La scuola è #gioco

Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Chissà perché quando si parla di inclusione si pensa subito alle persone con disabilità o al limite alla condizione di chi proviene da altri paesi e da culture diverse. Provo a ribaltare il ragionamento: ognuno di noi ponga se stesso al centro della riflessione e si chieda: «Quando mi sento davvero incluso in un gruppo?», «In quali occasioni mi sono sentito escluso e perché?». Le risposte a queste domande non sono difficili e non richiedono parole altisonanti: mi sento incluso quando sono parte di un gruppo e quando vivo questa appartenenza come possibilità concreta di dare il mio contributo a una discussione, a un gioco, a un’attività; inclusione è partecipare e sentirsi alla pari, in una relazione, in un’amicizia, in un gruppo. Ma non basta: l’inclusione si concretizza nell’idea di valere, di essere capaci, di essere apprezzati. Diceva Stella Young, insegnante, comica e attivista per i diritti delle persone con disabilità, che normalmente ci si aspetta troppo poco dagli individui che hanno una disabilità, finendo per considerare eccezionale chi cerca semplicemente di utilizzare al meglio le proprie potenzialità. Ognuno di noi ha sperimentato un senso di esclusione nei momenti in cui la scarsa considerazione da parte degli altri ha rischiato di minare la nostra autostima e il senso di autoefficacia. Pensando alla scuola, un’educazione inclusiva si basa fortemente sul credere nelle potenzialità degli alunni, da un lato creando spazi di partecipazione e puntando a consolidare autostima e motivazione all’impegno, dall’altro favorendo un clima collaborativo che consenta agli alunni di trovare attivamente strategie per comunicare e creare legami anche nelle situazioni di difficoltà.

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Chissà perché quando si parla di inclusione si pensa subito alle persone con disabilità o al limite alla condizione di chi proviene da altri paesi e da culture diverse. Provo a ribaltare il ragionamento: ognuno di noi ponga se stesso al centro della riflessione e si chieda: «Quando mi sento davvero incluso in un gruppo?», «In quali occasioni mi sono sentito escluso e perché?».Le risposte a queste domande non sono difficili e non richiedono parole altisonanti: mi sento incluso quando sono parte di un gruppo e quando vivo questa appartenenza come possibilità concreta di dare il mio contributo a una discussione, a un gioco, a un’attività; inclusione è partecipare e sentirsi alla pari, in una relazione, in un’amicizia, in un gruppo. Ma non basta: l’inclusione si concretizza nell’idea di valere, di essere capaci, di essere apprezzati. Diceva Stella Young, insegnante, comica e attivista per i diritti delle persone con disabilità, che normalmente ci si aspetta troppo poco dagli individui che hanno una disabilità, finendo per considerare eccezionale chi cerca semplicemente di utilizzare al meglio le proprie potenzialità. Ognuno di noi ha sperimentato un senso di esclusione nei momenti in cui la scarsa considerazione da parte degli altri ha rischiato di minare la nostra autostima e il senso di autoefficacia. Pensando alla scuola, un’educazione inclusiva si basa fortemente sul credere nelle potenzialità degli alunni, da un lato creando spazi di partecipazione e puntando a consolidare autostima e motivazione all’impegno, dall’altro favorendo un clima collaborativo che consenta agli alunni di trovare attivamente strategie per comunicare e creare legami anche nelle situazioni di difficoltà.

La scuola è #inclusione

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