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La valutazione della disabilità: criteri e strumenti
Non è sufficiente un approccio esclusivamente psicometrico per identificare la disabilità intellettiva dal punto di vista dei bisogni complessivi della persona.

Inquesto contributo si approfondiranno gli aspetti della valutazione quando essa ha come oggetto la diagnosi della disabilità intellettiva, per la programmazione di adeguati piani individualizzati mirati alla riabilitazione.
Va anzitutto precisato che i criteri fondamentali per la definizione della disabilità cognitiva includono:
la classificazione e l’inquadramento diagnostico, che deve tenere conto di aspetti intellettivi, motivazionali, adattivi;
l’accertamento di quali competenze sono deficitarie e in che misura;
l’età di insorgenza della disabilità e le sue conseguenze sul funzionamento presente.
Per ciascuno di questi criteri il ruolo del momento valutativo e diagnostico è ritenuto fondamentale, al fine di instaurare un processo abilitativo/riabilitativo realmente adeguato ed efficace in relazione ai bisogni della singola persona. Al riguardo, un approccio esclusivamente psicometrico è ritenuto non sufficiente per identificare la disabilità intellettiva dal punto di vista dei bisogni complessivi della persona. Più recentemente è stato messo in discussione l’uso predominante del QI al fine di una comprensione piena dei problemi della disabilità.
Quale norma nella disabilità evolutiva?
I concetti di “psicometria” e di attendibilità e validità ad esso connesse vanno ridiscussi per finalizzarli all’uso nella diagnosi della disabilità e dei bisogni educativi. Il termine stesso riporta alla centralità del “metro” e della “norma”: ma quale norma è utile nel ritardo evolutivo? Quella che si riferisce ai soggetti “normodotati” consente la collocazione nosografica, ma dice poco rispetto alle potenzialità residue. In alternativa, andrebbe definita una “norma” all’interno di fasce della disabilità stessa, in base alla quale confrontare le prestazioni dei singoli casi.
Nel caso dei deficit neuropsicologici è necessario differenziare tra scopi diagnostici (collocazione rispetto alle “norme”) e accertamento della capacità del soggetto di padroneggiare determinati compiti. In questo senso è utile avere anche criteri di tipo funzionale riferiti a specifiche patologie con cui confrontare le prestazioni del caso in esame. Il riferimento a criteri normativi è solo uno degli elementi necessari per programmare una riabilitazione più mirata e di verificarne l’efficacia mediante un confronto in diversi periodi temporali.
Prevenire l’errore diagnostico: i casi
di comorbidità o borderline
La valutazione può portare a errori diagnostici se ignora o sottovaluta due aspetti importanti: le comorbidità (presenza concomitante di due o più disturbi) e le aree di “confine”. Nello stesso alunno si possono manifestare più forme di disabilità e carenze multiple di competenze: per esempio, quando agli aspetti cognitivi si associano quelli emotivi, relazionali, comportamentali, quali aggressività o anassertività, autolesionismo, iperattività, oppositività, autismo. In questi casi la “doppia diagnosi” nosografica va integrata con la valutazione di quali funzioni tipiche di ciascuna etichetta diagnostica sono comuni e quali sono specifiche nell’alunno in esame.
A errori diagnostici possono indurre anche le situazioni “limite” o borderline, cioè i casi di alunni che presentano un livello intellettivo sotto la norma, ma non inferiore alla soglia del QI 70 (due deviazioni standard sotto la media del test d’intelligenza), e problemi di adattamento. Per questi casi sono necessari supporti individualizzati, pur se l’alunno non rientra nelle condizioni in cui si assegna l’insegnante di sostegno.Del Funzionamento Limite o borderline abbiamo parlato in un precedente articolo (Di Nuovo, 2012). Un caso di comorbidità fra questa diagnosi nosografica e altri deficit in aree diverse di funzionamento è presentato nel box: caso tipico in cui si potrebbe incorrere in un’errata diagnosi – di “normalità”, o al contrario di “disabilità intellettiva”, entrambe inappropriate, rispettivamente per difetto o per eccesso – se non si valuta anche il grado di adattamento nelle altre funzioni. E questo errore diagnostico può inficiare l’intervento che va programmato per il caso in questione e l’attribuzione di supporti adeguati.
