L’importanza della prevenzione a partire dalla scuola dell’infanzia. Intervista al prof. Giacomo Stella

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&Egrave; opportuno ricordare che tra i facilitatori e le barriere possono rientrare anche le caratteristiche personali, gli stili relazionali e le scelte metodologiche dell&rsquo;educatore e dell&rsquo;insegnante: per esempio, un elevato livello di creativit&agrave; e di capacit&agrave; di improvvisazione pu&ograve; rappresentare un facilitatore, consentendo di adattare flessibilmente e in itinere qualsiasi programmazione all&rsquo;andamento del gruppo e dei singoli; al contempo, per&ograve;, c&rsquo;&egrave; sempre il rischio di un&rsquo;eccessiva destrutturazione e imprevedibilit&agrave; delle attivit&agrave;, che potrebbero risultare difficilmente gestibili per alcuni bambini con maggiori difficolt&agrave; di adattamento.

Questi pochi esempi permettono tuttavia di evidenziare come la via principale per l&rsquo;inclusione sia proprio basata su un&rsquo;attenta analisi dei facilitatori e delle barriere, in quanto presenta almeno due vantaggi:

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	<li>in primo luogo, consente di spostare il focus dell&rsquo;intervento educativo dal singolo all&rsquo;intero contesto fisico e relazionale in cui &egrave; inserito;</li>
	<li>in secondo luogo, in base al modello ICF, risulta trasversale a tutti i bambini, con e senza bisogni educativi speciali, risultando cos&igrave; pienamente inclusiva.</li>
</ul>

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PUNTO DI PARTENZA O DI ARRIVO?

L&rsquo;INCLUSIONE AL NIDO E ALLA SCUOLA DELL&rsquo;INFANZIA

BARRIERE E FACILITATORI

Spesso, il processo di inclusione viene letto come la capacit&agrave; di riconoscere e accogliere nel contesto scolastico qualsiasi differenza, da parte delle bambine e dei bambini, nel comportamento, negli stili cognitivi, nei tratti temperamentali e nei repertori di abilit&agrave; socio-emozionali ecc. Si tratta di un aspetto sicuramente rilevante, ma l&rsquo;inclusione deve essere considerata non solamente un punto di partenza, ma anche e soprattutto di arrivo.

Il rischio infatti &egrave; quello di considerare queste differenze come elementi da contenere, limitare, compensare e infine superare, piuttosto che come aspetti da cui partire per sviluppare stili relazionali e di apprendimento personali, punti di forza, interessi ed anche talenti individuali. Per esempio, l&rsquo;irrequietezza di un bambino potrebbe essere la base da cui partire per promuovere un approccio esplorativo all&rsquo;ambiente durante un&rsquo;attivit&agrave; ludica. La carenza di abilit&agrave; verbali pu&ograve; essere l&rsquo;occasione per promuovere sia nel bambino che nei compagni canali comunicativi non verbali, ma anche una maggiore attenzione visiva, l&rsquo;osservazione del linguaggio corporeo altrui ecc.

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Un approccio inclusivo considera le caratteristiche di tutti (compresi chi ha disabilit&agrave; e/o bisogni educativi speciali) come la base da cui partire per progettare obiettivi personalizzati

Partiamo dall&rsquo;ultimo punto, qualcuno potrebbe obiettare: &ldquo;Spesso, nel periodo del nido e della scuola dell&rsquo;infanzia, ancora non abbiamo diagnosi certe per molti disturbi, per i quali si preferisce attendere in via prudenziale che il bambino raggiunga un&rsquo;et&agrave; maggiore. Come possiamo quindi parlare di inclusione?&rdquo;.

In realt&agrave;, proprio in questa fascia d&rsquo;et&agrave; si assiste a un&rsquo;elevata variabilit&agrave; interindividuale nel ritmo di crescita, nel periodo in cui vengono raggiunte le varie tappe di sviluppo, nei punti di forza e di criticit&agrave; ecc. Se per inclusione allora intendiamo l&rsquo;organizzazione flessibile di ambiente, attivit&agrave; e relazioni in modo da poter rispondere ai bisogni educativi di ciascuna bambina e ciascun bambino, &egrave; evidente che ci&ograve; diventa rilevante proprio in questa fase evolutiva, quando la variabilit&agrave; individuale &egrave; particolarmente accentuata, per motivi neurobiologici, familiari, sociali ecc.

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La parola &ldquo;inclusione&rdquo; &egrave; diventata, negli ultimi anni, il riferimento di senso principale e ormai quasi irrinunciabile per qualsiasi discorso, &shy;teorico o pratico, sulla scuola: il docente deve essere inclusivo, l&rsquo;ambiente scolastico deve essere inclusivo, la programmazione deve essere inclusiva, il territorio di riferimento deve essere inclusivo e via dicendo.

Tuttavia, come talvolta accade quando un termine viene usato in maniera eccessivamente ampia, si rischia di perdere un chiaro riferimento concettuale: in altre parole, che cosa significa &ldquo;includere&rdquo; un bambino a scuola? Quali sono le metodologie fondamentali per promuovere e monitorare questo processo? E soprattutto, &egrave; possibile parlare di inclusione gi&agrave; a livello di nido e scuola dell&rsquo;infanzia?

Proviamo a rispondere in tre punti fondamentali.

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Il terzo punto di riflessione da considerare ai fini dell&rsquo;inclusione &egrave; relativo all&rsquo;attenta analisi dei facilitatori e delle barriere che possono presentarsi in ambito scolastico e/o familiare. Al fine di favorire l&rsquo;inclusione di tutti, infatti, &egrave; fondamentale che si riescano a individuare tutti quegli elementi la cui presenza (o la cui assenza) pu&ograve; facilitare oppure ostacolare il bambino nell&rsquo;emissione dei comportamenti desiderati o nell&rsquo;acquisizione di nuove abilit&agrave;.

Basandosi sul modello ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilit&agrave; e della Salute), &egrave; opportuno ricordare che qualsiasi elemento pu&ograve; diventare un facilitatore o una barriera, in base alle peculiarit&agrave; del singolo, al suo momento evolutivo ecc. Per esempio, la presenza di una famiglia molto attenta e attiva pu&ograve; essere un facilitatore dei processi inclusivi nella prima fase di inserimento del bambino, in modo tale da gestire in maniera graduale il distacco; tuttavia, nel tempo questa presenza, se non opportunamente modulata, potrebbe risultare un ostacolo per una progressiva conquista dell&rsquo;autonomia da parte del bambino. In maniera simile, la disponibilit&agrave; di ampi spazi a scuola pu&ograve; risultare un facilitatore, consentendo lo svolgimento di numerose attivit&agrave; di tipo ludico e motorio; al contempo, per&ograve;, se il gruppo di compagni fosse eccessivamente numeroso e rumoroso, si potrebbe creare una situazione disturbante e ostacolante nel caso di un bambino con particolare sensibilit&agrave; agli stimoli sensoriali (come avviene nel caso dei disturbi dello spettro dell&rsquo;autismo).

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IL RUOLO DELL&rsquo;EDUCATORE E DELL&rsquo;INSEGNANTE

Includere tutte e tutti

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