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Tra i punti irrinunciabili del Reggio Emilia Approach non hai ricordato il senso estetico?L’estetica non è una qualità opzionale per i luoghi educativi, ma una dimensione intrinseca dei processi di conoscenza oltre che delle relazioni e degli ambienti. Ancora adesso, nonostante ci sia stata una evoluzione nella cultura dei servizi educativi, si pensa che a un bambino piccolo possa bastare un ambiente “piccolo” di spazi, pensieri, materiali, saperi. Noi pensiamo invece che i bambini abbiano diritto al meglio della cultura. Tanto più sono piccoli, tanto più è importante la qualità degli stimoli. I bambini sono molto sensibili alla bellezza, una sensibilità che va alimentata, oltre che rispettata. Hanno diritto a una estetica delle relazioni, che significa adulti capaci di dialogare e di pensare insieme, hanno diritto a una estetica dell’apprendimento, che significa una qualità progettuale capace di connettere le ricerche che i bambini fanno fin da piccolissimi con le forme culturali e i concetti più contemporanei della cultura adulta. Estetica quindi come complessità, attenzione al dettaglio, dialogo, curiosità culturale, sfidare i limiti del pensiero e dell’economia, non riduzionismo, non semplificazione. “Fare una scuola amabile (operosa, inventosa, vivibile, documentabile e comunicabile, luogo di ricerca, apprendimento, ricognizione e riflessione) dove stiano bene bambini, insegnanti e famiglie, è il nostro approdo” (Loris Malaguzzi). © Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia

L’atelier e la figura dell’atelierista sono una invenzione dei vostri. Che significato assumono oggi? L’atelier e l’atelierista sono stati una scelta di fondamentale importanza per introdurre i linguaggi, a partire da quelli dell’arte, con qualità espressiva, superando la sub-cultura della custodia e dei “lavoretti”. I linguaggi espressivi sono empatici con i modi di conoscere dei bambini soprattutto piccolissimi: mentre le mani dialogano con i materiali e danno loro forme mutevoli, prendono forma nelle menti dei bambini nuovi pensieri e nuove connessioni. Ogni linguaggio messo a disposizione dei bambini, è una porta d’accesso in più verso la conoscenza del mondo e del loro modo di conoscere. Un uso del materiale non verso prodotti previsti, ma come offerta ai bambini per trovare le loro forme espressive e comunicative, con gli altri&nbsp;bambini in dialogo e non solo vicini, e un adulto sapiente, cioè capace di dare significato in modo sensibile e colto alle azioni dei bambini. Un rapido approfondimento vorrei farlo sui bambini che ricercano insieme, fin da piccolissimi. La conoscenza si costruisce attraverso l’atteggiamento di ricerca che appartiene naturalmente ai bambini e che è scelta professionale ed etica degli educatori che non si affidano a modelli già dati, ma ricercano con i bambini le forme dell’apprendimento.

Sezione 4 anni, Scuola comunale dell’infanzia al Centro Internazionale Loris Malaguzzi

Che cosa ha significato scegliere condizioni coerenti con questo posizionamento teorico?Innanzitutto, pensare ai nidi e alle scuole dell’infanzia come luoghi di collettività, cioè spazi di relazione per i bambini e per gli adulti. Questa idea ha determinato alcune scelte organizzative: <ul><li>coppie e terne di insegnanti come riferimenti plurimi di un gruppo significativo di bambini e dei loro genitori; </li><li>il gruppo di lavoro (insegnanti, cuochi, ausiliari), come collettivo corresponsabile del progetto educativo;&nbsp; </li><li>un tempo significativo per l’aggiornamento, la partecipazione dei genitori e la relazione con la città compreso nell’orario di lavoro di tutti i profili professionali e da spendersi collegialmente; </li><li>un ambiente il più possibile trasparente (l’invenzione di parti vetrate nelle pareti delle stanze nasce di qui) e percorribile nella sua interezza dai bambini; </li><li>materiali esplorabili alla portata dei bambini e non chiusi in armadi o in laboratori, per favorire la loro autonomia; </li><li>il lavoro a piccolo gruppo per favorire le dinamiche tra i bambini. </li></ul> Essere un luogo di collettività per i genitori ha significato promuovere una partecipazione che innesta anche una dimensione politica e sociale. Quindi genitori di un bambino, ma anche cittadini che guardano ai servizi oltre il qui e ora, e oltre il servizio educativo. L’idea di un bambino competente a costruire conoscenza ha richiesto un cambiamento nel ruolo degli insegnanti, che si è spostato da un approccio di tipo programmatorio, cioè tutto in mano agli adulti e secondo stadi di sviluppo predefiniti, a un approccio di tipo progettuale, cioè frutto di una dinamica reciproca di costruzione tra quegli adulti e quei bambini. Fondamentale è stata, in questo, la strategia della documentazione, come pratica quotidiana e come strumento per gli insegnanti per mettere a fuoco i modi di conoscere dei bambini, mettersi in dialogo con essi, dare significato ai loro percorsi di ricerca e renderli visibili ai colleghi e ai genitori. Ha significato inoltre superare la separazione e distinzione tra routine e attività, per pensare la vita nel nido come un fluire di situazioni che vedono tutte un bambino capace di costruzione autonoma di abilità, competenze e relazioni.

