Sulla punizione: un sondaggio

Diversità: mai perdere la capacità di meravigliarsi

Il senso di sé cognitivo

La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

Seguendo il suggerimento di un giovane artista di Catania, ospite a Cenci per una residenza artistica dedicata agli alberi e alle radici, una mattina abbiamo cominciato a cercare nel bosco dei rami secchi leggeri che fossero lunghi circa un metro. Tra noi venti operatori e insegnanti che partecipavamo alla proposta qualcuno ha scelto rami sottili che si piegavano, altri rami più spessi dalla corteccia rugosa, altri ancora hanno tagliato e utilizzato alcune canne cresciute al bordo del prato.&nbsp;Un metro di distanza e l’equilibrio&nbsp;Ci siamo poi messi in cerchio guardando ciascuno le spalle di chi stava alla nostra destra e a questo punto Francesco Re Li Calzi ci ha proposto di poggiare con attenzione il nostro legno tra il nostro petto e il collo della compagna o compagno che stava di spalle davanti a noi, in modo che stesse in equilibrio. Non è stato facile raggiungere contemporaneamente l’equilibrio e riuscire a tenere sospesi tra i nostri corpi venti rami sottili. Si trattava di allargare o stringere il cerchio in modo da trovare la giusta distanza tra noi. Ci siamo molto divertiti però, in questa ricerca di equilibrio, e abbiamo allora tentato altri equilibri guardando tutti verso il centro del cerchio e tenendo i rami poggiati sui nostri fianchi. Abbiamo poi provato a tenerli sospesi tra le nostre orecchie, materializzando così un ipotetico filo dell’udire che ci metteva tutti in comunicazione. Sono certo che, se ci fossero state bambine o bambini, avrebbero escogitato e proposto decine di altri modi per collegare e tenere a distanza i nostri corpi.&nbsp;Mantenere l’attenzione reciproca&nbsp;Ho raccontato questa piccola esperienza perché penso si possa realizzare nel cortile, giardino o palestra di qualsiasi scuola portando noi, laddove non ci siano alberi, tondini di legno sottili facilmente reperibili in qualsiasi negozio di bricolage. Oppure, ancor meglio, andando a cercare rami secchi da raccogliere, se vi sono spazi della città dove trovarne. Cercare insieme la giusta distanza e giocarci e provare a mantenerla in tutti i modi possibili è il grande tema di quest’anno di scuola.&nbsp;Ma c’è qualcosa di più sottile che evoca questo gioco, questa piccola opera d’arte apparentemente effimera: sperimentare insieme la difficoltà e la felicità di trovare in gruppo una forma e una posizione tra i nostri corpi, in grado di costruire un equilibrio fondato su un’attenzione reciproca che non deve cadere, perché se cade finisce il gioco.&nbsp;Senza ascolto i bambini non parlano più&nbsp;Non è così anche con le parole? Non accade in classe, ogni giorno, che una gran quantità di parole cadano nel vuoto? Non solo le parole che sembrano non riuscire ad arrivare ai nostri allievi, di cui spesso ci lamentiamo noi insegnanti, ma soprattutto le parole di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, accolte troppo spesso senza vero ascolto da parte nostra e dunque del gruppo. Tutte quelle parole cadute e sparse a terra inducono giorno dopo giorno molti a non parlare più o, peggio, a dare sempre meno valore a ciò che pensano, come se ci fossero pensieri e ricordi ed emozioni e associazioni di poca importanza, da non prendere in considerazione. Se la parola è metà di chi la dice e metà di chi l’ascolta, come ci ricorda Montaigne, l’equilibrio capace di riconoscere pari dignità alle espressioni di tutte e tutti è delicato e instabile. Per reggere, come nel gioco dei legnetti, ha bisogno di una partecipazione attiva di ciascuno, difficile da costruire. La&nbsp;consuetudine al dialogo&nbsp;Perché si crei un contesto in cui sviluppare una comunità capace di ascolto reciproco ci vuole uno spazio adatto, un tempo sufficientemente disteso e modi efficaci di innescare dialoghi che tocchino il cuore di una questione. Ma prima di tutto questo è necessario costruire una consuetudine al dialogo, resa possibile da una giusta distanza tra noi, che dobbiamo cercare di ricalibrare in continuazione. Una distanza che permetta a ciascun bambino o ragazzo di esprimersi in piena libertà, senza timore di dire cose strane o “sbagliate”, senza timore di andare fuori tema. E per dare pieno valore e dignità all’esprimersi di ciascuno c’è bisogno di una vicinanza di sguardi e della capacità di mostrare e dimostrare che si sta ascoltando con sincera partecipazione e attenzione e serietà, anche quando magari si ride o si sorride insieme.&nbsp;Raccogliere e restituire&nbsp;C’è bisogno, soprattutto, di restituire ciò che pian piano emerge nelle conversazioni prendendo appunti e registrando i dialoghi che riusciamo a suscitare in classe. È nel restituire scritti al gruppo classe i pensieri emersi che diamo valore, visibilità e concretezza a parole altrimenti volanti. Ci sono temi molto delicati che da mesi attraversano le emozioni e associazioni che accompagnano la grande esperienza che stiamo vivendo: la malattia e la cura, lo stato di salute dei singoli e del pianeta che abitiamo. È un’occasione unica, da non perdere, per ripensare a fondo le priorità che governano le nostre vite e le nostre scelte. Credo sia di grande interesse raccogliere con cura frammenti di pensiero e di memoria e giorno dopo giorno, senza fretta, provare a comporre in ogni classe e confrontandoci tra classi diverse, un grande affresco del tempo della pandemia, capace di raccogliere sconcerti e sorprese, differenze e contraddizioni, paure e aperture al nuovo. Nelle crisi che sconvolgono la quotidianità sorgono sempre idee inaspettate e originali. Sono convinto che, nel grande bisogno di trovare nuove vie alle nostre scelte economiche e al nostro vivere sociale, abbiamo bisogno dei pensieri e delle elaborazioni delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi che guardano al loro futuro con preoccupazione e, dunque, con una nuova attenzione a cui abbiamo l’obbligo di dare respiro.

Le parole cadute e la giusta distanza

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