Esami universitari

Le parole si sciolgono in bocca

Gli insegnati del futuro saranno depressi?

Alla scoperta di sogni ed emozioni

La Gioia di ricominciare

Rami per giocare e decorare

Le strade della motivazione intrinseca

Collodi, come tutti, era figlio del suo tempo. Ha scritto un capolavoro, ma era immerso nella pedagogia ottocentesca del sacrificio. Sicuramente non conosceva Fr&ouml;bel, Montessori, Vygotskij, mentre forse sapeva che Vittorio Alfieri, per trovare un po&rsquo; di voglia di studiare, si faceva legare alla sedia. 
Per fortuna, invece, esiste anche la motivazione intrinseca e poche attivit&agrave; umane, come giocare, sono intrinsecamente motivanti.

Non so se il mio maestro avesse letto Fr&ouml;bel, Montessori e Vygotskij, ma so che prendeva dei gessetti colorati e disegnava sulla lavagna uno schema di battaglia navale con i numeri sia in orizzontale che in verticale.&nbsp;

Noi dovevamo sparare alle navi:

&ldquo;Sette per cinque trentacinque.&rdquo;

&ldquo;Colpita!&rdquo;.

&ldquo;Otto per otto quarantotto.&rdquo;

&ldquo;Acqua!&rdquo;.

&ldquo;Sette per otto cinquantasei.&rdquo;

&ldquo;Colpita e affondata!&rdquo;.

Chi vinceva? Tutti, quando tutte le navi erano state affondate.

Chi perdeva? Nessuno. Chi veniva punito? Chi veniva interrogato e prendeva un brutto voto? Nessuno. Ecco il gioco per imparare e divertirsi anzich&eacute; soffrire, per cooperare anzich&eacute; competere, per ricevere un feedback. 
Un feedback: non un voto o un giudizio! Una battaglia navale al posto di una corda o di una punizione. Il mio maestro non assegnava neppure compiti a casa. Sosteneva che le cose si imparano a scuola e che il pomeriggio &egrave; fatto per giocare a nascondino in cortile. E noi, a scuola &ldquo;giocavamo&rdquo; con le storie che ci raccontava, che disegnava alla lavagna con i suoi gessetti colorati e che, a oltre sessant&rsquo;anni di distanza, mi sono rimaste, oltre che nella mente, nel cuore.

Le strade della motivazione intrinseca
Collodi, come tutti, era figlio del suo tempo. Ha scritto un capolavoro, ma era immerso nella pedagogia ottocentesca del sacrificio. Sicuramente non conosceva Fröbel, Montessori, Vygotskij, mentre forse sapeva che Vittorio Alfieri, per trovare un po’ di voglia di studiare, si faceva legare alla sedia.
Per fortuna, invece, esiste anche la motivazione intrinseca e poche attività umane, come giocare, sono intrinsecamente motivanti.
Non so se il mio maestro avesse letto Fröbel, Montessori e Vygotskij, ma so che prendeva dei gessetti colorati e disegnava sulla lavagna uno schema di battaglia navale con i numeri sia in orizzontale che in verticale. 
Noi dovevamo sparare alle navi:
“Sette per cinque trentacinque.”
“Colpita!”.
“Otto per otto quarantotto.”
“Acqua!”.
“Sette per otto cinquantasei.”
“Colpita e affondata!”.
Chi vinceva? Tutti, quando tutte le navi erano state affondate.
Chi perdeva? Nessuno. Chi veniva punito? Chi veniva interrogato e prendeva un brutto voto? Nessuno. Ecco il gioco per imparare e divertirsi anziché soffrire, per cooperare anziché competere, per ricevere un feedback.
Un feedback: non un voto o un giudizio! Una battaglia navale al posto di una corda o di una punizione. Il mio maestro non assegnava neppure compiti a casa. Sosteneva che le cose si imparano a scuola e che il pomeriggio è fatto per giocare a nascondino in cortile. E noi, a scuola “giocavamo” con le storie che ci raccontava, che disegnava alla lavagna con i suoi gessetti colorati e che, a oltre sessant’anni di distanza, mi sono rimaste, oltre che nella mente, nel cuore.


C&rsquo;era una volta un bambino con un Disturbo da deficit dell&rsquo;attenzione e iperattivit&agrave;. Preferiva andare a vedere il teatro dei burattini piuttosto che restare in classe ad ascoltare la maestra. Non aveva la mamma e il padre era un artigiano poverissimo.

Un giorno, conobbe un ragazzino appena pi&ugrave; grande di lui, che soffriva di un Disturbo oppositivo provocatorio. Fecero amicizia, andarono in un paese dove non si faceva altro che giocare e divertirsi, ma una mattina, specchiandosi in un catino d&rsquo;acqua, si accorsero che erano diventati due asini. Il posto dove erano finiti si chiamava Paese dei balocchi.&nbsp;

C’era una volta un bambino con un Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. Preferiva andare a vedere il teatro dei burattini piuttosto che restare in classe ad ascoltare la maestra. Non aveva la mamma e il padre era un artigiano poverissimo.
Un giorno, conobbe un ragazzino appena più grande di lui, che soffriva di un Disturbo oppositivo provocatorio. Fecero amicizia, andarono in un paese dove non si faceva altro che giocare e divertirsi, ma una mattina, specchiandosi in un catino d’acqua, si accorsero che erano diventati due asini. Il posto dove erano finiti si chiamava Paese dei balocchi. 


Star bene a scuola

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