Sezione piccoli, Nido d’infanzia comunale Gianni Rodari

Intervista a Claudia Giudici, Presidente Reggio Children

Intervista a Claudia Giudici,Presidente Reggio Children

Atelier, Scuola comunale dell’infanzia Diana

Quali sono i punti irrinunciabili del
 
 Reggio Emilia Approach
 
 ?
 


 L’esperienza del
 
 Reggio Emilia Approach
 
 si è avviata negli anni ‘60 del secolo scorso, affondando le proprie radici nella realtà delle scuole popolari autogestite nate sul territorio nel dopoguerra. L’elemento centrale che ha dato vita a questo approccio è una idea di bambino rivoluzionaria per quell’epoca: anticipando infatti ricerche che avrebbero poi offerto un supporto scientifico a questa scelta, le scuole dell’infanzia e i nidi reggiani sono nati in relazione a una idea di bambino competente, costruttore di conoscenz

Quali sono i punti irrinunciabili del Reggio Emilia Approach? L’esperienza del Reggio Emilia Approach si è avviata negli anni ‘60 del secolo scorso, affondando le proprie radici nella realtà delle scuole popolari autogestite nate sul territorio nel dopoguerra. L’elemento centrale che ha dato vita a questo approccio è una idea di bambino rivoluzionaria per quell’epoca: anticipando infatti ricerche che avrebbero poi offerto un supporto scientifico a questa scelta, le scuole dell’infanzia e i nidi reggiani sono nati in relazione a una idea di bambino competente, costruttore di conoscenza, che non attendeva l’adulto per imparare, capace di relazioni produttive con i pari fin da piccolissimo. Un bambino che chiedeva di essere sottratto alla anonimia. Diceva Loris Malaguzzi nel 1989: “La grossa questione è quella di non impedire assolutamente all’infanzia di testimoniare se stessa. (…) Il diritto cioè di essere capaci di testimoniare se stessi, o di essere essi stessi protagonisti identificati in una identità che piace anche a loro.” Questa idea che era, agli inizi degli anni ‘60, una scelta di ordine ideale e politico, negli anni ‘80 è diventata una realtà sostenuta unanimemente dalla ricerca scientifica.

Quali sono i punti irrinunciabili del Reggio Emilia Approach? L’esperienza del Reggio Emilia Approach si è avviata negli anni ‘60 del secolo scorso, affondando le proprie radici nella realtà delle scuole popolari autogestite nate sul territorio nel dopoguerra. L’elemento centrale che ha dato vita a questo approccio è una idea di bambino rivoluzionaria per quell’epoca: anticipando infatti ricerche che avrebbero poi offerto un supporto scientifico a questa scelta, le scuole dell’infanzia e i nidi reggiani sono nati in relazione a una idea di bambino competente, costruttore di conoscenza, che non attendeva l’adulto per imparare, capace di relazioni produttive con i pari fin da piccolissimo. Un bambino che chiedeva di essere sottratto alla anonimia. Diceva Loris Malaguzzi nel 1989: “La grossa questione è quella di non impedire assolutamente all’infanzia di testimoniare se stessa. (…) Il diritto cioè di essere capaci di testimoniare se stessi, o di essere essi stessi protagonisti identificati in una identità che piace anche a loro.” Questa idea che era, agli inizi degli anni ‘60, una scelta di ordine ideale e politico, negli anni ‘80 è diventata una realtà sostenuta unanimemente dalla ricerca scientifica.

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