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La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

Molti ragazzi e ragazze in questo periodo mi dicono di essere “depressi”. Nel parlare di “depressione”, sembrano realmente incarnare quella parola: si affossano sulla sedia, abbattuti e avviliti, con lo sguardo basso e spento.Vorrebbero non dover scegliere tra il desiderio di vedere i propri amici e quello di proteggere i propri genitori dalla possibilità di contagio. Vorrebbero andare a una festa, a un cinema, a teatro, in palestra. Vorrebbero la scuola com’era prima, con quelle ricreazioni tutti insieme, e il compagno di banco appiccicato, e la bottiglietta d’acqua da dividere a metà.&nbsp;Non sopportano più di sentire la televisione di sottofondo che sciorina l’elenco dei morti, dei malati, dei disoccupati.&nbsp;Non capiscono come possono recuperare questo tempo, che in molti casi era riservato ai primi baci, alle prime notti a casa dell’amica, ai primi salti a un concerto.&nbsp;Depressi?“Depressi”? Questo loro “patologizzarsi”, usando termini forti e psichiatrici, credo che li porti a sentirsi ancora peggio.Non c’è niente di patologico nelle loro sensazioni e nei loro desideri. Non sono malati. Sono tristi.&nbsp;La tristezza è un’emozione fondamentale, poiché serve a segnalare all’altro che c’è qualcosa che non va. Spesso si esprime attraverso il pianto: se i neonati non piangessero probabilmente non potrebbero sopravvivere, è quello l’unico strumento che hanno per ottenere attenzione e vicinanza. Da più grandi, una delle funzioni del pianto resta quella di dire all’altro “ho bisogno di te”. Inoltre, il termine “tristezza” ha la stessa radice etimologica di “tenebre”, perché in effetti ci mette in contatto con le nostre ombre, ci permette di parlarci e, se non ci spaventiamo, di scovare la luce che le crea.Un'emozione che avvicinaInsomma, la tristezza avvicina: agli altri e a noi stessi. Non vedo quale emozione potrebbe essere più coerente con questo forzato distanziamento.&nbsp; Per questo credo che abbia senso cercare di non farci spaventare dalla tristezza dei nostri ragazzi. Piuttosto, lasciamo che possano esprimerla, accogliamola, rendiamola uno spazio di confronto, di conforto, di vicinanza e progettualità: spesso quell’espressione di tristezza – per quanto apparentemente possa suggerire il contrario – è proprio la testimonianza della loro voglia di vivere e di essere insieme.&nbsp;

Non facciamoci spaventare dalla tristezza dei ragazzi