L’importanza della sintonia dei punti di vista

Ritrovare un senso di appartenenza

Tempo libero o tempo organizzato?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

La dimensione generativa

Primo esempio. Siamo alla fermata dell’autobus e una persona si rivolge a noi. Non abbiamo sentito la sua domanda perché non eravamo attenti, facciamo uno sguardo ebete (abbiamo la mascherina!) e le chiediamo di ripetere. Da quel momento fino a quando arriva il nostro autobus la persona in questione prova a conversare con noi, ma continuiamo a essere distratti e le rispondiamo a monosillabi. Il nostro comportamento comunica che non intendiamo entrare in relazione con lei. Secondo esempio. Siamo a una cena tra amici e una persona che non conosciamo attira la nostra attenzione, le sorridiamo, ci sorride. Iniziamo a conversare. La rivedremo presto con piacere. Che cosa è accaduto? Tra le molteplici osservazioni che si potrebbero fare, una merita particolare rilievo: nel primo esempio non eravamo attenti all’altro, nel secondo caso sì. Chiedersi se nasce prima la relazione e poi la comunicazione, intesa come scambio consapevole di linguaggio verbale e non verbale, o viceversa, è come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Una cosa è certa: se non c’è attenzione non può esserci né relazione né comunicazione. L’attenzione è la base perché possano avvenire relazione e comunicazione efficaci, fondamentale per l’ascolto e per l’osservazione di ciò che l’altro ci comunica in modo verbale e non verbale.

Essere attenti all’altro che cosa comporta, praticamente? Desiderio e movimento conseguente, attenzione a ciò che dice l’altro, a ciò che fa, guardarlo e vederlo davvero, comprendere i suoi stati d’animo. La scuola si presta più di altri ambienti a esercitare l’attenzione, a comunicare e a instaurare relazioni, e forse è per questo che è tra i luoghi più complessi nel veicolare comunicazioni efficaci e nel costruire relazioni significative. Se non sappiamo leggere l’intenzionalità della comunicazione che trova le sue radici nelle emozioni, se non agiamo in congruenza con il nostro sentire, la comunicazione diviene difficoltosa e spesso inefficace, ma è possibile anche rinunciare al proprio sentire, se lo si fa come dono gratuito e liberamente offerto. «Rinunciare al proprio autentico sentire o alla propria originaria intenzione per farne, in modo deliberato, un “dono” all’altro, o per assumere in pieno le nostre responsabilità verso di lui, costitui­sce una consapevole esperienza di apertura e di accoglienza, che presenta le caratteristiche della maturità e della salute psichica» (Cavalieri, 2007, p. 19). Se invece scegliamo di non comunicare in modo coerente con il nostro sentire, la relazione non sarà gratificante ma improntata al sacrificio vittimistico «… che scaturisce spesso dalla paura di perdere il sostegno altrui…» (Cavalieri, 2007, p. 20), timore inconcepibile di non essere riconosciuti.

La relazione si costruisce

<ul><li>Cavalieri P.A. (2007), Vivere con l’altro. Per una cultura della relazione, Città Nuova, Roma. </li><li>Erikson E.H. (2003), I cicli della vita. Continuità e mutamenti, Armando, Roma. </li><li>Girelli C. (2014), Costruire il gruppo. La promozione della dimensione socio-affettiva nella scuola, La Scuola, Brescia. </li></ul>

Primo esempio. Siamo alla fermata dell’autobus e una persona si rivolge a noi. Non abbiamo sentito la sua domanda perché non eravamo attenti, facciamo uno sguardo ebete (abbiamo la mascherina!) e le chiediamo di ripetere. Da quel momento fino a quando arriva il nostro autobus la persona in questione prova a conversare con noi, ma continuiamo a essere distratti e le rispondiamo a monosillabi. Il nostro comportamento comunica che non intendiamo entrare in relazione con lei.
 
