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Narrare fa bene e fa star bene

Tramite il racconto di storie è possibile dare voce al mondo emotivo dei bambini

di Giulia Vettori20 febbraio 20221 minuto di lettura
Narrare fa bene e fa star bene | Giunti Scuola

Coinvolgere i bambini nell’invenzione e nel racconto di una storia significa offrire loro un’opportunità per alimentare e promuovere molteplici processi linguistici, cognitivi ed emotivi. Il narratore, infatti, da un lato deve creare un testo aderente alla struttura convenzionale, utilizzando a tal fine i connettori linguistici utili a sostenere la continuità logico-temporale nel discorso; dall’altro deve tratteggiare i personaggi, pianificare e prevedere l’evoluzione della vicenda, gli obiettivi e le conseguenze delle azioni degli attori. Nell’invenzione dei personaggi e della loro trama relazionale il narratore si avvale sia delle proprie esperienze soggettive e delle proprie conoscenze sulle emozioni, sui desideri, sulle motivazioni che muovono i comportamenti e che ne sono conseguenza, sia della propria capacità di identificarsi con gli altri. La narrazione diviene così un luogo “protetto” dove prendere contatto con il proprio mondo interno e metterlo in scena, sotto la protezione accordata dalla cornice immaginaria e simbolica del racconto, ed esercitare il campo dell’empatia.
Per queste sue caratteristiche il racconto di storie viene sempre più considerato una modalità privilegiata e di grande efficacia per “dare voce” ai bambini e per portarne alla luce le esperienze e le conoscenze emotive. Le ricerche che illustreremo nel seguito esemplificheranno il modo in cui la narrazione offre un contesto favorevole all’espressione di sé, un terreno immaginario dove ci si può svelare in sicurezza, rendendo accessibile allo studioso il mondo interno infantile e i processi di costruzione dell’identità. Mostreranno inoltre come le storie narrate costituiscano un importante strumento di resilienza: l’opportunità di tessere una trama di vicende inventate, a partire da circostanze difficili o traumatiche, offre alla mente una via di uscita dalla pressione del presente, consente di immaginare scenari alternativi, disegna realtà possibili, sulle quali si può esercitare quel controllo che ci è sottratto nella vita reale.

 

La narrazione come mentalizzazione

Gli studiosi della narrazione interessati a vederla come una finestra aperta sul mondo interno del bambino hanno ricercato nel testo le espressioni della consapevolezza del narratore circa i propri processi mentali e quelli altrui, ovvero della teoria della mente (Lecce, Pagnin, 2007). Gli indicatori di questa capacità, suggeriscono gli studiosi, vanno ricercati nell’uso che il narratore fa di un particolare tipo di linguaggio, il lessico psicologico, parole che consentono di attribuire stati interni sia epistemici (per esempio pensieri, credenze, opinioni), sia non epistemici (per esempio emozioni, desideri, intenzioni) a se stessi e agli altri, attribuendo significato agli eventi e prevedendo i comportamenti sulla base di tali inferenze (si veda la Scheda 1 in “Strumenti e percorsi” alla fine del presente contributo).

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Quando soddisfa alla richiesta di raccontare una storia, il narratore può entrare sulla scena in modo più o meno dissimulato, “darsi voce” più o meno direttamente

La ricerca: narrare di sé narrando degli altri

Nella prima ricerca che qui presentiamo, gli autori (Vettori, Incognito, 2021), a complemento di una ricca serie di studi che indaga la relazione tra linguaggio, lessico psicologico e teoria della mente (Pinto, 2022), si sono proposti di utilizzare le narrazioni come strumento comunicativo utile a esplorare il coinvolgimento identitario ed empatico del narratore, per delinearne il ritratto psicologico quale si desume dalle parole con cui il bambino ha parlato di sé e degli altri nel mondo psicologico della storia da lui narrata. Quando risponde alla richiesta di raccontare una storia, il narratore ha infatti la possibilità di entrare sulla scena in modo più o meno dissimulato, di “darsi voce” più o meno direttamente, potrà scegliere se far parte della storia in prima persona, se partecipare emotivamente mediante la voce dei personaggi. Nello specifico, l’obiettivo di questa indagine è stato di indagare l’uso di parole riferibili al lessico psicologico per parlare di sé e di altri da sé nelle narrazioni per mezzo della voce dei personaggi.
127 bambini (56 femmine e 71 maschi) di scuola primaria hanno inventato e raccontato una storia. Le storie sono state raccolte e codificate secondo due categorie di analisi:

  1. il coinvolgimento identitario, i vari gradi con cui il narratore è coinvolto empaticamente nella storia in un continuum che va dal narratore presente come protagonista nella storia al narratore assente come protagonista a vantaggio della presenza di altri;
  2. gli stati mentali attribuiti dal narratore al protagonista della storia facendo riferimento alle diverse categorie di lessico psicologico (si veda “Strumenti e percorsi”).

