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"La storia di Gialla, la stella", un racconto per spiegare le "differenze"

Mauro Presini è un insegnante che, per facilitare un percorso di integrazione in classe, ha sviluppato una fiaba da condividere con i bambini

di Redazione GiuntiScuola19 dicembre 20182 minuti di lettura
"La storia di Gialla, la stella", un racconto per spiegare le "differenze" | Giunti Scuola

Come parlare ai bambini delle differenze tra di loro, di talenti ma anche di convivenza  felice fra uguali e diversi? Una bella idea arriva da un insegnante, Mauro Presini che usa la narrazione per parlare ai bambini dei temi grandi e importanti.

Dalla sua penna è nato un racconto dal titolo “La storia di Gialla, la stella”, nato nel 2003 in una classe terza che ha vissuto direttamente un percorso di integrazione partito dalla presenza, tra i vari compagni, di un alunno con disabilità. L’insegnante, tramite la narrazione, è riuscito a spiegare ai suoi alunni a guardare le cose da punti di vista diversi e a insegnare che ognuno ha capacità diverse da esprimere.

Di seguito la prima parte del racconto e il link per continuare a leggerlo.

La storia di Gialla, la stella

C’era una volta il cielo e in quel cielo tante stelle.
Lucio e Lucilla erano due stelle grandi e innamorate, che si volevano così bene ma così bene che stavano aspettando una stellina tutta loro.

Quando nacque decisero di chiamarla Gialla.

Lucio e Lucilla le volevano tanto bene e non vedevano l’ora che facesse luce come loro.

Purtroppo, dopo pochi giorni, invece si accorsero che Gialla non faceva luce e non illuminava neanche un poco.
Riusciva soltanto a brillare per pochi secondi, come se lampeggiasse.

I suoi genitori erano tristi e allora la portarono dalla dottoressa Luciana che aveva l’ambulatorio nella via Lattea.
Gialla aveva paura della dottoressa e non ci voleva andare, ma i suoi genitori gliela portarono lo stesso perché era per il suo bene. Gialla fece tutte le visite, gli esami e le analisi e, alla fine, la dottoressa Luciana disse ai genitori che la loro figlia non aveva i “brillantini” nel sangue e quindi non poteva illuminarsi e, se non poteva illuminarsi, non poteva neanche illuminare. Al massimo poteva brillare per pochi secondi.

I suoi genitori non sapevano come fare e Gialla non capiva perché i suoi genitori non sapevano come fare.
Lei stava bene, era contenta di avere due genitori che le volevano bene, ma era anche triste: non capiva perché loro erano tristi quando la guardavano.

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