Star bene a scuola: l'empatia dell'insegnante

Come funziona il cervello emotivo dei bambini?

Che cosa comunica il nostro sguardo? - “Pillole” per star bene a scuola

La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

Domanda fatale a cui si pu&ograve; rispondere ripetendo pi&ugrave; o meno cose gi&agrave; fatte in passato o proponendo cose del tutto nuove.

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Spesso la routine porta pi&ugrave; a ripetersi che a creare di nuovo, conta molto chi e come siamo, quali bambini accoglieremo, il contesto dello spazio educativo. Si pu&ograve; anche correre il rischio che questo inizio diventi un puro elenco di cose lineari, una routine. D&rsquo;altra parte, in ogni anno viene Natale e la festa della mamma, arriva la primavera, si fa la festicciola di fine anno. Ma dietro alle &ldquo;cose&rdquo; del tran-tran educativo (l&rsquo;insegnare e l&rsquo;apprendere) ci sono altri aspetti pi&ugrave; profondi e strutturali delle possibili diverse esperienze, delle diverse attivit&agrave;, dei diversi riti connessi. &ldquo;Cose pedagogiche&rdquo; che merita di anno in anno ripensare, per mettere a punto un piano di lavoro che sappia interpretare le nostre azioni e quelle dei bambini in modo significativo, qualsiasi sia l&rsquo;attivit&agrave; da progettare.

Mi vengono spontanei cinque aspetti fondativi del lavoro educativo con i piccoli, quasi cinque dita di una mano con cui stringere i diversi fiori educativi e farne un mazzetto sensato.

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1. Dare autonomia

Il primo dito ce lo regala Maria Montessori e la sua frase &ldquo;aiutami a fare da solo&rdquo;. Eh s&igrave;, l&rsquo;et&agrave; 0-6 &egrave; quella in cui l&rsquo;autonomia personale cresce man mano ed &egrave; necessaria per il formarsi di un bambino e una bambina creativi, curiosi, capaci di avere interessi e di condividerli con gli altri. Dare autonomia ai bambini &egrave; una cosa molto complessa, pi&ugrave; facile &egrave; accudirli con ansie protettive, anche amorevoli ma adultistiche.

Offrire ai bambini un contesto educativo in cui rischiare il s&eacute; dell&rsquo;azione e del pensiero &egrave; un&rsquo;arte raffinata che necessita, qualsiasi sia l&rsquo;attivit&agrave; o il campo di esperienza su cui si opera, di una didattica attiva coraggiosa.

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2. Essere un supporto non invadente

Il secondo dito, parente del primo, &egrave; l&rsquo;idea di scaffolding propostaci da Jerome Bruner. Cio&egrave; un adulto &ldquo;solido&rdquo; (scaffolding sta per &ldquo;struttura su cui poggiarsi&rdquo;) e rassicurante, sempre pronto (ma solo se serve) a farsi &ldquo;appoggio&rdquo; al bambino che sta facendo da solo o tra pari. Un adulto che sta dietro al bambino, non davanti, ma di cui il piccolo sente la presenza centrata sull&rsquo;empatia, l&rsquo;ascolto, il far domande pi&ugrave; che dare risposte.

&Egrave; al cuore dell&rsquo;asimmetria tra chi insegna e chi impara: siamo diversi, a noi adulti sta l&rsquo;accompagnamento fiducioso, ma non invadente, con equilibrio, saggezza, pazienza.

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3. Accompagnare a sviluppare conoscenze e abilit&agrave;

Il terzo dito &egrave; ricordarsi se, prima di iniziare qualsiasi attivit&agrave; educativa o didattica, l&rsquo;educatore abbia approfondito su quale e quanta zona prossimale di sviluppo del bambino ci si propone di lavorare, come ci ha insegnato Lev Vygotskij.

Cio&egrave; l&rsquo;educatore &ldquo;accompagna&rdquo; il bambino a sviluppare conoscenze e abilit&agrave; sapendo bene da dove parte il nostro piccolo e fino a quale sviluppo potrebbe arrivare attraverso la relazione educativa. Potrebbe accadere che una bassa stima del bambino ci porti ad attendersi meno da lui, calando quindi (magari con un errato maternage) le nostre e le sue attese. Ma potrebbe anche accadere di pretendere troppo per una non corretta analisi dei punti di partenza del bambino, con il rischio del fallimento reciproco.

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4. Aiutare a dare un senso alle cose

Il quarto dito &egrave; antico, viene dalla Bibbia e da Adamo. Siamo nella Genesi, Dio ha fatto il mondo e Adamo, ma lui si sente solo. Allora Dio crea per lui animali, piante, fiori e gli chiede di dar loro un nome. Adamo d&agrave; un nome a tutte le cose create e Dio dice &ldquo;Il nome che Adamo ha dato alle cose sia il nome delle cose&rdquo;: &egrave; l&rsquo;uomo che d&agrave; un nome, non Dio, cio&egrave; le cose sono secondo come Adamo le interpreta. Nomi come logos (cio&egrave; significati) non come etichette, &egrave; un&rsquo;idea grandiosa dell&rsquo;umano come creatore del senso delle cose.

&Egrave; nota l&rsquo;importanza per ogni bambino della conquista del linguaggio come forma non di denominazione, ma di interpretazione e significato delle cose. Il passaggio dal &ldquo;linguaggio interno&rdquo; del bambino piccolo al linguaggio &ldquo;esterno&rdquo; del bambino che cresce &egrave; una questione centrale dell&rsquo;educazione da 0 a 6 anni, qualsiasi sia il gioco, l&rsquo;attivit&agrave; didattica, l&rsquo;esperienza educativa che si sta percorrendo. Il linguaggio &egrave; la vera base dell&rsquo;umano, in tutte le sue forme. Pensare quindi a ogni bambino come un nuovo Adamo che ri-crea il mondo con la sua interpretazione personale &egrave; la cosa pi&ugrave; bella e profonda dell&rsquo;educare: &egrave; diventare persona.

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5. Dare il giusto tempo

Il quinto dito riguarda un versetto di una bella canzone di Paolo Conte: &ldquo;Ci va il tempo che ci va, non basta un attimo&rdquo;. La canzone parla d&rsquo;amore, ma va bene anche in educazione. Assistiamo a un&rsquo;epoca in cui ai bambini viene richiesto di fare tante cose, spesso troppe, in fretta, di riempire i loro giorni di tanti ingarbugliati eventi. Anche l&rsquo;educazione a volte cade in questa fretta precocistica quantitativa.

Eppure, per apprendere bene, per stare bene, per crescere con armonia bisogna dare a tutti i bambini i loro tempi, non basta un attimo.

PENSARE BENE PER FARE BENE

Cinque dita per ripartire

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