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pedagogicamente

Non ci dispiace pensare che qualcosa abbiamo imparato anche da questo evento epocale. E che questo qualcosa possa essere un lievito importante per la scuola, per l’educazione e per la vita sociale e personale.


 


 Un nuovo sguardo


 L’essenziale che noi abbiamo ritrovato sta in queste poche parole:

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Non ci dispiace pensare che qualcosa abbiamo imparato anche da questo evento epocale. E che questo qualcosa possa essere un lievito importante per la scuola, per l’educazione e per la vita sociale e personale.Un nuovo sguardoL’essenziale che noi abbiamo ritrovato sta in queste poche parole:favorire l’intimità delle relazioni;scegliere situazioni dove il corpo sperimenta in maniera partecipata e potenzia il benessere psicofisico;moltiplicare l’attenzione al contesto pratico nel quale si vive, rallentando e ponendo attenzione alla cura estetica e funzionale dei luoghi nei quali si articolano le giornate scolastiche;avere attenzione alle nostre comuni fragilità, perché ogni persona, senza distinzione, quando ne ha la possibilità vuole crescere, migliorarsi, conoscere, imparare.Nelle nostre scuole tutto questo può diventare realtà.1. Una scuola di relazioniLa letteratura legata ai bambini che vanno a scuola è piena di ragazzi che volevano “far forca” per evitare lo studio noioso, scansare le sgridate da parte dell’insegnante, o desideravano, come Pinocchio, che ogni settimana fosse fatta di tutti giovedì e domeniche, perché ai suoi tempi quelli erano i giorni nei quali non si andava a scuola.Durante l’emergenza legata al coronavirus abbiamo visto bambini e adolescenti che chiedevano di ritornare in classe. Si capiva che la loro era una richiesta di contatto, un bisogno di vicinanza fisica, di condivisione con i compagni e con gli adulti, una richiesta piena di un desiderio di scuola, come mai visto prima.Allora, quanto più possibile, chi si occupa di scuola dovrà (oggi e domani) sviluppare questi contatti, privilegiando le situazioni che più li favoriscono: contesti dove il lavoro o il gioco si possono vivere in due o in piccolo gruppo. Dove è presente una certa “intimità”, dove si può parlare, scambiarsi pensieri, raccontarsi, scherzare, sorridere o commuoversi. E dove regnano i principi di base delle relazioni umane: aiutiamoci, litighiamo, collaboriamo, proteggiamoci a vicenda.Organizzare la scuola secondo questo modello è una prima indicazione positiva da seguire.

Albero di pasta: Sezione F, I.C. Sacchetti, San Miniato Basso (PI).

Albero di pasta: Sezione F, I.C. Sacchetti, San Miniato Basso (PI).

“Tutti i bambini vanno valutati per i valori che riescono a vivere, come per esempio aiutare chi si trova in difficoltà”. (Mario Lodi)

