Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Il cartellone ha permesso ai bambini di rendersi conto dei diversi modi con cui esprimere agli altri bisogni e desideri

Gianni si avvicina a Michele che sta per salire sulla sua bicicletta intimandogli di dargliela immediatamente. Michele, senza alcuna paura, risponde che la bici è sua e quindi non gliela vuole dare. Gianni gli consiglia di non fare lo stupido e di dargli la bicicletta. Michele continua a dire, come un disco rotto, che la bici è sua e che quindi non gliela darà mai. Anche quando Gianni lo minaccia di non permettergli più di uscire con loro, lui risponde «Non importa, la bici non te la do, è mia». A nulla servono nemmeno le offese di Gianni, a cui fermamente Michele risponde, guardando il compagno negli occhi: «Va bene, sarò anche stupido, ma la bici è mia e lo rimarrà».

Pietro (tutti i nomi che usiamo sono di fantasia) ha 10 anni, frequenta la classe quinta della scuola primaria e ha una diagnosi di Disturbo di Attenzione e Iperattività, con tratti oppositivo-provocatori associati. Ha già effettuato presso il nostro servizio un percorso che ha coinvolto anche i suoi genitori e insegnanti, volto a promuovere l’autoregolazione attentiva e comportamentale, con buoni esiti caratterizzati dalla diminuzione di comportamenti negativi, in ambito sia familiare sia scolastico. Le insegnanti continuano però a segnalare in Pietro la presenza di comportamenti impulsivi e difficoltà a interpretare i segnali non verbali dei pari, che compromettono la sua capacità di relazionarsi con loro in modo adeguato. Michelangelo ha 9 anni e frequenta la classe quarta della scuola primaria. Anche lui ha già effettuato un percorso di trattamento individuale presso il servizio, per la presenza di un profilo compatibile con Disturbo Oppositivo-Provocatorio, che anche nel suo caso ha coinvolto genitori e insegnanti. Michelangelo tende a prendere in giro gli altri bambini, soprattutto quelli in difficoltà, ed è vendicativo quando ritiene di aver subito un torto. Riccardo ha 11 anni e frequenta la classe prima della scuola secondaria di primo grado. Non ha una diagnosi specifica ma presenta tratti afferenti alla sindrome di Asperger. È un ragazzino molto sensibile, con una bassa tolleranza alle frustrazioni e con difficoltà nelle relazioni sociali: gli altri bambini infatti lo definiscono “strano” (il suo tono di voce è acuto e il modo di parlare risulta una sorta di cantilena), lo prendono in giro e tendono a escluderlo. Ha interessi molto particolari e tende a giocare spesso da solo, con l’eccezione di un compagno di classe con cui ha legato in modo particolare (a entrambi piacciono molto i videogiochi). Fatica a interpretare i segnali non verbali nelle interazioni comunicative e ha difficoltà a comprendere battute e metafore. Ha effettuato un precedente percorso volto a potenziare la capacità di autoregolazione dell’attenzione ed emotiva, con buoni esiti. Andrea ha 9 anni e un disturbo di apprendimento della lettura; frequenta la classe quarta della scuola primaria. È seguito dal nostro servizio da alcuni anni per quanto riguarda le sue difficoltà di apprendimento, ma si è deciso di inserirlo in questo gruppo poiché è un bambino molto timido e inibito, sia con i pari sia con gli adulti, e risente molto delle prese in giro che alcuni compagni di classe gli rivolgono a causa delle sue difficoltà scolastiche. All’inizio del percorso e al termine è stata somministrata ai bambini e ai loro genitori la Social Skills Checklist, una scala volta a valutare le abilità oggetto del nostro programma di intervento, di cui esistono due versioni: una per il bambino e una per genitori e insegnanti. Questa checklist permette di valutare la frequenza con cui genitori, insegnanti e il bambino stesso ritengono che il soggetto, oggetto di valutazione, utilizzi le abilità descritte al suo interno. Dal momento che il questionario indaga la presenza di determinate competenze sociali e la loro frequenza, maggiore è il punteggio totale ottenuto da un soggetto, migliore è la percezione del soggetto stesso (o dei suoi genitori o insegnanti) di avere delle competenze sociali adeguate. Tuttora sono in corso delle sperimentazioni per ottenere dei dati normativi ma, in base alle compilazioni finora effettuate da alcune decine di genitori, bambini e insegnanti, abbiamo individuato dei valori indicativi che abbiamo ricondotto a quattro fasce di competenza: ottimale, sufficiente, debole e molto debole.

