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Purtroppo, non bene. In generale, i nostri studenti hanno un livello di apprendimento in comprensione del testo, matematica e scienze inferiore agli altri Paesi avanzati. A fronte del ritardo medio, occorre per&ograve; indagare dove si annidano i principali problemi: per esempio, la scuola primaria ha risultati di apprendimento pi&ugrave; che soddisfacenti a livello internazionale, mentre i ritardi si manifestano nella scuola secondaria di primo grado e si accentuano negli istituti tecnici e professionali. Analogamente, se gli studenti del Nord-Est sono fra i migliori in Europa, quelli meridionali mostrano lacune inaccettabili. Infine, le studentesse italiane, pur eccellenti in molte discipline, sono deboli nelle materie scientifiche.

Direi l&rsquo;allungamento del tempo scuola. L&rsquo;estensione della scuola al pomeriggio permetterebbe, da un lato, di procedere a un insegnamento delle discipline maggiormente personalizzato, dall&rsquo;altro, di utilizzare le ore pomeridiane per svolgere attivit&agrave; che aiutino a sviluppare competenze trasversali, come l&rsquo;arte, la musica, lo sport, i laboratori.

&Egrave; da poco uscito un suo volume dal titolo poco confortante &ldquo;La scuola bloccata&rdquo;. Potrebbe spiegare in che senso ritiene che la scuola italiana sia bloccata?

Oltre alla formazione degli insegnanti, quali altre priorit&agrave; vede per &ldquo;sbloccare&rdquo; la scuola?

Come Fondazione Agnelli siamo da poco tornati sul &ldquo;luogo del delitto&rdquo;, per vedere come &egrave; cambiata la scuola secondaria di primo grado a dieci anni di distanza dal nostro primo rapporto. Purtroppo i problemi sono rimasti tali e quali: peggioramento degli apprendimenti, divari legati al retroterra familiare, incapacit&agrave; di fornire un orientamento adeguato agli studenti in vista delle scelte di indirizzo alla scuola superiore, didattica vecchia, eccessivo turnover dei docenti, molti dei quali precari. La scuola media resta una criticit&agrave; del nostro sistema.

Alcune analisi a grande impatto svolte dalla Fondazione riguardano i confronti internazionali sui livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti di diversi Paesi del mondo. Come vede la situazione italiana?

Fra i temi che lei affronta vi &egrave; quello della formazione degli insegnanti. Si &egrave; soliti giustamente invocare l&rsquo;uso di maggiori risorse per la scuola italiana, ma bisogna tenere conto che l&rsquo;Italia ha una quantit&agrave; limitata di risorse. Quali potrebbero essere iniziative utili, ma con limitati costi aggiuntivi per lo Stato italiano?

Il titolo fotografa la situazione della nostra scuola. Sappiamo quali sono i principali problemi (per esempio l&rsquo;assenza di una preparazione didattica dei nostri docenti alle secondarie) ed esiste &ndash; io credo &ndash; un&rsquo;ampia convergenza su dove intervenire. Eppure, in vent&rsquo;anni i nodi sono rimasti irrisolti. &Egrave; evidente che molti attori della scuola pongono veti al cambiamento per difendere i loro &ldquo;interessi particolari&rdquo;; la questione &egrave; che nessun governo &egrave; finora riuscito a superarli. Gli esiti delle politiche scolastiche si possono vedere non prima di una generazione: ai politici non conviene sfidare l&rsquo;impopolarit&agrave; con riforme di cui vedranno gli effetti quando non saranno pi&ugrave; in carica. La tesi del libro &egrave; che per avviare le riforme occorre una forte spinta dell&rsquo;opinione pubblica in generale, che contrasti il blocco di interessi che frena il cambiamento.

La Fondazione Giovanni Agnelli &egrave; nata nel 1966, per volont&agrave; dell&rsquo;Avvocato Agnelli, per contribuire al progresso culturale, economico e sociale dell&rsquo;Italia. Il modello di riferimento erano le grandi fondazioni americane, come Ford e Rand Corporation, che in quegli anni cominciavano a utilizzare le scienze sociali per promuovere cambiamenti nelle politiche pubbliche. La Fondazione Agnelli &egrave;, infatti, prima di tutto una fondazione di ricerca. In passato si &egrave; occupata di molti temi, ma nel 2008 ha compiuto una scelta netta, concentrandoci sull&rsquo;istruzione, che rappresenta il fattore chiave per lo sviluppo del Paese. Lo fa pubblicando analisi su che cosa funziona e che cosa meno nella scuola italiana, con proposte ai decisori politici per migliorare la qualit&agrave; degli apprendimenti degli studenti. Come si pu&ograve; immaginare, l&rsquo;attivit&agrave; di advocacy comporta pazienza &ndash; e non poche frustrazioni &ndash; prima di ottenere risultati concreti. Perci&ograve;, negli ultimi anni abbiamo sempre pi&ugrave; spesso fatto seguire alle nostre ricerche progetti che proponessero sperimentazioni esemplari per rispondere alle lacune del sistema. Un esempio &egrave; stata la ristrutturazione di una scuola secondaria di primo grado pubblica a Torino, che mostra come &egrave; possibile realizzare ambienti scolastici innovativi.

Dottor Gavosto, Lei &egrave; direttore della prestigiosa Fondazione Agnelli. Potrebbe presentare brevemente le attivit&agrave; della Fondazione e spiegare ai lettori della Rivista perch&eacute; &egrave; importante per il mondo della Scuola?

&Egrave; vero che l&rsquo;Italia ha sempre avuto un severo vincolo di bilancio, legato all&rsquo;enorme debito pubblico. Oggi per&ograve; il Piano di ripresa e resilienza mette in campo risorse importanti per l&rsquo;istruzione, circa 20 miliardi di euro: qualche margine di manovra in pi&ugrave; esiste. La riforma pi&ugrave; urgente &egrave; quella della formazione iniziale e dell&rsquo;assunzione dei docenti nella scuola secondaria, decisiva per la qualit&agrave; dell&rsquo;insegnamento: troppo spesso entrano in aula insegnanti di cui non sono mai state verificate le competenze, soprattutto di natura didattica. Con il decreto PNNR 2, per altri versi deludente, su questo punto si fanno dei passi avanti.

Andrea Gavosto &egrave; direttore della Fondazione Giovanni Agnelli dal 2008. Sotto la sua direzione la Fondazione ha concentrato le proprie attivit&agrave; sui temi dell&rsquo;istruzione, pubblicando studi e rapporti sul sistema scolastico e universitario in Italia e realizzando numerosi progetti con le scuole. Si &egrave; laureato in Economia all&rsquo;Universit&agrave; di Torino, completando la sua formazione accademica alla London School of Economics. &Egrave; stato Chief Economist nel Gruppo Fiat e in Telecom Italia e ha inoltre lavorato presso il Servizio studi della Banca d&rsquo;Italia. Collabora regolarmente con la Repubblica e Il Sole 24 Ore.

Lo abbiamo intervistato sullo stato della scuola italiana.

Ricordo che, quando avemmo occasione di incontrarci per un congresso della nostra Rivista, eravamo concordi nel ritenere la scuola secondaria di primo grado un esempio di particolare debolezza della Scuola italiana. Quale &egrave; la sua posizione attuale in proposito?

"La scuola bloccata"

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