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Esami universitari

Quando penso ai miei giorni in classe e ai volti delle bambine e dei bambini che incontro, mi chiedo spesso quanto spazio lasciamo oggi alla lentezza. Quanto permettiamo ai bambini di assaporare il tempo che serve loro per osservare, per esplorare, per capire e per crescere. A volte mi accorgo di quanto la scuola rischi di diventare un luogo che corre, che misura il valore con i traguardi raggiunti in fretta. Ma l’apprendimento vero ha bisogno di radici profonde, di gesti lenti, di silenzi pieni.


 Lasciare che le cose accadano


 Ricordo un bambino che, nel gioco e nelle attività, osservava a lungo prima di partecipare. No

Quando penso ai miei giorni in classe e ai volti delle bambine e dei bambini che incontro, mi chiedo spesso quanto spazio lasciamo oggi alla lentezza. Quanto permettiamo ai bambini di assaporare il tempo che serve loro per osservare, per esplorare, per capire e per crescere. A volte mi accorgo di quanto la scuola rischi di diventare un luogo che corre, che misura il valore con i traguardi raggiunti in fretta. Ma l’apprendimento vero ha bisogno di radici profonde, di gesti lenti, di silenzi pieni.
Lasciare che le cose accadano
Ricordo un bambino che, nel gioco e nelle attività, osservava a lungo prima di partecipare. Non era timidezza, non era insicurezza. Era il suo modo di entrare in relazione con il mondo, con il pensiero, con l’altro. Mi diceva, senza parole, che ogni passo ha bisogno del suo tempo. E quando si muoveva, quel passo era deciso, autentico, frutto di una comprensione profonda. Ho imparato da lui che la fretta non costruisce, ma la lentezza sì. Perché nella lentezza c’è spazio per il pensiero, per l’errore, per l’ascolto di sé. Maria Montessori (Educazione per un mondo nuovo, Garzanti) parlava di “educazione come aiuto alla vita”, invitava a lasciare che ogni processo avvenisse naturalmente: “La più grande prova del successo di un insegnante è poter dire: i bambini ora lavorano come se io non esistessi”. E questo “non esistere” non è abbandono, ma fiducia. Fiducia nei tempi lenti della crescita, fiducia nel fatto che ognuno, se accolto e accompagnato, troverà la sua strada. La lentezza è un atto di fiducia. È lasciare che le cose accadano senza l’ossessione del risultato immediato. È accettare che ci sia un tempo per il silenzio e uno per la parola, un tempo per osservare e uno per agire, un tempo per sbagliare e uno per capire.
Rallentare lo sguardo
Mi piace pensare che educare alla lentezza sia anche un modo per insegnare a guardare il mondo con occhi diversi. A notare i dettagli, a godere dei piccoli progressi, a imparare a stare nelle attese senza ansia. Perché nella lentezza si impara anche il valore del desiderio, della conquista, della scoperta. Ma educare alla lentezza significa, prima di tutto, praticarla. Come insegnanti, dobbiamo imparare a rallentare lo sguardo, ad ascoltare senza fretta, a lasciare che il tempo di ciascuno diventi il nostro tempo. E questo non è sempre semplice. A volte sentiamo la pressione delle incombenze, delle scadenze, delle aspettative. Ma forse dovremmo chiederci: che cosa resta davvero, alla fine di un anno di scuola? Sono le pagine completate in fretta o i momenti in cui un bambino ha potuto dire: “Ho capito, adesso è il mio momento”?
Fidarsi a piccoli passi
La lentezza è uno spazio di cura. È uno sguardo che accoglie senza giudicare, è una presenza che non impone ma accompagna. È imparare a fidarsi dei piccoli passi, dei tentativi incerti, delle pause che sembrano vuote ma che sono in realtà piene di senso.


Nel tempo della lumaca

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