Un programma di intervento

<ul><li>Di Pietro M., Bassi E. (2013), L’intervento cognitivo comportamentale per l’età evolutiva, Erickson, Trento. </li><li>Little S.S. (1993), «Nonverbal learning disabilities and socioemotional functioning. A review of recent literature», Journal of Learning Disabilities, 26(10), 653-665. </li><li>Salviato C., Mammarella I.C., Cornoldi C. (2020), Intervento per le difficoltà socio-relazionali. Programma cognitivo-comportamentale sulle social skills per ragazzi con autismo, ADHD e altri disturbi, Erickson, Trento. </li></ul>

Per avere una buona competenza sociale, riteniamo che un bambino debba anzitutto essere capace di trasmettere messaggi corretti dal punto di vista linguistico, in modo da essere chiaramente compreso e nel contempo debba essere abile anche a capire i messaggi di altre persone e a interpretarli. Per una buona competenza sociale, però, oltre al linguaggio verbale, è importante che il bambino sia in grado di esprimersi attraverso un linguaggio del corpo adeguato e al contempo sia in grado di comprendere anche il linguaggio del corpo degli altri. Sarà molto difficile per un bambino, inoltre, stringere amicizie se è troppo aggressivo nell’interazione con i pari, ma allo stesso tempo non riuscirà a relazionarsi con successo se è troppo timido per parlare con qualcuno o chiedere aiuto. Per tutti questi motivi, le attività che abbiamo appena illustrato sono utili secondo noi per sviluppare quelle abilità comunicativo-relazionali fondamentali che permettono ai nostri bambini di relazionarsi in modo efficace, sia con i pari sia con gli adulti.

Il concetto di assertività

L’insegnamento di abilità di comunicazione assertiva

Di seguito si propone un’esperienza di applicazione del programma citato, focalizzandoci però su uno dei suoi obiettivi, ovvero l’insegnamento di abilità di comunicazione assertiva, che si articola nei seguenti due punti: <ol><li style="text-align: justify;">imparare a identificare i tre modi per esprimere i propri desideri;</li><li style="text-align: justify;">imparare a esprimere i propri desideri in modo assertivo.</li></ol>L’esperienza ha coinvolto quattro bambini di età compresa tra i 9 e gli 11 anni e frequentanti le classi quarta e quinta della scuola primaria e la classe prima della scuola secondaria di primo grado.

Un esempio di storia

Considerazioni conclusive

Nell’incontro che abbiamo dedicato all’insegnamento della comunicazione assertiva abbiamo per prima cosa introdotto ai bambini il concetto di assertività, intesa come la capacità di esprimere le proprie idee, i propri desideri e stati d’animo in modo sincero, diretto e non aggressivo (Di Pietro, Bassi, 2013). Nello specifico, è stato spiegato ai bambini che alcuni di loro non hanno il coraggio di esprimere i propri bisogni e le proprie opinioni, altri invece hanno il coraggio di farlo ma agiscono in modo poco chiaro ed egoista, rischiando così di ferire i sentimenti degli altri. Utilizzare una modalità di comunicazione assertiva permette invece a chi la usa di difendere i propri diritti senza però negare quelli degli altri; ecco perché se adottiamo questo tipo di comunicazione durante le interazioni, favoriamo la possibilità di mantenere più a lungo delle buone relazioni con gli altri. Per spiegare ai bambini la differenza tra comunicazione assertiva, passiva e aggressiva, è stata proposta loro l’attività Coniglio, squalo o…?. Per proporre questa attività, è stato preparato un cartellone in cui era raffigurato un cerchio diviso in tre spicchi e sono state consegnate ai bambini tre immagini, raffiguranti uno squalo, un coniglio e l’immagine di una mano con il pollice rivolto verso l’altro. È stato detto loro che ci sono tre modi diversi con cui le persone possono esprimere i propri desideri quando interagiscono con gli altri: <ol><li style="text-align: justify;">alcuni si comportano come un coniglio che ha paura, sia di esprimere i propri desideri sia di opporsi alle decisioni degli altri quando non sono d’accordo con loro, per timore di essere rifiutati o aggrediti; </li><li style="text-align: justify;">altri, invece, si comportano come uno squalo che si arrabbia, urla, colpisce, insulta o tiene il broncio: chi si comporta in questo modo dice quello che pensa, ma senza tenere in considerazione i sentimenti degli altri e fa di tutto per raggiungere i propri scopi e realizzare i propri desideri, anche a costo di ferire le altre persone; </li><li style="text-align: justify;">infine è stato spiegato ai bambini che essere assertivi significa comunicare i propri bisogni, le proprie idee, i propri sentimenti in modo deciso, chiaro e onesto, senza essere aggressivi, ma allo stesso tempo evitando di essere timorosi per le possibili reazioni altrui. </li></ol>

