E l’albero era felice

Animazioni in classe per scoprire che l’amicizia non ha età

La scuola inclusiva, un secolo fa

La poesia come strumento didattico nei contesti eterogenei

Ripensiamo l'accoglienza

La vista è tra i nostri sensi quella capace di andare più lontano. Arriva sulla luna, individua i pianeti, si arrampica fino alle stelle e può arrivare fino ad Andromeda, galassia lontana due miliardi e mezzo di anni luce.&nbsp;Ma può far freddo in questo viaggio nel cosmo sconfinato.Se vogliamo sentire il calore e l’intensità della vicinanza dobbiamo restare in prossimità del corpo, sperimentare il tatto presente in ogni millimetro della nostra pelle o affidarci alla voce, all’udito, il più sottile e impalpabile dei sensi.Ecco, se dovessi scegliere oggi a quale senso affidare il recupero delle troppe distanze accumulate da bambine e bambini, mi verrebbe da dire: chiudiamo gli occhi e ascoltiamo le nostre voci con un’attenzione che mai abbiamo provato prima, perché mai ci era successo d’essere stati costretti ad ascoltare per mesi solo voci registrate di amiche e amici cari.L'ascolto come sostituto della relazionePer rifarci di troppe relazioni a distanza che hanno schermato le nostre comunicazioni, esploriamo la potenza espressiva ed emotiva di suoni, sussurri e parole ascoltate a viva voce.Ciò che accade tra le corde vocali di chi sta parlando e la coclea che si culla nell’osso temporale interno alle nostre orecchie, rinnova in me ogni volta lo stupore dello scoprire che sono in grado di distinguere, a occhi chiusi, chi mi sta parlando tra cento altre voci al solo udire il tono delle sue parole.E allora mi viene da dire che anche a un metro di distanza, anche con le mascherine, dobbiamo cercare uno spazio per metterci in cerchio e ascoltare con attenzione le nostre voci perché tante sono le cose che abbiamo da dirci in questo tempo così strano.Bambine e bambini, assai meglio di noi, sanno saltare agilmente da piccoli dettagli e grandi temi. Pur non essendo poeti, possiedono la naturale abilità poetica del giocare liberamente godendo delle libere associazioni e saltando di palo in frasca, con la capacità di illuminare talvolta con nuova luce il palo o agitare con la forza di un vento impetuoso la pigra frasca. Insomma ci stupiscono e si stupiscono tra loro, se noi adulti siamo in grado di creare un contesto in cui ci sia ascolto reciproco. Quell’ascolto che tutti noi dovremmo sempre cercare di creare in classe, per dare a ogni bambina e bambino la sensazione&nbsp;che il loro pensiero conta.Mi ha fatto tornare alla mente la potenza e la necessità della narrazione orale in classe il libro “Rami di uno stesso albero”, un e-book edito dal Movimento di Cooperazione Educativa in cui la maestra elementare Antonella Bottazzi raccoglie le esperienze di un gruppo che sperimenta con costanza e continuità le potenzialità del cerchio narrativo a Modena.È cosa rara che un gruppo di ricerca scavalli un secolo e duri da più di vent’anni. Ma tale durata si può forse spiegare considerando il fatto che&nbsp;la narrazione orale, una volta sperimentata, la sentiamo necessaria perché intreccia l’intimo e il sociale, come in tutt’altro terreno in tanti si illudono di fare nei social.&nbsp;La forza del cerchio narrativoLa differenza cruciale è che, mentre dietro a uno schermo spesso ci si nasconde, si può fingere e prevale la “maschera sociale”, perché ha grande peso ciò che gli altri si aspettano da noi, quando ci ritroviamo nel cerchio narrativo la relazione diretta e lo scambiarsi parole corpo a corpo ci spingono a esplorare noi stessi con ben più profonda autenticità. Lo dice bene Wilfed Bion quando afferma: “Pare che abbiamo bisogno di rimbalzare su un’altra persona, di avere qualcosa che rifletta indietro quello che diciamo prima che possa diventare comprensibile. C’è bisogno a volte di essere presentati a noi stessi”.A questo gruppo sono particolarmente affezionato perché dal 1999, con Roberta Passoni e altri operatori della casa-laboratorio di Cenci intrecciamo le nostre ricerche con le loro una volta l’anno in uno stage di più giorni.Negli anni il gruppo, sostenuto anche da MEMO, il vivace centro di documentazione del Comune di Modena, ha esplorato in diverse direzioni, proponendo e moltiplicando contesti ricchi e talvolta audaci: dall’esperienza di incontro tra adolescenti e bambini dei nidi, al coinvolgimento dei genitori attuato in diverse forme, da una ricerca con adolescenti immigrati di seconda generazione ad esperienze proposte in zone colpite dal terremoto.Antonella Bottazzi ha avuto la pazienza di raccogliere stimoli e materiali delle molte e diverse esperienze sperimentate, che credo possano essere generative per tante e tanti insegnanti. “Mi piace pensare - scrive -&nbsp;&nbsp;che ragazze e ragazzi possano vedere il proprio futuro attraverso il racconto della vita di altri e possano immaginare sbocchi mai pensati per il futuro loro e dell’umanità”.E così dall’udito siamo tornati alla vista, a una visione aperta da costruire con l’aiuto degli altri, di cui tutti sentiamo grande bisogno oggi.

La narrazione orale per recuperare le troppe distanze

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