Attività per un percorso autobiografico - "Pillole" per star bene insieme

In classe con Marcel: per una pedagogia autobiografica

In classe con Marcel: i colori dei ricordi

Ci sono talenti che si avevano nel paese di provenienza e che sembra non valgano pi&ugrave; qui dove si &egrave; arrivati. Ci sono desideri che si spengono nella frustrazione di un quotidiano durissimo da affrontare, tra povert&agrave; e trappole burocratiche. Eppure, se si scava dentro e lo si fa insieme, l&rsquo;apprendere la nuova lingua diventa tessitura di relazioni, senso di appartenenza, protezione reciproca.&nbsp;

La metafora viene prima della parola, l&rsquo;immagine che risuona nell&rsquo;interiorit&agrave; pu&ograve; essere fonte feconda nel suscitare prime elementari articolazioni del discorso. Nella memoria profonda, nella memoria del corpo che emerge mentre si costruiscono casette di cartone con le mani o ci si riflette nei colori dell&rsquo;acqua, &egrave; l&igrave; che le parole della nuova lingua si possono innestare, connettendosi con la lingua madre. Ed ecco che nel fare e nell&rsquo;ascoltarsi, nel narrare di s&eacute; e nell&rsquo;operare insieme, piano piano prende forma la nuova lingua figlia.

La scommessa culturale della scuola di Asinitas sta nel pensare che non c&rsquo;&egrave; una lingua funzionale da apprendere il pi&ugrave; in fretta possibile a cui aggiungere, solo dopo, altri vocaboli, articolazioni e capacit&agrave; espressive pi&ugrave; personali e pregnanti.

&Egrave; nel dire di s&eacute;, nell&rsquo;aprirsi e nello scavare insieme, che l&rsquo;ingresso nella nuova lingua comune si riempie di senso e si attiva la memorizzazione di nuove parole.

Lo racconta bene un&rsquo;allieva cinese che, dopo il primo giorno, voleva andarsene perch&eacute; non capiva questo &ldquo;perdere tempo&rdquo; a usare le mani, muoversi nello spazio e cantare, ma che ha poi scoperto, come ha scritto l&rsquo;iraniana Zahra Kian, che &ldquo;le nuove amicizie e i lenti progressi che ho fatto nella lingua, mi avevano portato via la solitudine&rdquo;.

Immagini che suggeriscono azioni educative efficaci che potrebbero risultare utili a chi fa scuola ad allievi di ogni et&agrave;. Si tratta infatti di una restituzione poetica fondata su un ascolto attento a ogni dettaglio delle narrazioni autobiografiche che in quella scuola si raccolgono.

L&rsquo;ipotesi che sta alla base di questa particolare esperienza pedagogica &egrave; che prima del linguaggio ci siano la natura e i quattro elementi cari ai filosofi antichi: terra, fuoco, aria e acqua. E poich&eacute; questi elementi vengono molto prima di noi, l&rsquo;entrarci in relazione precede ogni differenza culturale perch&eacute; &egrave; esperienza elementarmente umana emozionarsi o spaventarsi di fronte a un fuoco.&nbsp;

Fuoco che precede il linguaggio e, proprio per questo, pu&ograve; aiutare a entrare in modo profondo nel suono e nello spessore delle parole.

Acqua, aria, terra e fuoco hanno connotati cos&igrave; evidenti e insieme arcaici da costituire simboli potenti capaci di accendere la nostra immaginazione, capaci di stimolare forme intime di introspezione che possono favorire grandemente lo scoprire chi si &egrave; ed aprire a nuovi modi di presentarsi agli altri.

La grande esperienza accumulata in quasi venti anni di lavoro, ricerca e continua formazione, ha permesso alle operatrici e operatori di Asinitas di azzardare una ricca tessitura tra l&rsquo;operare con le mani e l&rsquo;esprimersi con le parole.

E poich&eacute; la maggior parte del tempo che si vive nella scuola &egrave; organizzato in laboratori operativi, ecco che ad ogni elemento corrisponde una modalit&agrave; narrativa stimolata da una domanda.

La prima pittura, ad esempio, &egrave; stimolata dalla domanda Che fuoco sei?

Scolpendo poi sottili lamine di rame in un secondo laboratorio, ci si domanda e si rappresenta Cosa mi accende?&nbsp;

E ancora, strappando e tagliando carte e cartoni colorati si scrive il proprio nome legandolo al talento che si pensa di avere.

Sono sufficienti questi primi tre passi perch&eacute; lo spazio del laboratorio si riempia di storie e memorie, sofferenze e desideri. Ed &egrave; a partire da questi primi frammenti di esperienze, condivise nelle loro rappresentazioni materiche, che compaiono le prime parole, i primi frammenti di discorso, e si compiono i primi esercizi di lingua.&nbsp; &nbsp;

Una storia &egrave; come una fune che tira fuori le parole dal pozzo, ha affermato un giorno uno studente della scuola per rifugiati e richiedenti asilo che l&rsquo;Associazione Asinitas organizza a Roma da vent&rsquo;anni.&nbsp;

Se un giorno si scriver&agrave; una storia dell&rsquo;innovazione educativa nei primi decenni del nuovo millennio, si scoprir&agrave; che tra le diverse scuole di italiano per immigrati, non poche sono state degli eccellenti laboratori di sperimentazioni didattica.

Me lo conferma la lettura di Dugokol&ograve;. Mille volte mi &egrave; mancata questa terra, prezioso libro in cerca di editore che le operatrici e operatori di Asinitas hanno edito per ora in proprio in poche copie, stampate tuttavia con grande cura. (<a href="https://www.asinitas.org/">https://www.asinitas.org/</a>)

La cura era necessaria perch&eacute; &egrave; un libro di immagini prima che di parole.&nbsp;

Tirare fuori le parole dal pozzo della memoria

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