Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Massimo Ammaniti è considerato uno dei più autorevoli psicoanalisti italiani dell’età evolutiva. È stato Professore ordinario di Psicopatologia Generale e dell’Età Evolutiva presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Roma la Sapienza e, dal 1994, Professore ordinario di Psicopatologia dello Sviluppo. È Presidente dell’Associazione Italiana per la Salute Mentale Infantile, membro dell’Osservatorio per la Salute Mentale del Ministero della Salute e dell’Osservatorio per l’Infanzia e l’Adolescenza del Ministero del Lavoro e per le Politiche sociali. Membro del Research Advisory Board dell’International Psychoanalytical Association e del Board of Directors della World Association of Infant Mental Health (WAIMH), è autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, molte delle quali tradotte in più lingue. I suoi studi si sono concentrati sull’analisi dei rapporti che intercorrono tra genitori e figli in età infantile. Ha inoltre approfondito tematiche quali i problemi dell’adolescenza, il lavoro genitoriale, i ruoli della famiglia nella società moderna.

Rispetto al passato, gli adolescenti di oggi sono perlopiù molto competenti in campo tecnologico, entrano nei siti e raccolgono una molteplicità di informazioni. Un insegnamento tradizionale rischia di essere poco motivante e inibisce il desiderio di esplorazione dei ragazzi. Occorre puntare sul ruolo attivo dei ragazzi e sul lavoro di gruppo, non trascurando tuttavia anche il lavoro individuale.

Le nuove tecnologie giocano un ruolo importante fin dal primo anno di vita: infatti il bambino è attratto dallo schermo di un computer più che da un giocattolo. Anche negli anni successivi i video e i videogiochi attirano l’attenzione dei bambini, stimolando le capacità di percezione e di abilità motoria. Bisogna fare attenzione che non si crei una dipendenza.

Come mostrano le ricerche del periodo fetale e della prima infanzia, si sviluppa precocemente un’intenzionalità motoria diretta sia a se stessi sia all’altro, che diventa sempre più importante nel primo anno di vita. Per esempio, fin dalla nascita il neonato è in grado di imitare le espressioni facciali di un adulto di fronte a lui, un meccanismo relazionale di equivalenza e di affiliazione con l’altro. Nei mesi successivi, nella relazione con la madre e le altre figure l’Io motorio gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della relazione. In queste relazioni fra madre e bambino i contatti faccia a faccia e oculari giocano un ruolo fondamentale, come già aveva messo in luce Donald Winnicott. Rispecchiamenti reciproci, marcature materne (marking), alternanze di turni costituiscono una coreografia relazionale che fa pensare a un ritmo di danza, nel quale a volte madre e bambino si muovono all’unisono, mentre altre volte si creano delle asincronie, che nella maggior parte dei casi vengono riparate. È interessante la convergenza fra queste osservazioni e i contributi di Christopher Bollas (2018), secondo cui «l’oggetto può proiettare la sua ombra senza che il bambino sia in grado di processare questa relazione attraverso le rappresentazioni mentali e il linguaggio». È l’ambito del “conosciuto non pensato” che viene percepito attraverso modificazioni sensoriali, propriocettive ed enterocettive. Si crea un flusso temporale relazionale in cui si sviluppano corrispondenze e contingenze che suscitano un senso di piacere quasi estetico, da cui potrebbero prendere corpo fantasie grandiose di tipo narcisistico. Va anche ricordato che queste corrispondenze reciproche creano un senso di connessione e di intimità anche fisica, come è documentato tra l’altro dalla concordanza dei ritmi cardiaci della madre e del bambino. Il lattante internalizza queste esperienze relazionali dell’essere, una matrice relazionale che verrà implicitamente riattivata nel corso della vita nelle relazioni con gli altri, soprattutto quelle affettivamente coinvolgenti. Questa internalizzazione favorisce la costruzione di reti di memorie interattive che vengono attivate e sollecitate dalle relazioni con le figure di attaccamento e si riverberano anche a livello cerebrale, favorendo per esempio l’attivazione del sistema mirror (Murray et al., 2016).

In alcune ricerche hai affrontato il tema dell’impatto delle nuove tecnologie sullo sviluppo del bambino. Potresti illustrare un risultato che ritieni particolarmente significativo?

Al Congresso AIRIPA su “Psicologia e Scuola al tempo del Covid” hai sostenuto che il tipo di attaccamento del bambino ha avuto importanti implicazioni sulla sua reazione alla minaccia pandemica. Potresti precisare in che senso?

Durante la pandemia i bambini con attaccamento sicuro sono stati maggiormente in grado di regolare e modulare le proprie emozioni, soprattutto quelle negative. Tuttavia l’aspetto più significativo riguarda la capacità di ricercare e stimolare la protezione da parte delle figure di attaccamento, a differenza dei bambini insicuri, che hanno maggiori difficoltà a relazionarsi.

Con Pier Francesco Ferrari hai recentemente pubblicato un libro dal titolo molto suggestivo, Il corpo non dimentica. L’io motorio e lo sviluppo della relazionalità. Potresti spiegare il senso di questo titolo? Perché l’io motorio è legato alla relazionalità?

Hai pubblicato ricerche e libri sull’adolescenza affrontandone molti risvolti importanti. Secondo te, qual è la sfida più importante che la scuola deve affrontare per rispondere alle esigenze degli adolescenti d’oggi?

Ti sei impegnato in un progetto di formazione dello psicologo scolastico, una figura che è diventata di particolare attualità nel corso dell’anno scolastico 2020-2021. Come immagini questa figura?

Dal mio punto di vista lo psicologo scolastico collabora per l’organizzazione della scuola (formazione delle classi, attività didattiche e integrative, rapporti con le famiglie ecc.), ma costituisce anche un riferimento per gli alunni e gli insegnanti. Svolge attività di screening per i disturbi dell’apprendimento, per il cui approfondimento e trattamento occorre rivolgersi a specialisti.

Lo sviluppo della relazionalità

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