Scuola dell'infanzia di marzo: Parole per crescere

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Muoviamo i primi passi

Il dettato ortografico

Calcolatrice e altre strategie

Mi &egrave; capitato recentemente di incontrare una donna italo-polacca che lavora in una grande organizzazione umanitaria. Mi ha raccontato che quando era bambina sua madre, che viveva in Italia, si vergognava un po&rsquo; della sua lingua e dunque parlava sempre con lei in italiano. Il parlare della bambina era soprattutto con la madre &ndash; il padre era assente per motivi di lavoro &ndash; ma il fatto che la donna lo facesse in una lingua che non era la sua ha fatto s&igrave; che lei per tutta l&rsquo;infanzia abbia parlato una lingua elementare, povera.

Mi ha colpito particolarmente perch&eacute; questa ferita dell&rsquo;aver appreso una lingua da qualcuno che la parlava a stento se la porta ancora dentro dopo tanti anni.

Mi ha colpito perch&eacute; non si tratta di una persona che ha avuto difficolt&agrave; o &egrave; vissuta in un contesto disagiato, eppure questa povert&agrave; linguistica ancora, oltre i cinquant&rsquo;anni, l&rsquo;ha segnata, &egrave; un qualcosa di cui si sentiva e si sente privata.

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Lingua della casa, lingua della scuola

Dunque &egrave; importante che noi insegnanti, maestre e maestri, non diciamo (o pensiamo) che &egrave; meglio che gli alunni stranieri che frequentano le nostre classi parlino italiano in casa o che &egrave; preferibile che non siano stimolati a parlare la lingua della casa. Io credo invece che un possesso ricco e pieno della lingua madre sia la premessa per parlare bene la lingua del Paese in cui ci si trova a vivere. Anche perch&eacute; il fatto che noi viviamo in classi disomogenee, plurali potrebbe costituire invece un&rsquo;enorme ricchezza e arricchimento linguistico per tutte e tutti; se noi avessimo il coraggio di trovare il tempo per dedicare attenzione alle tante lingue madri che popolano le nostre classi penso che tutti ne usciremmo arricchiti.

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Un possesso ricco e pieno della lingua madre &egrave; la premessa per parlare bene la lingua del Paese in cui ci si trova a vivere

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Contro l&#39;apartheid linguistico

Faccio alcuni esempi. Qualche anno fa in una classe ho avuto una bambina di origine marocchina; c&rsquo;era un cartello che avevamo appeso alla parete con scritto &ldquo;Dove si nasconde la matematica?&rdquo;, che ci siamo portati dietro negli anni. Ognuno al riguardo ogni tanto diceva la sua, e un giorno questa ragazzina ha detto: &ldquo;La matematica &egrave; come un omino che va in bicicletta nella nostra mente e corre, corre, corre e se si ferma cade&rdquo;. Lei arricchiva sempre le nostre discussioni di metafore molto belle. Ma ragionando con lei e con suo padre, ho poi scoperto che in arabo matematica si dice &ldquo;alriyadiaat&rdquo;, termine che sta anche per allenamento, esercizio, in certi casi per acrobazia. Ecco che questo ci mostra che ci sono alcuni slittamenti linguistici che rendono davvero bene l&rsquo;idea e il significato delle parole, e sicuramente questo significato stava dietro alla metafora proposta dalla ragazzina.

Se avessimo consapevolezza di alcune parole in tante lingue diverse saremmo dunque tutti pi&ugrave; ricchi. Dobbiamo in qualche modo sconfiggere una sorta di &ldquo;apartheid linguistico&rdquo;: c&rsquo;&egrave; una netta e violenta gerarchia tra le lingue, ci sono lingue di serie &ldquo;A&rdquo;, che tutti vorrebbero sapere, e altre che sono secondarie perch&eacute; si pensa che non possano servire. E questo &egrave; sbagliato. Perch&eacute; non dar valore, o darne uno bassissimo, a una lingua che &egrave; la lingua madre dei ragazzi e delle ragazze che popolano le nostre classi &egrave; una forma di violenza, di non accoglienza, di non inclusione.

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La parola come una soglia

Don Lorenzo Milani parlava della parola come di una soglia, e parlava della differenza tra chi quella soglia la varca con libert&agrave; perch&eacute; si sente di possedere le parole, e chi invece la vede come un muro perch&eacute; non pu&ograve; far uscire le sue idee e i suoi ragionamenti.

La cosa migliore da fare, da parte nostra, &egrave; quella di giocare con le lingue: certe volte mi sono divertito con i ragazzi e le ragazze a trovare le parole pi&ugrave; belle in tutte le lingue, e ci siamo accorti che c&rsquo;erano parole intraducibili che erano per&ograve; particolarmente belle. Pensate per esempio se noi, invece di dire la parola &ldquo;profughi&rdquo;, usassimo la lingua farsi e dicessimo &ldquo;cercatori di abbracci&rdquo;, che per loro &egrave; il significato della parola profugo.

Talvolta anche il canto ci pu&ograve; aiutare, o meglio la sonorit&agrave; della lingua: cantare nella propria lingua &egrave; molto significativo. Mi ricordo sempre di un Natale in cui nella mia scuola cantammo tutti insieme alcune canzoni in rumeno, perch&eacute; dove insegnavo c&rsquo;era un&rsquo;estesa comunit&agrave; rumena. Ricordo i volti delle mamme e dei pap&agrave; che assistevano allo spettacolo e l&rsquo;emozione di sentirsi in un Paese straniero in cui tutti cantavano nella loro lingua. Per loro &egrave; stato un segno di riconoscimento, di ascolto, di comunit&agrave;. Per noi &egrave; stato come bussare alla porta di quella lingua e provare a gustarla, anche se da lontano.

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Bellezza e significato delle sonorit&agrave;

Rispetto alla bellezza delle tante sonorit&agrave; delle lingue ricordo anche l&rsquo;episodio di una donna somala che veniva a trovarci a scuola e ci raccontava che il somalo &egrave; stata una delle ultime lingue scritte tra le lingue africane; se vi capita di sfogliare un libro scritto in somalo scoprirete che in questa lingua ci sono tantissime doppie vocali, e questo perch&eacute;, ci spiegava la donna, i somali vivono spesso all&rsquo;aperto e per parlare con chi &egrave; lontano devono prolungare i suoni che altrimenti non arrivano. Questo ci mostra addirittura come la lingua contiene dentro di s&eacute; anche informazioni sul paesaggio, sul modo di vivere, sull&rsquo;antropologia profonda che sta dietro il nostro modo di stare al mondo. Qui la lingua ci racconta qualcosa che altri linguaggi non sono in grado di rivelare.

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Riconoscere il valore delle lingue

Tutto questo per dire: giochiamo con le parole, giochiamo con le parole intraducibili delle altre lingue, giochiamo con quelle pi&ugrave; significative per ciascuno di noi.

Se noi frequentassimo almeno un po&rsquo; queste lingue madri e ne riconoscessimo pienamente il valore faremmo un piccolo percorso verso la democrazia. Chi arriva da viaggi lontani ha il diritto di sentire, anche nella nuova terra in cui abita, che il suono della sua lingua madre ha dignit&agrave;.

&copy; illustrazione di Gloria Francella tratta da Le parole per stare insieme, Fatatrac edizioni, 2018 
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Lingua madre e democrazia

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