Le situazioni di partenza dei bambini

Nel riquadro in basso si può leggere un esempio di storia utilizzata per svolgere questa attività. Facendo riferimento proprio a questa storia, in cui uno dei protagonisti utilizza una comunicazione di tipo assertivo, sono stati spiegati ai bambini i passi della comunicazione assertiva di base, ovvero:<ul><li style="text-align: justify;">guardare l’altro negli occhi; </li><li style="text-align: justify;">usare un tono di voce adeguato: né troppo alto, né troppo basso;</li><li style="text-align: justify;">comunicare in modo chiaro, deciso e onesto, ovvero includendo la descrizione della situazione, del proprio stato d’animo e di ciò che noi desideriamo.</li></ul>In seguito è stata proposta ai ragazzi un’attività molto divertente, Tanti modi di dire le cose, utile per esercitarli a esprimere i propri desideri. Il materiale che abbiamo usato per fare questa attività è stata una “ruota”, ovvero un cerchio in cui erano rappresentate le immagini dei tre tipi di comunicazione possibili (assertiva, passiva e aggressiva), e dei biglietti in cui erano descritte asserzioni che indicavano che cosa dire ai propri compagni/e, per esempio: «Dire a un tuo compagno che la smetta di prenderti in giro». Ogni bambino pescava un biglietto, girava la ruota ed esprimeva l’asserzione descritta secondo la modalità indicata dalla ruota, ovvero comportandosi da squalo, da coniglio o in maniera assertiva. I bambini che assistevano a ogni esercitazione alla fine intervenivano per dare il proprio feedback al compagno, aggiungendo eventuali suggerimenti o complimentandosi con lui. Al termine dell’incontro è stato chiesto a ogni bambino di esercitarsi a utilizzare la modalità di comunicazione assertiva anche in ambito familiare e scolastico, nonché con i propri amici. A tal proposito è stato chiesto a ognuno di compilare la scheda presente in “Strumenti e percorsi” (in fondo al presente contributo), indicando che cosa hanno detto, l’emozione esperita prima e dopo, ma anche la reazione della persona alla sua modalità comunicativa.

Nella nostra cultura l’apprendimento dell

Nella nostra cultura l’apprendimento delle abilità comunicative e socio-relazionali nei bambini è lasciato per lo più allo sviluppo spontaneo. Solitamente, infatti, i genitori si limitano a dare ai propri figli semplici istruzioni su come comportarsi in modo educato con gli altri, dicendo per esempio “per favore” quando si vuole chiedere qualcosa a qualcuno, o scusandosi se inavvertitamente si ferisce qualcuno.In questo panorama, alcuni bambini possono ritenersi fortunati perché hanno dei genitori abili dal punto di vista sociale: hanno pertanto la possibilità di osservarli in situazioni sociali e quindi imparano a imitare e sviluppare le abilità che vedono attuate dai propri genitori. Altri, purtroppo, non sono così fortunati: alcuni di loro, infatti, avendo genitori con abilità sociali carenti, non hanno la possibilità di avere un apprendimento osservativo. Altri ancora, pur avendo genitori socialmente abili, potrebbero avere scarse possibilità di osservarli mentre interagiscono con altre persone. In altri casi, infine, possono essere presenti nel bambino problematiche specifiche che ostacolano l’acquisizione di abilità socio-relazionali: in questa condizione si trovano bambini che presentano alcuni disturbi del neurosviluppo, come l’ADHD, il Disturbo dello Spettro Autistico, il Disturbo d’Ansia Sociale – solo per citarne alcuni.Le ricerche indicano che i bambini con questo tipo di diagnosi frequentemente esperiscono rifiuto sociale, isolamento, interazioni negative sia con i pari sia con gli adulti (Little, 1993), e sono spesso vittime di bullismo. Queste esperienze naturalmente li feriscono, minano la loro fiducia e abbassano la loro autostima, rendendo quindi ancora più probabile il perpetuarsi in futuro di un fallimento nelle loro relazioni.