Le comorbidità e le situazioni “limite” sono aspetti da non trascurare per evitare errori diagnostici
L’assessment delle disabilità: tecniche di osservazione
I problemi e le difficoltà cui si è accennato in riferimento all’assessment nella disabilità evolutiva si accentuano ovviamente quando il livello della disabilità è tale da pregiudicare la comprensione delle prove da svolgere, oppure quando ci si trova nelle condizioni di comorbidità o di “confine” di cui si è detto. O ancora quando le caratteristiche del problema (comportamenti aggressivi, iperattivi, autolesionisti ecc.) non consentono l’uso attendibile di strumenti di autodescrizione. Nei casi in cui non possano essere somministrati i tradizionali test né le schede criteriali, unica alternativa resta l’osservazione sistematica. In generale, l’osservazione è sempre utile per completare la valutazione integrando le deduzioni tratte dai test; peraltro, fasi osservative sono già integrate in alcuni test (per esempio quelli per la valutazione dell’adattamento o dell’autismo).
Schede per l’osservazione sistematica possono essere proficuamente utilizzate dagli educatori e dagli operatori della riabilitazione, a condizione che criteri e metodi dell’osservazione vengano accuratamente definiti e gli operatori stessi siano opportunamente addestrati.
I criteri dell’osservazione
Per ciò che attiene all’oggetto dell’osservazione, è necessario rilevare accuratamente tipologia, frequenza, intensità e durata del fenomeno osservato: per esempio, se oggetto dell’osservazione è l’aggressività del bambino, occorre prendere nota – su apposite schede – per ciascun tipo di comportamento aggressivo evidenziato (verbale, fisico ecc.), in quale grado, per quanto tempo esso è perdurato, quante volte durante la giornata si è ripetuto.
Al fine di andare oltre un’osservazione puramente descrittiva e di ottenere informazioni mirate ad accertare cause ed effetti del fenomeno, vanno anche rilevati antecedenti e conseguenti del comportamento in questione: per restare nell’esempio dell’aggressività, va registrato per ciascuna reazione ostile del bambino quali sono gli stimoli che più frequentemente la inducono e quali effetti la reazione aggressiva ha sulle persone presenti (compagni, insegnanti, genitori).
L’osservazione può essere effettuata continuativamente (per esempio per un’intera mattinata di attività), ma nel caso questo tipo ottimale di osservazione non sia possibile per ragioni pratiche, la si può attuare in periodi limitati appositamente campionati: per esempio, per tre mezze ore al giorno, all’inizio e alla fine dell’attività di apprendimento e durante le attività ricreative.
Quanto agli strumenti da utilizzare per l’osservazione, si va dalle check-lists (formulari a codifica prefissata), fino alle registrazioni tramite video-tape in cui la codifica può avvenire a posteriori. Essenziale è mantenere elevati livelli di precisione e di condivisione tra osservatori diversi, grazie a schede utili per la codifica. Esistono in commercio molte di queste griglie di osservazione; tra le più usate sono quelle che si riferiscono ai criteri dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) espressi nell’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF – si veda la Scheda 1 alla fine del presente articolo).
LA SITUAZIONE
Alfredo (nome di fantasia) è un alunno di 9 anni che frequenta la seconda classe di scuola primaria. All’anamnesi si evidenziano esiti di complicazioni neonatali e seri problemi respiratori che hanno perturbato il normale sviluppo motorio. Deambulazione autonoma a due anni. Nonostante sia stato seguito con trattamenti di psicomotricità, permangono difficoltà motorie (specie della motricità fine). Anche lo sviluppo comunicativo e linguistico è deficitario rispetto alla norma per età. Al test di intelligenza WISC-IV il QI totale è 78, che si colloca nella fascia borderline, anche se non oltre la soglia di 2 deviazioni standard dalla norma che caratterizza la disabilità intellettiva. Il QI verbale (72) è il più basso fra i fattori previsti dal test.
L’apprendimento della lettura e scrittura è significativamente al di sotto degli standard previsti per l’età e per il grado scolastico frequentato, come confermano i test di profitto. Le prove criteriali evidenziano carenza nei prerequisiti degli apprendimenti scolastici: abilità di base che vanno al più presto recuperate mediante specifici interventi.
Le competenze adattive e di autonomia, valutate tramite test integrati dall’osservazione comportamentale, sono ridotte rispetto all’età: allo scarso controllo dell’emotività si uniscono difficoltà relazionali che portano Alfredo a isolarsi dal gruppo-classe, con momenti di ripiegamento affettivo e di vera e propria chiusura relazionale.
