La relazione allievo-scuola-genitore

Il colloquio insegnante-genitore-allievo - "Pillole" per cominciare bene

La musica fa bene, prima e dopo la nascita

Bullismo e cyberbullismo: strumenti e idee per la scuola

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

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	<li>Maiolo G. (2019), Mio figlio tra bullismo e cyberbullismo: vittima, bullo o complice?, Giunti EDU, Firenze.</li>
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Un volume divulgativo dedicato ai genitori e agli adulti di riferimento di ragazzi coinvolti a vario titolo in situazioni di bullismo o cyberbullismo. Il volume rimanda a casi concreti ed esperienze di vita vissuta e &ndash; attraverso una serie di narrazioni e box &ndash; aiuta le famiglie a orientarsi nella complessit&agrave; dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo, ad affrontare le problematiche connesse e a sostenere il proprio figlio che ne sia vittima e/o a intervenire in modo adeguato qualora sia bullo o complice.

Valentina (nome di fantasia) ha sperato ogni giorno che i suoi compagni potessero avere compassione di lei e prima o poi la lasciassero in pace. Ma inutilmente. La guardavano e ridevano con una spavalderia tagliente. In fondo l’hanno sempre derisa per quel suo corpo informe, troppo grosso e incontenibile. Vale, come la chiamano tutti da sempre, porta con sé da anni parole cattive e insulti che le ruotano in testa e da cui non riesce a staccarsi. Ha un corpo ferito dalle prepotenze quotidiane. Ha cicatrici come testimoni degli incubi notturni e angosce fatte di parole odiose scritte con il fuoco sulla pelle, ma abilmente nascoste ai grandi. Ha la certezza di essere sbagliata, inutile e colpevole. Nessuno saprà mai aiutarla. «Vale sei un maiale» e giù grugniti e ghiande. Come quel giorno al bagno, prigioniera dei maschi della sua classe, costretta a mangiare da un sacchetto di plastica puzzolente ghiande e sale in un misto di giaculatorie spudorate e difficili da capire. Valentina ha imparato a tenere tutto per sé. Sempre. Ora sa nascondere il pianto e la disperazione, che non dice a nessuno.

Alcune considerazioni sul caso

Alcuni campanelli di allarme

Come intervenire

La storia di Valentina è emblematica e simile a tante altre storie di offese sia fisiche sia verbali. Racconta i soprusi di un’intera classe che per anni l’ha presa in giro e umiliata perché obesa. Parla di un gruppetto di aguzzini che per anni l’ha torturata ma, come al solito, dice anche che molti erano quelli che guardavano e osservavano senza intervenire. In particolare femmine. È questo il tragitto abituale della vittima, di ogni vittima di violenza, che aggiunge al male fisico e morale anche un devastante sentimento di solitudine. Perché più questo si intensifica, più aumenta nella vittima la sensazione di essere isolata dal mondo delle relazioni e fa crescere la convinzione che non vi sia nessuno che possa aiutare. Così Vale si richiude sempre di più, si assenta, non parla, non denuncia i fatti e non dice a nessuno quello che subisce. Tiene per sé tutto, forse con la speranza o l’illusione che la situazione cambi. Invece, come spesso succede, le offese e i soprusi continuano a lungo, per un tempo che pare infinito, e chi subisce questa condizione si convince che è meglio tacere. Valentina, chiusa nel suo assoluto silenzio che non lascia trapelare nulla, finisce con il pensare che sia meglio prendersi le botte piuttosto che mostrare le ferite dell’anima. Preferisce il male fisico a quel dolore interno che non sa come gestire. Il silenzio, allora, quello che sovente regna sovrano negli abusi, nasce dalla profonda svalutazione che la vittima prova per se stessa e contiene un misto di sentimenti di vergogna e di colpa che imprigionano. La trappola in cui Valentina è rimasta per lunghi anni è l’identificazione con i suoi aguzzini, di cui, paradossalmente, giustifica il comportamento. È come se intimamente si dicesse che se il gruppo la tormenta è perché lei lo merita in quanto diversa dalle altre, brutta e informe. Sbagliata e inutile. E oltre alla colpa c’è la paura di dire e non essere creduta. Peggio ancora, teme che uscire allo scoperto, denunciare e segnalare gli aggressori le faccia rischiare ulteriori ritorsioni. Infine c’è l’illusione che prima o poi i torturatori finiscano di farle del male e si concluda il tempo malevolo della scuola primaria. Invece l’inferno continua anche alle medie.