 Secondo esempio. Siamo a una cena tra amici e una persona che non conosciamo attira la nostra attenzione, le sorridiamo, ci sorride. Iniziamo a conversare. La rivedremo

Primo esempio. Siamo alla fermata dell’autobus e una persona si rivolge a noi. Non abbiamo sentito la sua domanda perché non eravamo attenti, facciamo uno sguardo ebete (abbiamo la mascherina!) e le chiediamo di ripetere. Da quel momento fino a quando arriva il nostro autobus la persona in questione prova a conversare con noi, ma continuiamo a essere distratti e le rispondiamo a monosillabi. Il nostro comportamento comunica che non intendiamo entrare in relazione con lei.Secondo esempio. Siamo a una cena tra amici e una persona che non conosciamo attira la nostra attenzione, le sorridiamo, ci sorride. Iniziamo a conversare. La rivedremo presto con piacere.Che cosa è accaduto? Tra le molteplici osservazioni che si potrebbero fare, una merita particolare rilievo: nel primo esempio non eravamo attenti all’altro, nel secondo caso sì. Chiedersi se nasce prima la relazione e poi la comunicazione, intesa come scambio consapevole di linguaggio verbale e non verbale, o viceversa, è come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina.Una cosa è certa: se non c’è attenzione non può esserci né relazione né comunicazione. L’attenzione è la base perché possano avvenire relazione e comunicazione efficaci, fondamentale per l’ascolto e per l’osservazione di ciò che l’altro ci comunica in modo verbale e non verbale.

La relazione è un bene fragile: va maneggiata con cura, con apertura mentale e consapevolezza di ciò che stiamo facendo

L'attenzione dell'altro

Quante volte, nell’ambiente scolastico, “per amore della pace” si demanda al proprio sentire “sacrificandosi”, senza donarsi davvero. La relazione non accade, ma si costruisce. Non può essere sorretta solo da simpatia e affinità, anche perché ciascuno di noi è un’unicità irripetibile, che ha necessità di esprimere la propria identità e, se ciò non avviene, compariranno stress, burnout, malessere psicofisico. La relazione è un bene fragile perché va maneggiata con cura, con apertura mentale e consapevolezza di ciò che stiamo facendo. Nel tempo può diventare intensa e profonda e resistere alle avversità, ma ciò avverrà solo se ci sarà dialogo nella diversità; da questo deriverà il nostro rapporto con l’altro. Il dare, infatti, richiede un’apertura gratuita nei confronti dell’altro e mette in moto l’offerta di legame. Il ricevere richiede il riconoscimento di quanto fatto dall’altro e di quanto per questo gli si deve. Il ricambiare richiede riconoscimento dell’avere ricevuto e dell’essere in debito per donare a propria volta, aprendosi anche alle generazioni successive e alla partecipazione al mondo comunitario e sociale.

Erikson (2003) definisce la generatività come l’aspetto evolutivo più importante nel ciclo di vita di un individuo, poiché indirizza l’Uomo a divenire “un essere che si occupa di”. La generatività attiva capacità di cooperazione nell’attività lavorativa, nonché senso di responsabilità verso gli altri e capacità di cura e di investimento per ciò che è stato generato per amore, necessità o caso e che supera l’adesione ambivalente a un obbligo irrevocabile, assorbendo in sé anche i caratteri della procreatività, della creatività e della produttività, e quindi la capacità di generare nuovi individui, anche in senso simbolico, nuove idee e ulteriore sviluppo dell’identità. La scuola, collaborando con la famiglia, dovrebbe assumere come oggetto di interesse il benessere delle nuove generazioni. Essere insegnanti oggi, in un periodo di grande disillusione sociale, porta con sé il riuscire a trasmettere alle nuove generazioni un atteggiamento di speranza e di fiducia sviluppando una relazione educativa fondata su attenzione e cura e immersa nella dimensione generativa della comunicazione.

La dimensione generativa della comunicazione nella relazione

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