LA DIAGNOSI E IL TRATTAMENTO
La diagnosi in questo caso è particolarmente complessa, configurando secondo i criteri DSM un Funzionamento Intellettivo Limite ma con diverse co-morbidità: disturbi della motricità, del linguaggio, dell’apprendimento e del funzionamento adattivo. Per rispondere a questi molteplici Bisogni Educativi Speciali altrettanto complesso deve essere il trattamento da prevedere nel Piano Individualizzato, da basare su un’accurata valutazione delle specifiche competenze e funzioni carenti che devono essere abilitate e potenziate. L’intervento sarà integrato fra aspetti comunicativi (linguistici e non verbali), cognitivi (linguaggio e abilità di base necessarie per gli apprendimenti), psicomotori, relazionali (competenze sociali), puntando anche su un counseling ai genitori in grado di supportare in ambito extrascolastico i progressi che il bambino compie nella scuola.
Valutare per ri-abilitare: necessità di un progetto complessivo della comunità scolasticaIn linea con le nuove definizioni dell’handicap in relazione alla quantità e alla qualità di sostegno necessario per il recupero, la valutazione della disabilità intellettiva va finalizzata sia alla definizione del grado e della tipologia del ritardo, sia alla programmazione individualizzata di interventi abilitativi e riabilitativi: l’insieme di azioni volte ad alleviare le menomazioni, la disabilità e gli handicap e migliorare, nei limiti del possibile, la qualità di vita. A questi obiettivi l’assessment va sempre mirato, anche se in momenti e con strumenti diversi per ciascuno di essi. Ricordiamo che, nella definizione dell’OMS, la riabilitazione consiste in attività tendenti alla massimizzazione delle possibilità dell’individuo e alla minimizzazione degli effetti disabilitanti.
La formazione degli insegnanti sia curriculari sia specializzati ha come obiettivi l’abilitazione o la “compensazione”, ma anche l’accettazione e la gestione del limite che questa attività comporta; i metodi sono l’addestramento delle funzioni carenti congiunto al coinvolgimento attivo, globale e non parcellizzato della persona con disabilità, partendo dal suo “patrimonio personale” secondo la definizione di Freinet.
L’assessment va mirato a migliorare, per quanto possibile, la qualità di vita del soggetto
Si eviteranno così sia i rischi del riduzionismo tecnicistico che vede il disabile come un “meccanismo da aggiustare”, con scarso coinvolgimento personale dell’operatore, sia i rischi di un eccessivo coinvolgimento emotivo, che potrebbe sfociare in condizioni di stress o addirittura di burnout professionale.
Particolare importanza nell’assessment a scopi abilitativi assumono la corretta interpretazione e la comunicazione dei risultati a quanti debbono prendersi cura del bambino e dell’adulto con disabilità: educatori, assistenti, famiglie. Gli aspetti legati alla comunicazione dei dati ottenuti in fase di accertamento di funzioni e capacità vanno approfonditi in modo più sistematico di quanto finora non sia avvenuto: il ruolo dell’équipe che prende in carico il soggetto è in questo senso assolutamente centrale per “costruire” un senso complessivo della riabilitazione, cosa che nessuno specialista – per quanto tecnicamente esperto – da solo può fare in modo adeguato. Un processo integrato di abilitazione del disabile in quanto persona globalmente considerata può essere realizzato meglio da una rete di interventi opportunamente coordinati, dei quali l’assessment è solo un momento, seppur centrale e imprescindibile. L’antidoto ai rischi riduzionistici e “tecnicisti” è la formulazione di un progetto educativo articolato e non generico – come peraltro prevede la normativa per il sostegno nella scuola – che parta da una corretta e appropriata valutazione e dalla comprensione delle caratteristiche specifiche dell’alunno-problema nella sua “unicità”, ma anche degli operatori e del contesto in cui il lavoro abilitativo deve avvenire.
Strumenti e percorsi
- Di Nuovo S. (2012), «Funzionamento Intellettivo “Limite”: che cosa indica? Come si valuta?», Psicologia e scuola, 32(1), 18-23.
- Di Nuovo S. (2018), Alunni speciali, bisogni speciali, il Mulino, Bologna.
- Di Nuovo S. (2020), «Valutazione: tanti scopi, tanti modi», Psicologia e scuola, 40(3), 12-17.
- Grasso F. (2011), L’ICF a scuola, Giunti O.S., Firenze.
- Ianes D. (2004), La diagnosi funzionale secondo l’ICF, Erickson, Trento.
- Vianello R., Di Nuovo S., Lanfranchi S. (2014), Bisogni Educativi Speciali: il Funzionamento Intellettivo Limite o Borderline, Junior, Bergamo.