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La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

Pertanto, i messaggi minacciosi – pur se frequenti e ritenuti efficaci (Putwain, Roberts, 2012) – non favorirebbero se non chi è già motivato, perché dà significato al compito e ha risorse per affrontarlo. Che dire, allora?

A fare la differenza non è tanto il messaggio espresso, quanto la sua interpretazione: come sfida (challenge: sentirsi attratti piacevolmente) o minaccia (threat: percepire un senso di pressione e possibile perdita; Putwain et al., 2016). A favorire in distinti studenti una maggiore tendenza al challenge o al threat sono la personale valutazione di importanza e la percezione di competenza (Putwain, Remedios, Symes, 2015). Ricordare le possibili conseguenze negative del “non fare” o anche quelle positive del “fare” (focalizzazione sui guadagni: Symes, Putwain, 2016) favorirebbe gli studenti che ci tengono a riuscire e pensano di farcela, di fatto risultando già motivati. Non avvantaggerebbe chi, invece, non dà particolare valore e significato al compito, che probabilmente non si sentirebbe toccato dal messaggio. Inoltre, rischierebbe di frustrare chi, pur volendo fare bene, si percepisce poco capace e non sa come affrontare positivamente la situazione (si veda la Figura 1).

Risulterebbe quindi importante trovare le parole più adatte per ognuno piuttosto che quelle efficaci per tutti. Inoltre, sarebbe fondamentale promuovere i due pilastri su cui regge la motivazione: percepirsi competenti e dare valore. Il valore, ovvero l’importanza personale di impegnarsi nell’ambito specifico, andrebbe rafforzato promuovendo l’utilità e riducendo il costo percepito (emozioni che bloccano, antici- pazione di fatica). La percezione di competenza sarebbe favorita dalla convinzione di poter riuscire e di migliorare, ma anche da un adeguato approccio strategico al compito. Qualche feedback verbale, se mirato, potrebbe aiutare: e allora, eliminiamo i “non” che scoraggiano e diamo via libera ai “potresti...”, “che ne diresti...”, “vorresti...”.

<ul><li style="text-align: justify;">Dweck C. (2015), «Carol Dweck revisits the growth mindset», Education Week, 35, 20-24. </li><li style="text-align: justify;">Gordon T. (2003), Teacher effectiveness training, Three Rivers Press, New York. </li><li style="text-align: justify;">Putwain D.W., Nicholson L.J., Nakhla G., Reece M., Porter B., Liversidge A. (2016), «Fear appeals prior to a high-stakes examination can have a positive or negative impact on engagement depending on how the message is appraised», Contemporary Educational Psychology, 44, 21-31.</li><li style="text-align: justify;">Putwain D.W., Remedios R., Symes W. (2015), «Experiencing fear appeals as a challenge or a threat influences&nbsp;attainment value and academic self-efficacy», Learning and Instruction, 40, 21-28. </li><li style="text-align: justify;">Putwain D.W., Roberts C.M. (2012), «Fear and efficacy appeals in the classroom: The secondary teachers’ perspective», Educational Psychology, 32, 355-372. </li><li style="text-align: justify;">Ryan R.M., Deci E.L. (2017), Self-determination theory. Basic psychological needs in motivation, development, and wellness, Guilford Press, New York. </li><li style="text-align: justify;">Symes W., Putwain D.W. (2016), «The role of attainment value, academic self-efficacy, and message frame in the appraisal of value-promoting messages», British Journal of Educational Psychology, 86, 446-460.</li></ul>

Parole da dire/non dire A partire dall’assunto che ciò di cui abbiamo realmente bisogno è di sentirci in crescita ai vari livelli (più competenti, valorizzati, maggiormente capaci di dare significato, con un più vasto bagaglio di conoscenze, sapendo fare più cose), funzionerebbero piuttosto i messaggi che valorizzano queste dimensioni, di fatto soddisfacendo i bisogni di sentirsi capiti, incoraggiati e stimolati, in un ambiente sicuro e cioè supportivo e attento a come ci sentiamo e interpretiamo la situazione. Alcuni esempi di potenziali messaggi scoraggianti o promuoventi (Dweck, 2015; Gordon, 2003; Ryan, Deci, 2017) sono riportati nella Tabella 1. Tuttavia è importante ribadire che le parole di per sé non sono (de)motivanti. Conta l’interpretazione, ovvero come sono filtrate dall’insieme di convinzioni e auto-percezioni. Fa la differenza, quindi, se riescono a smuovere le spinte motivanti interne: sentirsi valorizzati, capaci, liberi.

Se non vi applicherete, se non starete attenti, se non studierete... è la tattica “scaring”, basata sullo spaventare o sul ricordare conseguenze negative dell’evitamento. Funziona? Motiva di più indurre paura e minacciare o favorire speranze con frasi del tipo: ce la puoi fare, riprovaci, impegnati ancora un po’? Quali messaggi possono davvero motivare?

Se non vi applicherete...

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