La prima cosa, forse quella che precede ogni situazione di disagio conclamato, è la preoccupazione, che di solito è parola associata all’ansia e alla paura, ma che in realtà ha significati diversi e positivi. Nella sua etimologia, il pre-occuparsi vuol dire occuparsi prima che qualcosa accada e non aspettare che la sofferenza della vittima emerga o sia questi a dirci che cosa sta vivendo. Significa che il genitore che si preoccupa è quello che ascolta anche il non detto, osserva e controlla il processo di crescita del figlio. In altre parole la preoccupazione è avere uno sguardo attento, non ansioso ma ampio, che permette di vedere “oltre” e al contempo è in grado di offrire partecipazione affettiva, sicurezza e fiducia. Quando però la situazione è più complessa e grave e un genitore si accorge che il proprio figlio è vittima di azioni bulle sia reali sia virtuali, prima di tutto dovrebbe:<ul><li style="text-align: justify;">non fare interrogatori sfiancanti, che possono incrementare i sentimenti di colpa; </li><li style="text-align: justify;">offrire la massima comprensione e in particolare dare disponibilità all’ascolto;</li><li style="text-align: justify;">informare dei fatti la scuola – se il bullismo si sviluppa in quel contesto;</li><li style="text-align: justify;">suggerire alla vittima di non rispondere alle provocazioni né supplicare il bullo di comprensione;</li><li style="text-align: justify;">invitare il figlio/a a coltivare amicizie e relazioni con compagni diversi;</li><li style="text-align: justify;">offrire aiuto per allargare la cerchia delle amicizie;</li><li style="text-align: justify;">prevedere l’intervento specialistico di un esperto non solo nelle situazioni più gravi ma in tutti quei casi in cui la vittima manifesta iniziale isolamento sociale e perdita di fiducia e autostima. </li></ul>

Come al solito, molti erano quelli che guardavano e osservavano senza intervenire

Preoccupazione è avere uno sguardo attento, ampio, che permette di vedere “oltre”, in grado di offrire sicurezza e fiducia

Una storia come questa ci fa capire che molti possono essere i segnali che la vittima lascia intravvedere. Ve ne sono alcuni evidenti, che si possono e si devono cogliere subito. Altri invece sono più nascosti e difficili da vedere. Tra i primi a cui fare attenzione vi sono i cambiamenti improvvisi del comportamento, per esempio:<ul><li style="text-align: justify;">frequenti malesseri mattutini che “chiedono” di restare a casa da scuola;</li><li style="text-align: justify;">il rifiuto esplicito di andare a scuola, motivato dalla paura per una verifica o per non aver studiato abbastanza;</li><li style="text-align: justify;">il peggioramento rapido del rendimento scolastico;</li><li style="text-align: justify;">il ritiro frequente nella propria camera;</li><li style="text-align: justify;">la repentina modifica dei comportamenti abituali che da vivaci e gioiosi diventano tristi e preoccupati.</li></ul>Altri segnali di un disagio nascosto più grave e persistente che la vittima vive in silenzio sono:<ul><li style="text-align: justify;">una scarsa o assente vita sociale: ha pochi amici e amiche;</li><li style="text-align: justify;">rare conversazioni telefoniche o chat con i pari;</li><li style="text-align: justify;">scarsi inviti a partecipare a una festa o a una gita;</li><li style="text-align: justify;">poca cura fisica, anzi trascuratezza nell’abbigliamento e nell’igiene;</li><li style="text-align: justify;">svogliatezza a scuola e fatica a concentrarsi;</li><li style="text-align: justify;">risultati scolastici negativi, poco interesse e desiderio di abbandono della scuola;</li><li style="text-align: justify;">persistente inappetenza con anche progressiva perdita di peso;</li><li style="text-align: justify;">disturbi continui del sonno, difficoltà consistenti nell’addormentamento;</li><li style="text-align: justify;">azioni autolesive, come tagli ai polsi e/o alle caviglie o altre parti del corpo. </li></ul>

Indicazioni e strategie per favorire la collaborazione tra scuola e famiglia

Registrazione | Psicologia e scuola

FAQ 15. La famiglia può chiedere di tenere nascosto il disturbo e applicare solo forme di tutela che non siano visibili o riconoscibili come tali dai compagni? (ed. PLUS)

Quando un figlio è vittima di bullismo

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