Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Sono un’insegnante della primaria e insegno in una classe piena di complessità dove, tra l’altro, c’è un’alunna con disabilità intellettiva grave (sindrome di Rett). Con le altre docenti e con la collega del sostegno siamo molto affiatate e riusciamo a lavorare bene insieme. È vero però che per il personale scolastico e soprattutto per noi si tratta di un’esperienza davvero molto impegnativa: ora più che mai, con tutte le norme legate all’emergenza sanitaria che rendono il nostro impegno professionale ancora più gravoso. Tra l’altro in classe ci sono vari bambini con bisogni educativi speciali che richiedono tanta attenzione e di cui pur

Sono un’insegnante della primaria e insegno in una classe piena di complessità dove, tra l’altro, c’è un’alunna con disabilità intellettiva grave (sindrome di Rett). Con le altre docenti e con la collega del sostegno siamo molto affiatate e riusciamo a lavorare bene insieme. È vero però che per il personale scolastico e soprattutto per noi si tratta di un’esperienza davvero molto impegnativa: ora più che mai, con tutte le norme legate all’emergenza sanitaria che rendono il nostro impegno professionale ancora più gravoso. Tra l’altro in classe ci sono vari bambini con bisogni educativi speciali che richiedono tanta attenzione e di cui purtroppo non riusciamo a occuparci abbastanza (stranieri, iperattivi, con DSA, uno con mutismo selettivo…).Ci piacerebbe allora che gli esperti potessero darci una carica di motivazione, per ricordarci quali sono i vantaggi effettivi per l’allieva (che non sembra migliorare) e darci qualche dritta su come lavorare al meglio con lei, perché a volte ci prende un po’ di sconforto…Carla, Pescara

Altra riflessione: esprimete il massimo della vostra accoglienza ai genitori. Se vi sembra che su qualcosa potrebbero fare meglio, ebbene, anche in quel caso “state sempre dalla loro parte”. Tanto più si sentono accettati e tanto meglio troveranno i comportamenti adeguati nel contesto extrascolastico. Un’ulteriore riflessione. Qualche volta le è venuto il dubbio che la sua alunna starebbe meglio in una scuola speciale? Sono dubbi che sono venuti anche a me nei miei primi anni di lavoro (poco dopo la legge 517 del 1977). Li ritengo del tutto legittimi. Da vari anni, comunque, so che sta meglio in classe normale. In classe speciale è molto più alto il rischio di un peggioramento. Inoltre, situazione cruciale, anche la famiglia si sentirebbe emarginata. E questo non aiuta i familiari nel loro compito educativo: hanno proprio bisogno di sentirsi comunque accolti, capiti nelle loro difficoltà.

Alcuni spunti operativi

Mi permetto alcune riflessioni. Una regola “aurea” di ogni intervento è portare a piena padronanza ciò che l’alunno/a sa fare. Anche nelle situazioni molto gravi. Dedicate quindi tempo e pazienza sistematica alla scoperta di ciò che sa fare. Data la sua età cronologica, forse vi verrebbe da rispondere «quasi niente». Pensate ai bambini molto piccoli, nei primi due anni di vita, e osservate se ha alcune delle loro competenze. Non parla? Tipico della sindrome. Come comunica a livello non verbale? Poco? Lavorate su quel poco. Senza fretta. Ponetevi come obiettivo il benessere. Se riuscite a comunicare… bene, questo dà benessere alla vostra alunna. Così come può dare benessere anche trovare in classe delle regolarità: essere accolta in un certo modo, rivedere volti noti, tanto meglio se sorridenti, accoglienti ecc.

Gentile Carla, la capisco bene. Anche se nella vostra classe ci fossero, oltre all’alunna con sindrome di Rett, solo bambini a sviluppo tipico “ideali”, l’insegnamento sarebbe molto impegnativo e richiederebbe non solo competenze, ma anche un atteggiamento inclusivo ottimale. La sindrome di Rett comporta quasi sempre disabilità intellettiva molto grave, con compromissioni che per tanti anni hanno fatto pensare anche all’autismo, data la presenza di gravi carenze a livello comunicativo e sociale e di stereotipie (per esempio strofinamento delle mani). Ora si sa che ci sono cause genetiche specifiche. Fortunatamente lei può lavorare con colleghe disponibili e, come dice lei, siete affiatate. Non succede sempre. Per avere dettagliate informazioni sulla sindrome ecco un utile link: http://www.disabilitaintellettive.it

Valorizzare le competenze esistenti

La conoscenza come discriminazione

Sono un’insegnante della primaria e insegno in una classe piena di complessità dove, tra l’altro, c’è un’alunna con disabilità intellettiva grave (sindrome di Rett). Con le altre docenti e con la collega del sostegno siamo molto affiatate e riusciamo a lavorare bene insieme. È vero però che per il personale scolastico e soprattutto per noi si tratta di un’esperienza davvero molto impegnativa: ora più che mai, con tutte le norme legate all’emergenza sanitaria che rendono il nostro impegno professionale ancora più gravoso. Tra l’altro in classe ci sono vari bambini con bisogni educativi speciali che richiedono tanta attenzione e di cui purtroppo non riusciamo a occuparci abbastanza (stranieri, iperattivi, con DSA, uno con mutismo selettivo…). Ci piacerebbe allora che gli esperti potessero darci una carica di motivazione, per ricordarci quali sono i vantaggi effettivi per l’allieva (che non sembra migliorare) e darci qualche dritta su come lavorare al meglio con lei, perché a volte ci prende un po’ di sconforto… Carla, Pescara

Come probabilmente sa, esiste una Guida per le disabilità intellettive (Vianello, Giunti EDU, 2018). Forse in essa potete trovare degli spunti operativi (mi auguro anche per gli altri alunni della vostra classe). Mi riferisco, nel caso della nostra alunna, al primo workbook, in cui sono presenti schede utili anche per chi ha un’età mentale inferiore ai 18 mesi di vita. Se vi sembrano troppo impegnative, potete farne voi di adatte: per allenare l’ascolto, la comprensione verbale, la ricerca percettiva e la memorizzazione. Ciò che conta è che si riesca a proporre compiti che stimolino la bambina a livello cognitivo e comunicativo. Questo può soddisfare la motivazione di competenza e procurare benessere.

Un esempio può essere utile; si basa sulla conoscenza come discriminazione. Distingue per esempio la foto della mamma da quella del papà? Capisce la parola “mamma” e la parola “papà”? In caso positivo possiamo fare un’attività con le due foto: diciamo mamma e invitiamo (se opportuno mostrando in modo che capisca ciò che facciamo) a mettere la mano sopra la foto della mamma. Se ci riesce possiamo aggiungere altre foto (sorella o fratello, maestra di sostegno altra o altro insegnante, nonna o nonno ecc.) o usare foto di alimenti, animali, giocattoli ecc. Credo si sia capito. In ogni caso la invito a contattarci sullo sportello della rivista per ulteriori approfondimenti.

L'alleanza con i genitori

Allievi con disabilità intellettiva grave

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