Scuola dell'infanzia di aprile: La didattica del fare

Scuola dell'infanzia di febbraio: L'importanza dei laboratori

La “scatola azzurra” va alla scuola primaria

Comunicare con la musica

Giochi e... desideri

Le emozioni dell’inizio

Il gioco rappresenta in campo educativo un paradosso: da un lato viene riconosciuto il suo ruolo nello sviluppo di abilit&agrave; cognitive, motorie e sociali; dall&rsquo;altro lato ancora troppo spesso viene relegato a un&rsquo;attivit&agrave; secondaria rispetto a quelle strettamente didattiche, un semplice riempitivo di momenti vuoti. Eppure, gioco e apprendimento risultano due fenomeni strettamente interconnessi.

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Che cos&#39;&egrave; il gioco?

Partiamo da una prima definizione di cosa intendere col termine &ldquo;gioco&rdquo;, riprendendo anche studiosi ormai classici come Huizinga (1938) ed evidenziando il carattere paradossale di questo fenomeno:

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	<li style="text-align:justify">&egrave; reale nella sua manifestazione eppure basato spesso sull&rsquo;immaginazione e sulla finzione;</li>
	<li style="text-align:justify">&egrave; serio ma al contempo divertente;</li>
	<li style="text-align:justify">&egrave; libero nella decisione di iniziarlo e altrettanto limitato da regole nel suo svolgimento;</li>
	<li style="text-align:justify">&egrave; resistente e diffuso, potendosi manifestare in qualsiasi situazione anche avversa, eppure fragile, risultando deficitario per esempio in alcuni disturbi del neurosviluppo.</li>
</ul>

In definitiva, si tratta di un fenomeno complesso, potendosi individuare almeno le seguenti dimensioni costitutive:

1. &egrave; un&rsquo;attivit&agrave; intrinsecamente motivata, svolta per il puro piacere del suo esercizio, senza finalit&agrave; esterne;

2. i partecipanti avvertono un senso di controllo sull&rsquo;attivit&agrave; stessa, sia a livello iniziale (nella scelta del gioco e delle regole da seguire) sia nel suo svolgimento sia nel suo termine (decidendo quando e come finire il gioco);

3. c&rsquo;&egrave; una focalizzazione sul processo, ossia sul giocare in s&eacute;, sia sul prodotto o sul risultato finale (per esempio, il gioco con i mattoncini colorati determina i maggiori stati di divertimento e di impegno in fase di costruzione piuttosto che poi nell&rsquo;utilizzo del prodotto ultimato);

4. i partecipanti sono liberi, in quanto decidono se e come iniziare a giocare, con quali regole, materiali e compagni, ma al contempo sono condizionati dai limiti, dalle regole e dagli accordi assunti reciprocamente;

5. infine, &egrave; presente uno stato soggettivo di piacere e divertimento, anche in presenza di fatica e impegno.

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Vari tipi di gioco

Riprendendo i lavori di Van Oers (2013), possiamo affermare che il gioco, pi&ugrave; che identificarsi in specifiche attivit&agrave;, &egrave; un atteggiamento verso il mondo e un modo con cui viene svolta un&rsquo;attivit&agrave; (qualunque essa sia, anche di tipo scolastico). La complessit&agrave; del gioco dipende anche dai differenti tipi in cui pu&ograve; manifestarsi (si veda il BOX 1).

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Il gioco rappresenta in campo educativo un paradosso: da un lato viene riconosciuto il suo ruolo nello sviluppo di abilità cognitive, motorie e sociali; dall’altro lato ancora troppo spesso viene relegato a un’attività secondaria rispetto a quelle strettamente didattiche, un semplice riempitivo di momenti vuoti. Eppure, gioco e apprendimento risultano due fenomeni strettamente interconnessi.
 
Che cos'è il gioco?
Partiamo da una prima definizione di cosa intendere col termine “gioco”, riprendendo anche studiosi ormai classici come Huizinga (1938) ed evidenziando il carattere paradossale di questo fenomeno:

è reale nella sua manifestazione eppure basato spesso sull’immaginazione e sulla finzione;
è serio ma al contempo divertente;
è libero nella decisione di iniziarlo e altrettanto limitato da regole nel suo svolgimento;
è resistente e diffuso, potendosi manifestare in qualsiasi situazione anche avversa, eppure fragile, risultando deficitario per esempio in alcuni disturbi del neurosviluppo.

In definitiva, si tratta di un fenomeno complesso, potendosi individuare almeno le seguenti dimensioni costitutive:
1. è un’attività intrinsecamente motivata, svolta per il puro piacere del suo esercizio, senza finalità esterne;
2. i partecipanti avvertono un senso di controllo sull’attività stessa, sia a livello iniziale (nella scelta del gioco e delle regole da seguire) sia nel suo svolgimento sia nel suo termine (decidendo quando e come finire il gioco);
3. c’è una focalizzazione sul processo, ossia sul giocare in sé, sia sul prodotto o sul risultato finale (per esempio, il gioco con i mattoncini colorati determina i maggiori stati di divertimento e di impegno in fase di costruzione piuttosto che poi nell’utilizzo del prodotto ultimato);
4. i partecipanti sono liberi, in quanto decidono se e come iniziare a giocare, con quali regole, materiali e compagni, ma al contempo sono condizionati dai limiti, dalle regole e dagli accordi assunti reciprocamente;
5. infine, è presente uno stato soggettivo di piacere e divertimento, anche in presenza di fatica e impegno.
 
Vari tipi di gioco
Riprendendo i lavori di Van Oers (2013), possiamo affermare che il gioco, più che identificarsi in specifiche attività, è un atteggiamento verso il mondo e un modo con cui viene svolta un’attività (qualunque essa sia, anche di tipo scolastico). La complessità del gioco dipende anche dai differenti tipi in cui può manifestarsi (si veda il BOX 1).
 


Le regole del gioco e il gioco delle regole

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