A ogni spiegazione è stato chiesto ai bambini di associare una delle tre immagini che è stata data loro all’inizio, motivandone la scelta. Successivamente è stato chiesto ai bambini di pescare all’interno di un contenitore un biglietto, su cui erano scritti dei comportamenti che rappresentavano azioni di persone passive, aggressive e assertive. Il compito dei bambini era capire a quale tipo di persona appartenevano i comportamenti descritti nei biglietti, incollandoli nello spicchio corrispondente. Di seguito si riporta (Figura 1) l’immagine del cartellone compilato dal nostro gruppo di bambini. Successivamente è stata proposta ai bambini l’attività Tre storie, tre modi di dire le cose, nella quale sono state lette ai bambini tre brevi storie, con la consegna di individuare per ognuna di esse la modalità di comunicazione utilizzata da tutti i protagonisti, indicando sia i comportamenti verbali sia quelli non verbali che li hanno portati a capire il tipo di comunicazione usata.

Nella nostra cultura l’apprendimento delle abilità comunicative e socio-relazionali nei bambini è lasciato per lo più allo sviluppo spontaneo. Solitamente, infatti, i genitori si limitano a dare ai propri figli semplici istruzioni su come comportarsi in modo educato con gli altri, dicendo per esempio “per favore” quando si vuole chiedere qualcosa a qualcuno, o scusandosi se inavvertitamente si ferisce qualcuno. In questo panorama, alcuni bambini possono ritenersi fortunati perché hanno dei genitori abili dal punto di vista sociale: hanno pertanto la possibilità di osservarli in situazioni sociali e quindi imparano a imitare e sviluppare le abilità che vedono attuate dai propri genitori. Altri, purtroppo, non sono così fortunati: alcuni di loro, infatti, avendo genitori con abilità sociali carenti, non hanno la possibilità di avere un apprendimento osservativo. Altri ancora, pur avendo genitori socialmente abili, potrebbero avere scarse possibilità di osservarli mentre interagiscono con altre persone. In altri casi, infine, possono essere presenti nel bambino problematiche specifiche che ostacolano l’acquisizione di abilità socio-relazionali: in questa condizione si trovano bambini che presentano alcuni disturbi del neurosviluppo, come l’ADHD, il Disturbo dello Spettro Autistico, il Disturbo d’Ansia Sociale – solo per citarne alcuni. Le ricerche indicano che i bambini con questo tipo di diagnosi frequentemente esperiscono rifiuto sociale, isolamento, interazioni negative sia con i pari sia con gli adulti (Little, 1993), e sono spesso vittime di bullismo. Queste esperienze naturalmente li feriscono, minano la loro fiducia e abbassano la loro autostima, rendendo quindi ancora più probabile il perpetuarsi in futuro di un fallimento nelle loro relazioni.

Per tutti questi bambini, ma anche per quelli che non hanno difficoltà conclamate e quindi in un’ottica preventiva, è utile partecipare a programmi di intervento volti proprio a sviluppare le abilità socio-­relazionali. A tal proposito, vogliamo presentare un percorso di intervento cognitivo-comportamentale per piccolo gruppo volto a migliorare la competenza sociale in bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Disturbo dello Spettro Autistico e con Disturbo Non Verbale, che abbiamo elaborato – con la collaborazione di Cesare Cornoldi e Irene Mammarella – nel nostro Centro Lab.D.A. presso l’Università di Padova. Il programma può essere applicato anche ad altri gruppi di bambini che, per problematiche diverse o anche senza alcuna diagnosi specifica, si trovano in difficoltà quando devono interagire con i pari. Il percorso è costituito da 12 incontri di base, comuni a tutti i bambini, a cui se ne possono aggiungere altri 4, specifici, invece, a seconda della tipologia di disturbo che il bambino presenta (ADHD, Disturbo dello Spettro Autistico e Disturbo Non Verbale). Ogni incontro ha una durata di 90 minuti e viene effettuato, preferibilmente a cadenza settimanale, da due conduttori (psicologi o psicoterapeuti) esperti. I primi 12 incontri di base hanno come obiettivi da una parte quello di insegnare a riconoscere le emozioni proprie e altrui in contesti sociali, favorendo nei bambini una migliore capacità di espressione delle stesse, dall’altra quello di potenziare le abilità sociali essenziali che permettono ai bambini di aumentare la frequenza e la qualità delle relazioni interpersonali, come il problem solving, la capacità di comunicare in modo assertivo, di fare ma anche di rispondere a una critica in maniera efficace, solo per citarne alcune.

Per avere una buona competenza sociale il bambino deve essere in grado di esprimersi attraverso un linguaggio del corpo adeguato e di comprendere quello degli altri

Utilizzare una modalità di comunicazione assertiva permette a chi la usa di difendere i propri diritti senza però negare quelli degli altri

BES e abilità comunicative e relazionali

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