La mamma, su Skype

Scuola-famiglia: quale alleanza?

Tempo di adozioni. Con gli occhi dei bambini

Genitori oggi, la rubrica di Daniele Novara

La scelta dell’adozione è sempre stata gravata dal pregiudizio. Tipica è l’idea che i figlioli adottati siano più difficili da gestire rispetto a quelli naturali. Anche a livello letterario, il tema del figlio adottato è spesso un insulto reciproco: «Non sei mia sorella… Ti hanno adottato alla nascita!»; «È solo mia mamma, non la tua, tu sei stato adottato! ». Quante volte sono risuonate queste frasi di romanzi e film che creano una sorta di immaginario di serie B su questi figli, come se, non appartenendo alla stessa matrice genetica, potessero in automatico creare delle complicazioni. È un pregiudizio duro a morire. Voler andare a cercare una differenza dal punto di vista educativo, nel bambino adottato, nel senso che quest’ultimo necessiterebbe di un percorso «maggiormente pensato», è veramente un equivoco. In realtà, anche ogni genitore biologico, tanto più la mamma, deve necessariamente concepire non solo un nuovo essere umano, ma anche una sua adozione educativa (ossia assumersi in maniera intenzionale il rischio di far crescere una nuova esistenza). Senza questa decisione psicologica non c’è alcuna possibilità che la biologia basti a se stessa. Anzi, il fenomeno, benché marginale, delle madri respingenti sta a dimostrare che la biologia da sola non sostiene il bisogno di una motivazione profonda che rappresenti un’adozione integrale di questa nuova vita umana, tanto più in ordine all’educazione della sua crescita. Nel genitore adottivo, questo tipo di scelta è più gravosa solo perché la fatica e la difficoltà per poterci arrivare rappresentano una corsa a ostacoli che mette a durissima prova la motivazione stessa, come mi racconta Alessandra, la cui esperienza con l’adozione nazionale sembra quasi un calvario. “Appena tre mesi dopo aver presentato domanda di adozione allo sportello USL, è stata modificata la legge sulle adozioni e si è bloccato tutto. Nessuna comunicazione nel frattempo: gli addetti non sapevano come muoversi. Immagina l’ansia dell’attesa. Sono seguiti vari incontri con psicologi e assistenti sociali: la nostra impressione è che fossero tutti volti a scoraggiare la nostra scelta. Ma abbiamo tenuto duro e due anni dopo abbiamo ottenuto l’idoneità. A quel punto, ho contattato le associazioni di adozione internazionali e mi sono trovata davanti a quello che è, a tutti gli effetti, un listino prezzi. Nel frattempo, mia figlia è nata in Italia. È difficile spiegare come io abbia fatto a resistere fino alla fine. Chi fa domanda di adozione è ostacolato, scoraggiato, intralciato in ogni modo possibile”. A conferma, lo dimostrano i dati in Italia, dove si è verificato un vero e proprio crollo dei dati sull’adozione sia nazionale (-26.05% negli ultimi vent’anni) che internazionale (-76.54% negli ultimi 10 anni). I genitori adottivi meritano fiducia, si stanno assumendo un onere che riguarda tutti noi.&nbsp;

La scelta dell’adozione è sempre stata gravata dal pregiudizio. Tipica è l’idea che i figlioli adottati siano più difficili da gestire rispetto a quelli naturali. Anche a livello letterario, il tema del figlio adottato è spesso un insulto reciproco: «Non sei mia sorella… Ti hanno adottato alla nascita!»; «È solo mia mamma, non la tua, tu sei stato adottato! ». Quante volte sono risuonate queste frasi di romanzi e film che creano una sorta di immaginario di serie B su questi figli, come se, non appartenendo alla stessa matrice genetica, potessero in automatico creare delle complicazioni. È un pregiudizio duro a morire. Voler andare a cercare una differenza dal punto di vista educativo, nel bambino adottato, nel senso che quest’ultimo necessiterebbe di un percorso «maggiormente pensato», è veramente un equivoco. In realtà, anche ogni genitore biologico, tanto più la mamma, deve necessariamente concepire non solo un nuovo essere umano, ma anche una sua adozione educativa (ossia assumersi in maniera intenzionale il rischio di far crescere una nuova esistenza). Senza questa decisione psicologica non c’è alcuna possibilità che la biologia basti a se stessa. Anzi, il fenomeno, benché marginale, delle madri respingenti sta a dimostrare che la biologia da sola non sostiene il bisogno di una motivazione profonda che rappresenti un’adozione integrale di questa nuova vita umana, tanto più in ordine all’educazione della sua crescita. Nel genitore adottivo, questo tipo di scelta è più gravosa solo perché la fatica e la difficoltà per poterci arrivare rappresentano una corsa a ostacoli che mette a durissima prova la motivazione stessa, come mi racconta Alessandra, la cui esperienza con l’adozione nazionale sembra quasi un calvario. “Appena tre mesi dopo aver presentato domanda di adozione allo sportello USL, è stata modificata la legge sulle adozioni e si è bloccato tutto. Nessuna comunicazione nel frattempo: gli addetti non sapevano come muoversi. Immagina l’ansia dell’attesa. Sono seguiti vari incontri con psicologi e assistenti sociali: la nostra impressione è che fossero tutti volti a scoraggiare la nostra scelta. Ma abbiamo tenuto duro e due anni dopo abbiamo ottenuto l’idoneità. A quel punto, ho contattato le associazioni di adozione internazionali e mi sono trovata davanti a quello che è, a tutti gli effetti, un listino prezzi. Nel frattempo, mia figlia è nata in Italia. È difficile spiegare come io abbia fatto a resistere fino alla fine. Chi fa domanda di adozione è ostacolato, scoraggiato, intralciato in ogni modo possibile”. A conferma, lo dimostrano i dati in Italia, dove si è verificato un vero e proprio crollo dei dati sull’adozione sia nazionale (-26.05% negli ultimi vent’anni) che internazionale (-76.54% negli ultimi 10 anni). I genitori adottivi meritano fiducia, si stanno assumendo un onere che riguarda tutti noi. 

FAQ 15. La famiglia può chiedere di tenere nascosto il disturbo e applicare solo forme di tutela che non siano visibili o riconoscibili come tali dai compagni? (ed. PLUS)

Il cammino delle adozioni

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