Come si posiziona il bambino-narratore nel suo racconto?
Emergono diverse modalità di partecipazione dei bambini alla loro produzione narrativa, situate lungo un continuum, dall’assunzione di una posizione di Io narrante – chi narra è il protagonista, come si osserva fin dall’inizio della storia di Marco, che racconta: «Il giorno 3 luglio partii per fare una gara…», fino ad acquisire una gravità identitaria di Altro da Me – il bambino narra una voce a lui estranea, come si osserva dal racconto di Michele: «C’era una volta Ciattino, un uomo fatto di dolciumi», passando per una posizione intermedia in cui il narratore si appoggia a un Alter Ego – mentre si parla di un Altro si parla anche di Sé, per esempio Silvia, che inizia raccontando: «C’era una volta una bambina di nome Martina…».
Risulta interessante notare come, nell’assumere tali diverse posizioni, 7 bambini facciano uso di un’identità singola («sono andato»), mentre 58 bambini fanno uso di un’identità di gruppo, tramite un “noi” («io e la mia famiglia siamo partiti per andare a trovare i nonni»); 16 bambini approfittano della narrazione per parlare di sé: in modo indiretto, per esempio Antonio racconta la storia di «Una famiglia di insetti» (pluralità) e Marta narra la storia di «Due orsi strani» (coppia).

Quali stati mentali raccontano i bambini?
La narrazione permette al bambino di compiere un esercizio di empatia utilizzando i termini riferibili a diversi stati mentali dei personaggi. Poche sono le emozioni negative, mentre più rappresentativi sono i termini volitivi insieme agli stati descrittivi del vissuto emotivo dei personaggi, come si osserva nella storia raccontata da Camilla: «Tanto tempo fa c’erano un drago e una principessa, ma un giorno la principessa fu rapita (stato socio-relazionale) da un mostro, il drago era preoccupato (stato emotivo negativo) e voleva (stato volitivo) andare dalla principessa e cinque ore dopo il drago provò (stato volitivo) a salvarla (stato socio-relazionale) dal mostro e tornarono al castello felici (stato emotivo positivo)».

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E quali parole si usano per parlare di sé?
L’analisi del lessico psicologico ha permesso di far emergere il livello di contatto con il proprio mondo interiore tramite l’uso di termini riferiti a diversi stati psicologici dei personaggi, anche in relazione alle diverse posizioni assunte dal narratore. La narrazione costituisce un contesto relazionale di tipo simbolico utile a comprendere la costruzione di dinamiche identitarie ed emotive in bambini di età scolare. Dall’analisi delle storie risulta una mentalizzazione più elevata nella situazione in cui il protagonista entra nella storia tramite un “Noi narrante”.
Da un lato i bambini sembrano aver rispettato il genere narrativo limitando le loro autobiografie, dall’altro approfittano della narrazione per parlare ampiamente di Sé nella forma di un “Noi narrante”. La maggioranza dei bambini partecipa al sistema narrativo proponendo un’identità gruppale, come nel racconto di Martina: «Io e la mia famiglia siamo andati al mare in vacanza e si era contenti di fare il bagno e giocare nella sabbia, dopo un po’ è arrivato un uragano grandissimo che aveva quasi rotto tantissime cose e ci siamo spaventati. Poi c’era un ponte che stava crollando, tantissime famiglie che scappavano dalla paura. Dopo un po’ arriva una nave che stava tornando a casa. Quando siamo tornati a casa eravamo contenti e lo abbiamo detto ai nonni».
Il coinvolgimento identitario tramite un “Noi narrante” attiva la mentalizzazione. I bambini che partecipano al sistema narrativo proponendo un’identità gruppale utilizzano un maggior numero di parole riferibili a stati mentali.
In sintesi, il bambino approfitta della narrazione per parlare ampiamente di sé, anche se non manca l’esercizio della conoscenza dell’altro, che implica una buona capacità di decentramento cognitivo ed emotivo. Il Noi narrante probabilmente permette al Sé di disvelarsi in maniera più semplice tramite l’appartenenza al gruppo, così come anche l’assunzione di una posizione di un Noi Altro da Sé attiva la mentalizzazione, probabilmente per la distanza che potrebbe essere avvertita come protettiva.

