favore di una generalizzazione del contenuto

<blockquote>“Memoria, la capacità di un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri” (Galimberti, 1999) </blockquote>

<ul><li style="text-align: justify;">Addis D.R., Pan L., Vu M.A., Laiser N., Schacter D.L. (2009), «Constructive Episodic Simulation of the Future and the Past: Distinct Subsystems of a Core Brain Network Mediate Imagining and Remembering», Neuropsychologia, 47(11), 2222-2238; doi: 10.1016/j. neuropsychologia.2008.10.026 </li><li style="text-align: justify;">Atkinson R.C., Shiffrin R.M. (1968), «Human Memory: A Proposed System and Its Control Processes», in Spence K.W., Spence J.T. (eds.), The Psychology of Learning and Motivation: II, 89-195, Academic Press, Oxford. </li><li style="text-align: justify;">Galimberti U. (1999), Enciclopedia di psicologia, Garzanti, Milano. </li><li style="text-align: justify;">Gatti D., Vecchi T. (2019), Memoria. Dal ricordo alla previsione, Carocci, Roma. </li><li style="text-align: justify;">Gatti D., Vecchi T. (2020), Che cos’è la memoria, Carocci, Roma. </li><li style="text-align: justify;">Iacullo V.M., Marucci F.S. (2016), «Normative Data for Italian Deese/ Roediger-McDermott Lists», Behavior Research Methods, 48(1), 381-389; doi: 10.3758/s13428-015-0582-3 </li><li style="text-align: justify;">Klein S.B. (2013), «The Temporal Orientation of Memory: It’s Time for a Change of Direction», Journal of Applied Research in Memory and Cognition, 2(4), 222-234. </li><li style="text-align: justify;">Loftus E.F. (1979), Eyewitness Testimony, Harvard University Press, Cambridge (MA). </li><li style="text-align: justify;">Mazzoni G. (2003), Si può credere a un testimone? La testimonianza e le trappole della memoria, il Mulino, Bologna. </li><li style="text-align: justify;">Schacter D.L. (2001), The Seven Sins of Memory. How the Mind Forgets and Remembers, Mifflin and Company, Houghton (tr. it. I sette peccati della&nbsp;memoria. Come la mente dimentica e ricorda, Mondadori, Milano, 2002). </li><li style="text-align: justify;">Squire L.R. (2009), «Memory and Brain Systems: 1969-2009», The Journal of Neuroscience, 29(41), 12711-12716; doi: 10.1523/JNEUROSCI.3575-09.2009 </li><li style="text-align: justify;">Deese J. (1959), «On the Prediction of Occurrence of Particular Verbal Intrusions in Immediate Recall», Journal of Experimental Psychology, 58(1), 17-22; doi: 10.1037/h0046671 </li><li style="text-align: justify;">Roediger H.L., McDermott K.B. (1995), «Creating False Memories: Remembering Words Not Presented in Lists», Journal of Experimental Psychology Learning Memory and Cognition, 21(4), 803-814; doi: 10.1037//0278-7393.21.4.803</li></ul>

A livello macroscopico possiamo individuare due sistemi di ricordo, una memoria a breve termine e una a lungo termine (Atkinson, Shiffrin, 1968). La prima ha capacità (7±2 elementi, Miller, 1956) e durata (20-30 secondi) estremamente limitate, mentre la seconda, che corrisponde maggiormente a quella che solitamente chiamiamo “memoria”, ha capacità e durata decisamente maggiori, ma soggette a numerose variabili (per una rassegna: Gatti, Vecchi, 2020). In generale, in relazione alla memoria a breve termine, possiamo affermare che il suo esercizio consiste nel mantenimento di un’informazione in relazione a un compito da svolgere: ricordo il taglio della banconota con la quale ho pagato la spesa finché non verifico che il resto sia corretto, poi scordo l’informazione perché non è più rilevante. Per quanto riguarda la memoria a lungo termine, vari studi hanno mostrato come questa non sia un registratore passivo di informazioni, ma che anzi tenda a distorcere i propri contenuti (per una rassegna: Loftus, 1979; Schacter, 2001). Per esempio, il modo più semplice per “falsare” una testimonianza consiste nel formulare domande che sottintendono informazioni fuorvianti: è sufficiente mostrare un filmato (due auto che si scontrano)&nbsp;e chiedere a due gruppi di partecipanti una domanda neutrale (a che velocità andavano le due auto quando si sono urtate?) o una fuorviante (a che velocità andavano le due auto quando si sono schiantate?) per ottenere risposte molto differenti. Se la finalità della memoria a lungo termine fosse la ritenzione passiva di informazioni, in condizioni normali questa tenderebbe a essere attendibile; invece accade l’esatto opposto. Dobbiamo dunque spingerci oltre e osservare come si creano i ricordi e come vengono conservati.

Memoria per ricordare o per prevedere?

È evidente a tutti che un ricordo appena formato è molto più disponibile e accessibile rispetto a uno di un evento occorso mesi o anni prima. Quello a cui si assiste è che, con il trascorrere del tempo, gran parte delle informazioni vengono dimenticate in funzione di una generalizzazione del contenuto (si parla di consolidamento del ricordo; Squire, 2009): non ricordo la prima volta che ho visto una bicicletta, ma se ne vedo una la so riconoscere. La nostra memoria sembra dunque più simile a un sistema che costruisce significati, più che a uno che passivamente immagazzina informazioni, e la dimenticanza, che solitamente è motivo di preoccupazione e frustrazione, è parte integrante di questo processo attivo.

<blockquote>“La memoria dipende dal passato, ma riguarda il futuro.” Klein (2013) </blockquote>

Tra ricordo e previsione: il futuro della memoria

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