Obiettivi, metodologie, competenze: il ruolo dell’insegnante

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Susanna Mantovani è professoressa ordinaria di Pedagogia generale e sociale presso l’Università Milano-Bicocca e membro della Commissione Zerosei del Ministero dell’Istruzione. Numerosi i suoi studi, le sue ricerche e pubblicazioni su tematiche educative e scolastiche: nido, scuola, famiglia, accoglienza, tecnologie e bambini. Grazie anche alla sua attività divulgativa per una cultura sull’infanzia, è un punto di riferimento culturale e professionale per moltissimi insegnanti ed educatori.

Susanna Mantovani è professoressa ordinaria di Pedagogia generale e sociale presso l’Università Milano-Bicocca e membro della Commissione Zerosei del Ministero dell’Istruzione. Numerosi i suoi studi, le sue ricerche e pubblicazioni su tematiche educative e scolastiche: nido, scuola, famiglia, accoglienza, tecnologie e bambini. Grazie anche alla sua attività divulgativa per una cultura sull’infanzia, è un punto di riferimento culturale e professionale per moltissimi insegnanti ed educatori.

1. Perché i primi duemila giorni di scuola sono così importanti?
 


 Sono gli anni in cui si fondano tutte le principali capacità di sviluppo e la base per

1. Perché i primi duemila giorni di scuola sono così importanti?Sono gli anni in cui si fondano tutte le principali capacità di sviluppo e la base per le competenze future. Basti pensare che in questo periodo i bambini imparano a gestire il proprio corpo, a camminare, a essere autonomi, a nutrirsi, ad apprendere anche altre lingue e linguaggi. In questi anni apprendono a conversare, a riflettere e formulare ipotesi, anche se basate prevalentemente su esperienze concrete. Poi comincia un periodo in cui si mettono le basi del pensiero astratto, che si svilupperà negli anni successivi. Vediamo che questi anni sono particolarmente plastici, un bambino può imparare quando è piccolo qualsiasi lingua e anche più di una.Ormai lo sappiamo: intervenire presto, alimentare e rendere possibili esperienze in questi anni è veramente un asset in più per poter avere uno sviluppo articolato, soddisfacente e anche un senso di benessere, per sentirsi competenti anche negli anni successivi.2. Quali dovrebbero essere le qualità essenziali di chi si prende cura dei bambini e delle bambine nei primi anni di vita?Avere interesse e curiosità nel vederli e osservarli perché in questi anni la loro modalità di manifestare lo sviluppo è molto differenziata.Maria Montessori diceva che perfino il capriccio di un bambino è un problema scientifico da risolvere: cercare di capire un momento di pianto, di insoddisfazione, di rabbia è qualche cosa che per chi lavora con i bambini (e poi anche per i genitori) deve portare a interrogarsi sul significato di quel comportamento, per poter creare un ambiente, degli stimoli, ma anche dei contenimenti e degli interventi che siano appropriati.Questa capacità di osservare e valutare, possibilmente condivisa con altri, è il criterio base per l’intervento quando i bambini sono più piccoli.3. Quali punti di riferimento dovrebbero essere i cardini della continuità educativa in questo periodo?Continuità non vuol dire fare le stesse cose, la interpreto molto in termini di coerenza.Io credo anche nel cambiamento, in una visione che sia come un arco: un bambino ha un prima (una storia anche di pochi mesi) e ha un futuro, diventerà un bambino grande e un adolescente e poi un adulto.Credo che la prospettiva della continuità sia una prospettiva di coerenza rispetto alle esperienze che si offrono ai bambini, ma anche culturale, riuscire a vedere un individuo completo, pensando a chi è stato e a chi diventerà.Dal punto di vista dei genitori molte volte la continuità è relazionale, è la continuità dei riferimenti adulti di gruppo. Le famiglie hanno paura delle transizioni e i servizi per l’infanzia sono visti come punti di riferimento.Nel passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia l’attenzione si concentra sul bambino, sul gruppo, sul suo sviluppo, non dimentica la famiglia ma ha meno bisogno di un coinvolgimento costante dei genitori.Credo si debba ragionare su questa paura del cambiamento che molte famiglie vivono, ma sapendo anche che i bambini devono essere aiutati a crescere, sono loro che ci danno i segnali di quando sono pronti per affrontare qualcosa di nuovo.4. Lo zerosei sta vivendo un momento importantissimo: come promuovere processi che ci aiutino a trovare direzioni condivise, pur nelle diversità che esistono?I servizi per l’infanzia sono luoghi che hanno un’identità molto particolare, che viene colta ed è fatta da chi la abita, ma che hanno anche uno stretto legame con i luoghi. Sono connotati dalla qualità delle relazioni (tra educatori e bambini, tra adulti), da una forte tradizione di collegialità, sono diventati per molti genitori luoghi di ritrovo che creano legami.Abbiamo bisogno, senza perdere queste identità, di uno sviluppo di servizi più esteso in alcune aree del nostro Paese, in particolare per i più piccoli e per il completamento dell’orario della scuola dell’infanzia. Sarebbe bello poter utilizzare dei contatti, dei “gemellaggi”, che non vuol dire copiarsi, ma incontrarsi, conoscersi. E sono necessarie delle linee-guida, che abbiamo tentato di elaborare come Commissione con le Linee pedagogiche.5. Qual è secondo lei uno degli aspetti più complessi di questo processo?La riflessione pedagogica e l’attenzione a dare un’offerta ricca ai bambini richiede non solo una cultura educativa, ma anche una consapevolezza dell’organizzazione necessaria. Noi oggi abbiamo delle risorse per estendere lo 0-6 nei prossimi anni, ma non è detto che in tutte le località, laddove i servizi ancora non si sono sviluppati, ci siano know-how organizzativo-gestionali. Se non c’è una buona organizzazione, se non c’è una consapevolezza delle norme, delle risorse, difficilmente si lavora bene.Credo che quest’anno di pandemia, con le difficoltà organizzative piombate sui servizi e sulle scuole, abbia evidenziato i vincoli organizzativi; sarebbe molto importante che tutti coloro che lavorano nei servizi, tutti gli operatori, tutti gli insegnanti fossero consapevoli di questi vincoli e delle strutture organizzative.Anche perché ho la fiducia che anche i vincoli qualche volta generino creatività e innovazione.