Quando un bambino inventa una storia, può proiettare su di essa le proprie esperienze ed emozioni secondo modalità meno condizionate da difese e resistenze

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La ricerca: narrare nelle avversità, ai tempi del Covid-19

Nel corso della pandemia si è avvertita prepotentemente la necessità di comprendere le conseguenze che la situazione emergenziale veniva a esercitare su adulti e bambini, il cui assetto socio-affettivo e cognitivo veniva messo a così dura prova. Nell’intento di rilevare e possibilmente contrastare i fattori di disagio, se non addirittura sofferenza, associati all’interruzione e alla trasformazione delle consuete pratiche didattiche e della partecipazione alla vita scolastica, le narrazioni sono tornate a proporsi a psicologi ed educatori come utili strumenti di lavoro. Dalle storie narrate ci si poteva aspettare, infatti, di trarre un osservatorio privilegiato delle fluttuazioni che il registro emotivo di bambini e bambine poteva aver subito a seguito della chiusura degli ambienti scolastici ed educativi e al prolungato confino a domicilio nel contesto familiare. Rispetto ad altri strumenti verbali, quali i questionari compilati dai genitori o le interviste e i colloqui, nei quali il bambino viene interpellato direttamente sulle sue esperienze e reazioni, la richiesta di narrare una storia appare meno intrusiva e meno destinata a suscitare riserbo o risposte adattate alle aspettative degli adulti. Chiedendo al bambino di inventare una storia senza vincoli precisi, gli si consentirà di proiettare su di essa le proprie esperienze ed emozioni, secondo modalità indirette, per vie inconsce e preconsce, meno condizionate da difese e resistenze rigide.
Si avrà inoltre la possibilità di confrontare la narrazione attuale, generata in circostanze avverse, con il lessico psicologico adattato antecedentemente all’insorgere delle difficoltà. Per comprendere l’esperienza affettiva-emotiva dei bambini e il potenziale impatto della pandemia da Covid-19 abbiamo quindi condotto uno studio esplorativo per verificare l’esistenza di eventuali variazioni nella capacità di mentalizzazione nell’arco del periodo temporale intercorrente tra l’esordio della pandemia da Covid-19 e i 12 mesi successivi, che avrebbero potuto essersi riflesse nell’utilizzo di termini riferibili al lessico psicologico e nella loro varietà all’interno delle narrazioni dei bambini. Ventuno bambini che alla prima valutazione frequentavano la classe seconda di una scuola primaria hanno partecipato allo studio esplorativo. I dati sono stati raccolti longitudinalmente a distanza di 5 mesi fra la prima (novembre 2019) e la seconda valutazione (aprile 2020) e di 6 mesi fra la seconda e la terza valutazione (ottobre 2020), quando i bambini erano passati in classe terza, appaiati a un gruppo di controllo.
L’utilizzo del lessico psicologico mostra un pattern peculiare, ovvero durante il periodo del primo lockdown si osserva una significativa diminuzione dei termini riferibili a stati mentali positivi (“contento”), accompagnata da un significativo incremento dei termini riferibili a stati mentali negativi (“spaventato”) nel riferirsi alla sfera emotiva dei personaggi delle storie inventate dai bambini, situazione che riflette in maniera speculare la ridotta possibilità per i bambini stessi di coinvolgersi in circostanze emotive positive, aspetto che caratterizza il vivere una situazione traumatica come quella pandemica (Morelli et al., 2020). Il trauma “scuote” la mentalizzazione e la regolazione del mondo emotivo (Marusak et al., 2015), indicando che le emozioni più faticose da “pensare” sono quelle legate al benessere e alla piacevolezza. Le emozioni negative, invece, potrebbero essere facilmente accessibili a livello cognitivo, poiché utili ad anticipare e prevedere futuri eventi traumatici, secondo un meccanismo parzialmente accostabile a quello di ipervigilanza e utili a riflettere e organizzare le proprie esperienze emotive in sintonia con le circostanze attuali di vita dell’individuo (Riva Crugnola, 2002).
Con il ritorno della didattica in presenza si osserva un riavvicinamento del numero medio di termini di stati emotivi positivi e negativi a quelli registrati precedentemente. Tale cambiamento che si stabilizza potrebbe legarsi al raggiungimento di un nuovo assetto del bambino, che si adatta in maniera resiliente alla situazione critica di vita che sta vivendo (Wright, Masten, 2015).

