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Davide Tamagnini: il mestiere di insegnante

<blockquote>
 
 “Uno degli scopi della scuola è educare al pensiero riflessivo”.
 
 
 John Dewey
 
</blockquote>

 


 Cos’è la scuola? Quali i suoi obiettivi? Qual è il ruolo dell’insegnante? Quale rapporto con la mia identità? Perché insegno? Per chi? Sono felice? Quali sono i bisogni dei bambini oggi? Sono felici? Di cosa mi parlano i loro successi? E i loro fallimenti? Cos’è un errore? Dove ho sbagliato e dove no? Cosa vuol dire in pratica individualizzare? Come fare una didattica differenziata? In aula o fuori? Si lavora da soli o in gruppo? Quali sono gli strumenti di una valutazione formativa? Come si osservano gli apprendimenti? Cos’è un’esperienza? Cos’è una prova? Come ge

“Uno degli scopi della scuola è educare al pensiero riflessivo”.John DeweyCos’è la scuola? Quali i suoi obiettivi? Qual è il ruolo dell’insegnante? Quale rapporto con la mia identità? Perché insegno? Per chi? Sono felice? Quali sono i bisogni dei bambini oggi? Sono felici? Di cosa mi parlano i loro successi? E i loro fallimenti? Cos’è un errore? Dove ho sbagliato e dove no? Cosa vuol dire in pratica individualizzare? Come fare una didattica differenziata? In aula o fuori? Si lavora da soli o in gruppo? Quali sono gli strumenti di una valutazione formativa? Come si osservano gli apprendimenti? Cos’è un’esperienza? Cos’è una prova? Come gestire i rapporti con i colleghi? Con le famiglie? Con la dirigenza? Come uscire dalle gabbie dell’abitudine?... Le scelte che ci guidano Oggi, come sempre, dobbiamo fermarci a riflettere sulle scelte che guidano il nostro fare scuola, perché dalla nostra consapevolezza dipende la nostra responsabilità, ciò di cui vogliamo farci carico. La quotidianità in classe è puntinata di occasioni per riflettere, tanto per gli insegnanti, quanto per gli studenti: una scritta, una parola, un’operazione con uno strano risultato, un disegno apparentemente incomprensibile, un conflitto, un pianto, una risata... in questa comunità di vita arrivano continuamente stimoli. Non possiamo pensare che i nostri studenti imparino a riflettere se non diamo loro il tempo e lo spazio affinché possano vedere da un diverso punto di vista i loro pensieri e le loro azioni; se i loro errori contano solo per il risultato e non come epifania di un processo, innanzitutto cognitivo; se le loro esperienze di apprendimento li vedono spesso soggetti passivi e silenziosi, degli oggetti più che dei soggetti. E questo è indipendente dal fatto di essere a distanza o in presenza! Ma questo non è indipendente da quello che testimoniamo noi. Le conseguenze dell’agire La riflessione è anche condizione fondamentale affinché il nostro fare diventi esperienza, diversamente, senza di essa, collezioneremmo semplici attività. Il riflettere su quanto sperimentato ci porta al confronto con le conseguenze dell’agire, che, ricadendo su di noi, ci aiutano a guardare diversamente a quanto fatto. È proprio la riflessione sulle conseguenze dell’azione che diventa apprendimento. Una scuola che parta dalla vita e che ad essa parli, non può prescindere da questo. Riflettere non è dunque un semplice sinonimo di pensare, ma è più un ritornare su quanto pensato e vissuto, è un mettersi in ricerca, aprirsi al dubbio e alle spiegazioni, è interrogare e interrogarsi, è dare la possibilità alle persone di diventare tali, legittimando il loro potere nel decidere se e come cambiare. Questo essere in continua ricerca non è nient’altro che un modo diverso per dire “apprendere” e “insegnare”. 

&nbsp;Tamagnini D. (2019.) Continuerò a sognarvi grandi. Storia di una rivoluzione tra i banchi di scuola. Milano: Longanesi.

<blockquote>“Uno degli scopi della scuola è educare al pensiero riflessivo”.John Dewey</blockquote> Cos’è la scuola? Quali i suoi obiettivi? Qual è il ruolo dell’insegnante? Quale rapporto con la mia identità? Perché insegno? Per chi? Sono felice? Quali sono i bisogni dei bambini oggi? Sono felici? Di cosa mi parlano i loro successi? E i loro fallimenti? Cos’è un errore? Dove ho sbagliato e dove no? Cosa vuol dire in pratica individualizzare? Come fare una didattica differenziata? In aula o fuori? Si lavora da soli o in gruppo? Quali sono gli strumenti di una valutazione formativa? Come si osservano gli apprendimenti? Cos’è un’esperienza? Cos’è una prova? Come gestire i rapporti con i colleghi? Con le famiglie? Con la dirigenza? Come uscire dalle gabbie dell’abitudine?...&nbsp;Le scelte che ci guidano&nbsp;Oggi, come sempre, dobbiamo fermarci a riflettere sulle scelte che guidano il nostro fare scuola, perché dalla nostra consapevolezza dipende la nostra responsabilità, ciò di cui vogliamo farci carico. La quotidianità in classe è puntinata di occasioni per riflettere, tanto per gli insegnanti, quanto per gli studenti: una scritta, una parola, un’operazione con uno strano risultato, un disegno apparentemente incomprensibile, un conflitto, un pianto, una risata... in questa comunità di vita arrivano continuamente stimoli. Non possiamo pensare che i nostri studenti imparino a riflettere se non diamo loro il tempo e lo spazio affinché possano vedere da un diverso punto di vista i loro pensieri e le loro azioni; se i loro errori contano solo per il risultato e non come epifania di un processo, innanzitutto cognitivo; se le loro esperienze di apprendimento li vedono spesso soggetti passivi e silenziosi, degli oggetti più che dei soggetti. E questo è indipendente dal fatto di essere a distanza o in presenza! Ma questo non è indipendente da quello che testimoniamo noi.&nbsp;Le conseguenze dell’agire&nbsp;La riflessione è anche condizione fondamentale affinché il nostro fare diventi esperienza, diversamente, senza di essa, collezioneremmo semplici attività. Il riflettere su quanto sperimentato ci porta al confronto con le conseguenze dell’agire, che, ricadendo su di noi, ci aiutano a guardare diversamente a quanto fatto. È proprio la riflessione sulle conseguenze dell’azione che diventa apprendimento. Una scuola che parta dalla vita e che ad essa parli, non può prescindere da questo. Riflettere non è dunque un semplice sinonimo di pensare, ma è più un ritornare su quanto pensato e vissuto, è un mettersi in ricerca, aprirsi al dubbio e alle spiegazioni, è interrogare e interrogarsi, è dare la possibilità alle persone di diventare tali, legittimando il loro potere nel decidere se e come cambiare. Questo essere in continua ricerca non è nient’altro che un modo diverso per dire “apprendere” e “insegnare”.&nbsp;

Riflettere è mettersi in ricerca

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