Avanguardia didattica in pratica: flipped classroom e integrazione CDD/libri di testo

Nuovi spazi educativi tra pedagogia e architettura

Intessere trame: l'ambiente di apprendimento

pedagogicamente

UNA SCUOLA LUDICA

IL GIOCO E L’APPRENDIMENTO

È facile notare quanta diffidenza vi sia stata verso il gioco nella storia e quanta ve ne sia ancora oggi, forse anche perché è lo stesso termine “gioco” a essere ambiguo.Noi italiani non facciamo distinzione fra game e play, fra gioco come struttura con regole e gioco come atteggiamento.Molto spesso pensiamo al gioco come a un momento di respiro individuale, un tempo caratterizzato dall’effimero, un’occasione piacevole finché dura, un mezzo funzionale ad alleggerire la fatica. Pensare al gioco come play, cioè come a un atteggiamento ludico continuo, è più difficile.

Costruire una scuola ludica non è semplice e non è realizzabile da un giorno all’altro. Perché se ludico significa atteggiamento continuo, ci sarà un continuum di impegno per mantenerlo, dato che nella scuola persone, relazioni, situazioni non rimangono mai ferme e stabili.Detto in termini diversi: non si può essere ludici a orari stabiliti o a giorni alterni. Come non si può pensare di essere ludici solo nelle attività di laboratorio. Un atteggiamento è una costante, non un attimo fuggente.Essere insegnanti ludici è difficile, perché entra in gioco la persona nella sua interezza. Qualcosa è comunque possibile fare. Per essere educatori ludici, indipendentemente dal livello di scuola e dall’età dei bambini, occorre mettere in atto alcune azioni all’interno di un clima il più possibile sereno e non giudicante. Provo a sintetizzarle, utilizzando solo tre verbi che già sono compresi nel vocabolario degli educatori attenti e impegnati.

TRE AZIONI QUOTIDIANE

Immaginiamo le prime tre sequenze di un film sui bambini e il gioco:I sequenza - si vede una madre (ma potrebbe essere anche un padre o un parente) che va a prendere un bambino di 2 anni e mezzo al nido. Lo prende in collo, gli sorride e chiede: “Che cosa hai fatto oggi?”. Il bimbo risponde: “Ho giocato”. La madre lo abbraccia soddisfatta;II sequenza - si vede una madre che va a prendere un bambino di 5 anni alla scuola dell’infanzia. Lo prende per mano e gli chiede: “Che cosa avete fatto oggi?”. “Abbiamo giocato”, risponde il bambino. La mamma è contenta, ma le sarebbe piaciuto di più se le avesse anche detto che cosa aveva imparato;III sequenza - si vede una madre che va a prendere un bambino di 10 anni alla scuola primaria. Si incammina e chiede: “Che cosa hai fatto oggi?”. E lui: “Ho giocato”. La madre ha un attimo di silenzio e pensa che forse dovrebbe andare a parlare con la maestra…

L’idea che il gioco possa essere fonte primaria di apprendimento è difficile da accettare

1. PredisporreMaria Montessori ci ha mostrato come i bambini possano procedere, manipolare, scoprire, appassionarsi, utilizzando materiali predisposti e accessibili. Realizzare un ambiente dove vi siano molte possibilità di scelta non solo di tipo individuale, ma di coppia o di piccolo gruppo, non è semplice. Un ambiente dove i materiali non siano usati solo per ottenere un risultato preciso, un ambiente dove le esperienze proposte siano adeguate alle età e in continua trasformazione. Nella scuola dell’infanzia in particolare, le difficoltà ci sono quando è alto il numero dei bambini presenti nella classe. 2. AccompagnareLa funzione degli adulti è quella di favorire quel processo che i bambini compiono quando sono impegnati in qualcosa che li mobilita. Sappiamo come sia importante osservare, mettersi di lato, seguire i processi, sostenere quando ci sono inciampi e difficoltà. 3. RielaborareRipensare a ciò che è avvenuto nel momento del gioco con i materiali, vale per il singolo bambino, vale per il gruppo e vale per gli educatori. Recuperare, rilanciare, intravedere significati, aprire a nuove avventure, possono essere meccanismi formativi “naturali”, se gli adulti scelgono un atteggiamento ludico.

Immaginiamo le prime tre sequenze di un film sui bambini e il gioco:I sequenza - si vede una madre (ma potrebbe essere anche un padre o un parente) che va a prendere un bambino di 2 anni e mezzo al nido. Lo prende in collo, gli sorride e chiede: “Che cosa hai fatto oggi?”. Il bimbo risponde: “Ho giocato”. La madre lo abbraccia soddisfatta;II sequenza - si vede una madre che va a prendere un bambino di 5 anni alla scuola dell’infanzia. Lo prende per mano e gli chiede: “Che cosa avete fatto oggi?”. “Abbiamo giocato”, risponde il bambino. La mamma è contenta, ma le sarebbe piaciuto di più se le avesse anche detto che cosa aveva imparato;III sequenza - si vede una madre che va a prendere un bambino di 10 anni alla scuola primaria. Si incammina e chiede: “Che cosa hai fatto oggi?”. E lui: “Ho giocato”. La madre ha un attimo di silenzio e pensa che forse dovrebbe andare a parlare con la maestra…

QUESTIONI DI LESSICO

L’educazione ha da sempre cercato di piegare la forza del gioco a scopi istruttivi: il gioco didattico non è stato inventato ai nostri tempi, ne abbiamo tracce in popoli vissuti migliaia di anni fa.La scuola moderna ha tagliato il gioco in due spezzoni:<ul><li>il gioco libero, rimasto più o meno a disposizione dei bambini (con una durata sempre più ridotta);</li><li>il gioco didattico, curato dagli adulti, come strumento per rendere piacevoli insegnamenti che altrimenti apparirebbero poco divertenti.</li></ul>Il gioco ha tanti risvolti, offre tante possibilità arricchenti, ma il verbo “giocare” porta con sé anche tante derive (l’azzardo, l’aggressività, la fuga dalla realtà…).

Il gioco, laboratorio per la crescita

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