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Come sono nati i nidi d’infanzia nel bosco?


 Come tutte le nascite, anche quella dei nidi e delle scuole nel bosco è il frutto di una storia d’amore, nel nostro caso, quella tra l’essere umano e la casa che lo ospita.
 
 È stata una mamma ad accendere la miccia dell’outdoor education in Europa con l’intento di condividere il proprio amore per la n

Come sono nati i nidi d’infanzia nel bosco?Come tutte le nascite, anche quella dei nidi e delle scuole nel bosco è il frutto di una storia d’amore, nel nostro caso, quella tra l’essere umano e la casa che lo ospita.È stata una mamma ad accendere la miccia dell’outdoor education in Europa con l’intento di condividere il proprio amore per la natura con i propri figli: il suo nome è Ella Flatau e, intorno al 1950 in Danimarca, decise di utilizzare come aula il bosco vicino alla sua casa.Questa sperimentazione ebbe subito un grande successo e un formidabile eco in tutta Europa. L’approccio iniziale, che prevedeva un’immersione totale nella natura selvatica tutti i giorni per almeno 4 ore, si trasformava meravigliosamente allorquando si imbatteva in sistemi sociali e culturali altri.Arrivato in Svezia, per esempio, con il movimento delle Skogsmulle, questo approccio si è arricchito di un prezioso intento sociale: se Ella si preoccupava soprattutto del benessere dei propri bambini, in Svezia sin da subito si aggiunse, come finalità istituzionale, la creazione di una nuova coscienza ecologica, più attenta ai bisogni del pianeta.

Quali sono i presupposti pedagogici?Ogni progetto si articola liberamente partendo dai bisogni specifici del territorio e dei bambini e dalle idee pedagogiche che più appassionano. Noi, per esempio, adoperiamo l’approccio centrato sull’educazione emozionale, una strategia sistemica che si propone di promuovere il benessere e prevenire il disagio, attraverso lo stimolo all’acquisizione di competenze emotive. Niente di particolarmente nuovo in ambito pedagogico, ma sicuramente un territorio poco esplorato nonostante in ambito accademico e scientifico, da diversi anni, si parli dell’importanza delle lifeskills. Per quanto riguarda i riferimenti pedagogici, almeno nel nostro progetto, non sposiamo un unico approccio: preferiamo ragionare in un’ottica integratrice dei tanti e diversi tesori che la pedagogia ci ha donato. Ci piace molto il concetto di Pedagogia Viva di Jordi Mateu, quello di ecologia dell’anima del maestro colombiano Carlos German Jahuira, amiamo molto il “Progetto C” di German Doin a Buenos Aires e l’educazione popolare di Tiao Rocha Sebastiao in Brasile. In questo momento ci stiamo appassionando ed esplorando la pedagogia sistemica e la neuro-educazione. Quali competenze specifiche sono richieste agli educatori?Ricerchiamo soprattutto competenze umane, quelle che la psicologia positiva chiama “punti di forza umani”: la creatività, l’apertura mentale, l’amore per la conoscenza, l’umiltà, l’autenticità, il coraggio, l’intelligenza emotiva e quella sociale. Uno dei nostri orizzonti è educare alla felicità e solo persone felici possono accompagnare i bambini verso questo orizzonte. Dal punto di vista organizzativo ogni gruppo ha un tutor pedagogico, formatosi in scienze della formazione, ma ha anche altre figure, un po’ come l’atelierista nel Reggio Approach. Queste figure altre, possono essere guide ambientali, musicisti, pittrici, contadini, ballerine ecc. Reputiamo molto importante la presenza nel gruppo di lavoro di psicologhe e pedagogiste che i bambini conoscono come educatori, ma che hanno un ruolo&nbsp;altro, fondamentale in questo periodo storico, ma non solo.

Come sono nati i nidi d’infanzia nel bosco?Come tutte le nascite, anche quella dei nidi e delle scuole nel bosco è il frutto di una storia d’amore, nel nostro caso, quella tra l’essere umano e la casa che lo ospita. È stata una mamma ad accendere la miccia dell’outdoor education in Europa con l’intento di condividere il proprio amore per la natura con i propri figli: il suo nome è Ella Flatau e, intorno al 1950 in Danimarca, decise di utilizzare come aula il bosco vicino alla sua casa. Questa sperimentazione ebbe subito un grande successo e un formidabile eco in tutta Europa. L’approccio iniziale, che prevedeva un’immersione totale nella natura selvatica tutti i giorni per almeno 4 ore, si trasformava meravigliosamente allorquando si imbatteva in sistemi sociali e culturali altri. Arrivato in Svezia, per esempio, con il movimento delle Skogsmulle, questo approccio si è arricchito di un prezioso intento sociale: se Ella si preoccupava soprattutto del benessere dei propri bambini, in Svezia sin da subito si aggiunse, come finalità istituzionale, la creazione di una nuova coscienza ecologica, più attenta ai bisogni del pianeta.

E per quanto riguarda l’esperienza italiana?Ovviamente anche nell’esperienza italiana ci abbiamo messo del nostro. Come è giusto che sia, qualsiasi approccio deve declinarsi e plasmarsi in relazione ai bisogni del contesto in cui si applica. Il bisogno delle famiglie di avere luoghi che si prendessero cura dei bambini per un tempo più a lungo e la ricchezza ambientale italiana hanno dato un impulso in questo senso. Il nostro progetto offriva l’opportunità di restare a scuola fino alle 16.30 e ci è sembrato poco funzionale stare tutto quel tempo, tutti i giorni, nella natura selvatica. Così abbiamo deciso di dotarci comunque di una struttura interna confortevole e di limitare a parte della giornata la relazione con la natura, quella più selvatica e impegnativa. Per questo il concetto di “pedagogia nel bosco” si è arricchito gradualmente in Italia (ma sta accadendo anche in Europa) spostando la riflessione pedagogica sul concetto di “educazione in natura”. A portarci in natura non è stato l’amore per un modello pedagogico, ma l’osservazione attenta e l’ascolto dei bisogni dei bambini. “Non seguite me. Seguite i bambini.” diceva Maria Montessori. Sono stati i bambini a prenderci per mano e ad accompagnarci in aule dove lo sguardo e il corpo potessero viaggiare liberi, dove le esperienze sensoriali erano ricchissime, dove la pace, l’armonia e la serenità ti accoglievano con un prezioso abbraccio. Come funziona in pratica un nido nel bosco?Non c’è un nido o una scuola nel bosco uguale a un’altra. Per fortuna, almeno per ora, questo movimento pedagogico non è caduto nella trappola della rigidità e della creazione di dogmi unici. Di certo tutti i progetti vivono l’ambiente esterno come aula privilegiata e con diverse intensità, anche in relazione all’età dei bambini. Tutti i progetti compiono un investimento importante sugli educatori: il rapporto educatore-bambino nelle scuole nel bosco, anche dell’infanzia, si attesta intorno a un rapporto medio 1 a 8. Altra cosa che sicuramente ricorre sono la centralità del tempo e del gioco libero, come dimensioni fondamentale dello sviluppo integrale della persona.

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