1. Perché i primi duemila giorni di scuola sono così importanti?Sono gli anni in cui si fondano tutte le principali capacità di sviluppo e la base per le competenze future. Basti pensare che in questo periodo i bambini imparano a gestire il proprio corpo, a camminare, a essere autonomi, a nutrirsi, ad apprendere anche altre lingue e linguaggi. In questi anni apprendono a conversare, a riflettere e formulare ipotesi, anche se basate prevalentemente su esperienze concrete. Poi comincia un periodo in cui si mettono le basi del pensiero astratto, che si svilupperà negli anni successivi. Vediamo che questi anni sono particolarmente plastici, un bambino può imparare quando è piccolo qualsiasi lingua e anche più di una.Ormai lo sappiamo: intervenire presto, alimentare e rendere possibili esperienze in questi anni è veramente un asset in più per poter avere uno sviluppo articolato, soddisfacente e anche un senso di benessere, per sentirsi competenti anche negli anni successivi. 2. Quali dovrebbero essere le qualità essenziali di chi si prende cura dei bambini e delle bambine nei primi anni di vita?Avere interesse e curiosità nel vederli e osservarli perché in questi anni la loro modalità di manifestare lo sviluppo è molto differenziata.Maria Montessori diceva che perfino il capriccio di un bambino è un problema scientifico da risolvere: cercare di capire un momento di pianto, di insoddisfazione, di rabbia è qualche cosa che per chi lavora con i bambini (e poi anche per i genitori) deve portare a interrogarsi sul significato di quel comportamento, per poter creare un ambiente, degli stimoli, ma anche dei contenimenti e degli interventi che siano appropriati.Questa capacità di osservare e valutare, possibilmente condivisa con altri, è il criterio base per l’intervento quando i bambini sono più piccoli. 3. Quali punti di riferimento dovrebbero essere i cardini della continuità educativa in questo periodo?Continuità non vuol dire fare le stesse cose, la interpreto molto in termini di coerenza.Io credo anche nel cambiamento, in una visione che sia come un arco: un bambino ha un prima (una storia anche di pochi mesi) e ha un futuro, diventerà un bambino grande e un adolescente e poi un adulto.Credo che la prospettiva della continuità sia una prospettiva di coerenza rispetto alle esperienze che si offrono ai bambini, ma anche culturale, riuscire a vedere un individuo completo, pensando a chi è stato e a chi diventerà.Dal punto di vista dei genitori molte volte la continuità è relazionale, è la continuità dei riferimenti adulti di gruppo. Le famiglie hanno paura delle transizioni e i servizi per l’infanzia sono visti come punti di riferimento.Nel passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia l’attenzione si concentra sul bambino, sul gruppo, sul suo sviluppo, non dimentica la famiglia ma ha meno bisogno di un coinvolgimento costante dei genitori.Credo si debba ragionare su questa paura del cambiamento che molte famiglie vivono, ma sapendo anche che i bambini devono essere aiutati a crescere, sono loro che ci danno i segnali di quando sono pronti per affrontare qualcosa di nuovo. 4. Lo zerosei sta vivendo un momento importantissimo: come promuovere processi che ci aiutino a trovare direzioni condivise, pur nelle diversità che esistono?I servizi per l’infanzia sono luoghi che hanno un’identità molto particolare, che viene colta ed è fatta da chi la abita, ma che hanno anche uno stretto legame con i luoghi. Sono connotati dalla qualità delle relazioni (tra educatori e bambini, tra adulti), da una forte tradizione di collegialità, sono diventati per molti genitori luoghi di ritrovo che creano legami.Abbiamo bisogno, senza perdere queste identità, di uno sviluppo di servizi più esteso in alcune aree del nostro Paese, in particolare per i più piccoli e per il completamento dell’orario della scuola dell’infanzia. Sarebbe bello poter utilizzare dei contatti, dei “gemellaggi”, che non vuol dire copiarsi, ma incontrarsi, conoscersi. E sono necessarie delle linee-guida, che abbiamo tentato di elaborare come Commissione con le Linee pedagogiche. 5. Qual è secondo lei uno degli aspetti più complessi di questo processo?La riflessione pedagogica e l’attenzione a dare un’offerta ricca ai bambini richiede non solo una cultura educativa, ma anche una consapevolezza dell’organizzazione necessaria. Noi oggi abbiamo delle risorse per estendere lo 0-6 nei prossimi anni, ma non è detto che in tutte le località, laddove i servizi ancora non si sono sviluppati, ci siano know-how organizzativo-gestionali. Se non c’è una buona organizzazione, se non c’è una consapevolezza delle norme, delle risorse, difficilmente si lavora bene.Credo che quest’anno di pandemia, con le difficoltà organizzative piombate sui servizi e sulle scuole, abbia evidenziato i vincoli organizzativi; sarebbe molto importante che tutti coloro che lavorano nei servizi, tutti gli operatori, tutti gli insegnanti fossero consapevoli di questi vincoli e delle strutture organizzative.Anche perché ho la fiducia che anche i vincoli qualche volta generino creatività e innovazione.

Accompagnare nei primi duemila giorni di vita

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