La narrazione scritta spontanea è un’efficace via di accesso alle conoscenze infantili sulla mente

Implicazioni pratiche

La narrazione scritta spontanea si conferma un’efficace via di accesso alle conoscenze infantili sulla mente. L’analisi del lessico psicologico usato dai bambini in condizioni emergenziali può supportare nell’identificare precocemente l’incremento degli stati emotivi negativi e nell’intervenire preventivamente. Supportare precocemente la scrittura di storie e dare spazio all’interno del curriculum formativo alla pratica narrativa rappresentano azioni utili non solo per il consolidamento delle abilità strumentali, ma anche per l’espressione degli stati emotivi dei bambini. L’esperienza di costruzione di storie si può configurare anche come uno strumento utile agli insegnanti per promuovere nei bambini una circolazione di esperienze emotive condivise nella classe all’interno di uno scaffolding (l’aiuto dato da una persona a un’altra per svolgere un compito, N.d.R.) relazionale insegnante-bambini che funge da sostegno cognitivo ed emotivo. Gli insegnanti possono coinvolgere il bambino nel racconto di storie variando il contesto narrativo; per esempio si può proporre a un bambino di raccontare una storia ai compagni della classe oppure si può chiedere a un gruppo di bambini di co-costruire una storia inventata (la prova di narrazione congiunta), come proposto nello studio di Pinto et al. (2018).
L’utilità di sostenere le competenze narrative orali, le quali risultano pressoché simili tra bambini bilingui e monolingui, emerge anche nella direzione di considerare tale compito come appropriato a sviluppare la conoscenza circa i diversi significati delle parole, un’area di debolezza per i bambini bilingui a lingua minoritaria. Molte ricerche mostrano, inoltre, che la competenza narrativa dei bambini può essere migliorata tramite interventi di potenziamento fin dalla scuola dell’infanzia (Pinto et al., 2019).

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Lecce S., Pagnin A. (2007), Il lessico psicologico: la teoria della mente nella vita quotidiana, il Mulino, Bologna.
  • Marusak H.A., Martin K.R., Etkin A., Thomason M.E. (2015), «Childhood trauma exposure disrupts the automatic regulation of emotional processing», Neuropsychopharmacology, 40(5), 1250-1258. doi:10.1038/npp.2014.311
  • Morelli M., Cattelino E., Baiocco R., Trumello C., Babore A., Candelori C., Chirumbolo A. (2020), «Parents and Children During the COVID-19 Lockdown: The Influence of Parenting Distress and Parenting Self-Efficacy on Children’s Emotional Well-Being», Frontiers in Psychology, 11, 2584. doi:10.3389/fpsyg.2020.584645
  • Pinto G. (2022), «E ToM incon trò Cappuccetto Rosso: Teoria della Mente e narrazione di storie», in Castelli I., Massaro D., Marchetti A. (a cura di), “Dimmi che cosa pensi, e ti dirò chi sei”. La Teoria della Mente in età prescolare e scolare: nuove frontiere teoriche e applicative, Edizioni Junior, Parma.
  • Pinto G., Primi C., Tarchi C., Bigozzi L. (2017), «Mental State Talk Structure in Children’s Narratives: A Cluster Analysis», Child Development Research, 2017, 1-7. doi:10.1155/2017/1725487
  • Pinto G., Tarchi C., Bigozzi L. (2018), «Is two better than one? Comparing children’s narrative competence in an individual versus joint storytelling task», Social Psychology of Education, 21(3), 91-109. doi:10.1007/s11218-017-9411-0
  • Pinto G., Tarchi C., Bigozzi L. (2019), «Promoting narrative competence in kindergarten: An intervention study», Early Childhood Research Quarterly, 47, 20-29. doi:10.1016/j.ecresq.2018.09.003
  • Riva Crugnola C. (2002), «Regolazione e comunicazione affettiva nelle prime relazioni tra bambino e genitori», Psicologia Clinica dello Sviluppo, 6(3), 359-398. doi:10.1449/8075
  • Vettori G., Incognito O. (2021), «Parlare di sé, parlare dell’altro. Soggettività e alterità nelle narrazioni infantili», in XIII Convegno Nazionale SIPCO Oltre le distanze. Le comunità tra separazione e solidarietà.
  • Wright M.O’D., Masten A.S. (2015), «Pathways to resilience in context», in Theron L. C., Liebenberg L., Ungar M. (Eds.) Youth resilience and culture: Commonalities and complexities, 3-22, Springer, Dordrecht. doi:10.1007/978-94-017-9415-2_1
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