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La conquista del parlato
Per varie ragioni gli alunni di tutti gli ordini di scuola scrivono molto e parlano poco. Eppure una lingua è prima di tutto suono e insegnare una L2 significa maneggiare un materia sonora, tenendo presente che i primi e più importanti bisogni di un alunno non italofono sono quelli di parlare e comprendere il parlato.
Il parlato interattivo
Si è in genere portati a credere che la lingua parlata sia più facile e immediata rispetto a quella scritta, vedendo parlato e scritto in opposizione, come spontaneo e informale l’uno e pianificato e formale l’altro, ignorando così spesso, anche a livello didattico, il carattere
complesso
e
organico
del parlare.
Tutto il linguaggio verbale è un potente
mezzo di integrazione
, poiché consente all’individuo di socializzare il proprio pensiero e di arricchirlo. Ma
l’oralità è più incisiva
in quanto la presa diretta della voce dà immediatezza e attualità alla comunicazione e, nella comunicazione faccia a faccia, lo scambio naturale dei ruoli tra chi parla e chi ascolta permette immediati processi di
feed-back
e quindi di controllo sulle attività di produzione e ricezione dei messaggi. E tale controllo favorisce in modo particolare il parlante non nativo, che ha la possibilità di contrattare, segnalando le proprie difficoltà e chiedendo aiuto al nativo che può supportarlo in vari modi.
Non vogliamo tuttavia dilungarci sul parlato interattivo a cui viene giustamente riconosciuto un posto privilegiato nella teoria e nella pratica didattica di una L2, ma spostare il discorso su tipologie di
parlato monologico
: quello della narrazione e dell’esposizione.
La narrazione
Fra i diversi scopi che ha il parlare, uno dei meno considerati a scuola è spesso il narrare, sia storie che esperienze personali. Eppure fra i più piccoli raccontare storie, sentite o inventate sulla base del loro mondo fantastico, è un
bisogno espressivo
essenziale e una base imprescindibile per la crescita e lo sviluppo del linguaggio. Come fra i più grandi lo è il parlare di sé e delle proprie esperienze, trasmettere agli altri parte del proprio vissuto.
Così il racconto orale da parte degli alunni è sostenuto da
forte motivazione
, e sarebbe un peccato non sfruttarlo, soprattutto il L2, per un generale sviluppo linguistico, guidando i ragazzi nella riorganizzazione verbale delle sequenze di una storia o delle proprie esperienze. Il solo quadro temporale di un testo narrativo è variegato e complesso e una costante e graduale esercitazione alla narrazione orale, non solo servirà all’apprendimento e sviluppo di quest’ultima, ma aiuterà gli alunni anche nel momento in cui saranno chiamati a cimentarsi con la scrittura di un testo narrativo.
Quanto alla narrazione di esperienze, consideriamo che in una classe multiculturale il parlare-ascoltare relativo a temi personali aiuta a farsi specchio della cultura dell’altro, a scoprire il piacere dell’attenzione reciproca e della solidarietà ed è quindi importante favorire lo
scambio di emozioni
e pensieri prima ancora che di contenuti didattici.
Per tutti questi motivi il parlato narrativo dovrebbe trovare uno specifico spazio all’interno della programmazione, con un percorso che parta dall’accettazione di un parlato spontaneo, scarsamente pianificato, dove il contenuto e l’affettività prevalgono sull’organizzazione del discorso, e arrivi ad un utilizzo del linguaggio via via più consapevole nelle sue funzioni e nelle sue strutture.
L'esposizione disciplinare
Passando a parlare di un altro tipo di parlato non interattivo, come il monologo espositivo spesso richiesto a scuola, colpisce il fatto della sua scarsa considerazione, sia a livello di ricerca che di programmazione didattica.
Oggi si parla molto di lingua dello studio, ma il discorso è prevalentemente centrato sull’analisi dei testi disciplinari, sulle difficoltà di comprensione, sull’opportunità delle semplificazioni, trascurando il fatto che, secondo i meccanismi scolastici, una volta letto, capito e memorizzato un testo, gli alunni non hanno esaurito i propri compiti. C’è da affrontare l’
esposizione orale
, che è un compito cognitivo e verbale assai complesso, per il quale gli alunni vengono scarsamente preparati.
Spesso accusiamo i nostri alunni di non essere in grado di elaborare i contenuti proposti dal libro di testo, di avere imparato a memoria. Ma forse non ci rendiamo conto che, per non imparare a memoria, immagazzinando i contenuti nella forma lineare offerta dal testo, gli alunni devono ricostruire una propria rete di informazioni e concetti ed essere poi in grado di ripescare le informazioni dalla rete e trasformarle in un’adeguata sequenza linguistica. Per gli alunni non italofoni è come scalare una montagna.
Inseriamo dunque nella programmazione della lingua anche delle attività che preparino all’esposizione orale, affrontando uno alla volta gli assi portanti del discorso espositivo.
- Cerchiamo di rendere gli alunni via via consapevoli di ciò che fanno, di quali sono gli scopi che devono raggiungere, di quali sono le strategie migliori che possono mettere in atto. Per sviluppare, ad esempio, la capacità di distinguere le informazioni principali dalle secondarie, cominciamo, specie con i più piccoli, dalle immagini .
- Lavoriamo sull’organizzazione del discorso insegnando a utilizzare schemi e scalette con cui costruire il discorso.
- Passiamo poi a lavorare sulla chiarezza , sull’ adeguatezza delle parole, sul controllo delle divagazioni e delle formule riempitive , ma sempre a piccoli passi, costruendo questa importante competenza in modo solido.
Se c’è l’urgenza di verificare i contenuti, meglio farlo con quesiti a scelta multipla, che magari facciano uso di immagini o riducano al minimo le parole, evitando di chiedere agli alunni non italofoni prestazioni linguistiche per le quali non sono ancora preparati, con il rischio di emettere falsi giudizi sul piano della preparazione disciplinare.
Per saperne di più:
- M. Omodeo, La scuola multiculturale , Carocci, Roma, 2002.
-
R. Calò,
Le lingue in classe. Insegnare Apprendere Comunicare
, Sette Città, Viterbo, 2010