2. Una scuola in “movimento”In secondo luogo, abbiamo capito che gli ambienti chiusi non sono i più adatti per passare un’intera giornata dentro la scuola. Abbiamo capito che l’esterno, il giardino o le attività all’aria aperta, sono un toccasana per la salute fisica, mentale e sociale. Sono gli ambienti fuori dell’aula che favoriscono la mobilità corporea e l’uso non rattrappito del corpo. Lo stare all’aperto non impegna solo le dita o la mente, ma richiede unità e globalità di azione, progettazione, esecuzione, controllo dei risultati… Abbiamo capito che non si tratta di spostare all’esterno le attività che si facevano prima all’interno, ripetendo una didattica fatta di sezionamenti e di apprendimenti parcellizzati. All’esterno c’è un corpo intero e anche l’insegnamento può essere più partecipato, più “globale”, più motivato. 3. Una scuola che curaIn terzo luogo, abbiamo capito che il modello di riferimento sociale, al quale molti di noi hanno creduto, era un modello legato all’illusione di uno sviluppo costante di una economia che aveva come linfa vitale l’idea di velocità e di produttività. Quel modello ha contribuito a creare il buco enorme nel quale siamo caduti tutti, a livello mondiale. Abbiamo sentito dire oggi: meno economia e più ecologia. O, come scrive Papa Francesco: l’economia deve essere “integrale e considerare necessariamente il suo impatto sull’ambiente e la dignità della persona”. Per farlo, occorre curare di più l’ambiente, la casa comune di tutti noi, quella che dovremo lasciare in eredità a chi verrà dopo.E allora, nella scuola, abbiamo capito che non si tratta tanto di curare l’orto didattico o di riciclare le bottiglie di plastica. Si tratta di costruire un vivere quotidiano fatto di cura, di attenzione “estetica” agli ambienti di vita così da proteggerci tutti, con scelte sostenibili, costruendo un quotidiano virtuoso (e non meno felice), dove si consuma meglio e di meno (dai cibi, agli arredi, ai materiali didattici…). 4. Una scuola che proteggeIn quarto luogo, abbiamo capito che occorre proteggere i più fragili, perché ciascuno ha scoperto di essere anche lui fragile, quasi indifeso. Sentirsi fragili ci aiuta. Aiuta a capire che cosa significa, per altri, esserlo. Aiuta a non discriminare chi possiede meno (come intelligenza o come conoscenza). I più deboli non hanno bisogno di un sostegno caritatevole, ma del riconoscimento di un loro diritto a essere come essi sono. Sentirsi fragili aiuta a riconoscere che “io e l’altro” sono solo opposizioni assurde e che noi viviamo nel dialogo: io sono nell’altro e l’altro è in me (Martin Buber lo aveva scritto tanti anni fa).

Non ci dispiace pensare che qualcosa abbiamo imparato anche da questo evento epocale. E che questo qualcosa possa essere un lievito importante per la scuola, per l’educazione e per la vita sociale e personale. Un nuovo sguardoL’essenziale che noi abbiamo ritrovato sta in queste poche parole:<ol><li style="text-align: justify;">favorire l’intimità delle relazioni;</li><li style="text-align: justify;">scegliere situazioni dove il corpo sperimenta in maniera partecipata e potenzia il benessere psicofisico;</li><li style="text-align: justify;">moltiplicare l’attenzione al contesto pratico nel quale si vive, rallentando e ponendo attenzione alla cura estetica e funzionale dei luoghi nei quali si articolano le giornate scolastiche; </li><li style="text-align: justify;">avere attenzione alle nostre comuni fragilità, perché ogni persona, senza distinzione, quando ne ha la possibilità vuole crescere, migliorarsi, conoscere, imparare.</li></ol> Nelle nostre scuole tutto questo può diventare realtà. 1. Una scuola di relazioniLa letteratura legata ai bambini che vanno a scuola è piena di ragazzi che volevano “far forca” per evitare lo studio noioso, scansare le sgridate da parte dell’insegnante, o desideravano, come Pinocchio, che ogni settimana fosse fatta di tutti giovedì e domeniche, perché ai suoi tempi quelli erano i giorni nei quali non si andava a scuola.Durante l’emergenza legata al coronavirus abbiamo visto bambini e adolescenti che chiedevano di ritornare in classe. Si capiva che la loro era una richiesta di contatto, un bisogno di vicinanza fisica, di condivisione con i compagni e con gli adulti, una richiesta piena di un desiderio di scuola, come mai visto prima.Allora, quanto più possibile, chi si occupa di scuola dovrà (oggi e domani) sviluppare questi contatti, privilegiando le situazioni che più li favoriscono: contesti dove il lavoro o il gioco si possono vivere in due o in piccolo gruppo. Dove è presente una certa “intimità”, dove si può parlare, scambiarsi pensieri, raccontarsi, scherzare, sorridere o commuoversi. E dove regnano i principi di base delle relazioni umane: aiutiamoci, litighiamo, collaboriamo, proteggiamoci a vicenda.Organizzare la scuola secondo questo modello è una prima indicazione positiva da seguire.<img filer_id="233474" src="/d/filer/sharing/1620980584/233474/" title="" align="" thumb_option="" original_image="false" style="height: 915px; width: 600px;" data-cke-saved-src="/d/filer/sharing/1620980584/233474/">

Ripartire dall’essenziale

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