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Un solco profondo ha segnato – nei cuori e nelle coscienze di tutti – la tragedia del giovanissimo studente proveniente dal Mali, annegato qualche anno fa nel Mediterraneo con la pagella cucita nella camicia; gesto simbolico, quasi a ribadire di voler portare con sé la promessa di un futuro riscatto, che solo nell’istruzione ha i presupposti.A sei anni di distanza da quel giorno nefasto, all’ingresso della scuola secondaria di primo grado “Curzi” di San Benedetto del Tronto è stata posta una pietra d’inciampo con la scritta:<blockquote>“Qui aspettavamo il giovane del Mali, morto annegato il 18 aprile 2015 portando una pagella sul cuore. Ogni insegnante giusto lo avrebbe accolto”. </blockquote>Saper accogliereUna scuola accogliente, già: o meglio, una scuola che sa accogliere, che è capace di intuire le esigenze di ognuno, che ha la sensibilità per cogliere disagi e sofferenze, sopperendovi con azioni dirette, efficaci e inclusive.&nbsp;Questa è la sfida decisiva dei nostri tempi funestati dalla pandemia e dall’acuirsi delle disuguaglianze sociali, una sfida urgente che s’attaglia perfettamente all’eredità ideologica di don Lorenzo Milani, di cui ricorre in questi giorni il cinquantaquattresimo anniversario della scomparsa.“La scuola mi è cara come un ottavo Sacramento – scriveva don Lorenzo nelle Esperienze pastorali del 1957 – e da lei mi attendo la chiave dell’evangelizzazione di questo popolo”. Un popolo, il nostro, che dall’esperienza scolastica (oggi come allora) attende un’emancipazione quasi salvifica: dalla lezione di don Milani, infatti, emerge anzitutto una precisa idea di scuola come spazio fatto di relazioni dirette e immediate, attraverso le quali si possa scoprire l’altro e si possa condividere un progetto di vita che vada oltre i programmi e le materie di studio e che sappia creare una comunità coesa, fondata sul mutuo soccorso.<blockquote>Ho imparato che il problema degli altri e uguale al mio sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l'avarizia.</blockquote>Così scriveva&nbsp;il priore di Barbiana in un celebre passo della Lettera a una professoressa.&nbsp;Certo, perché la scuola deve cementare il senso d’appartenenza a una comunità educate e pensante che si fa carico di tutti, e deve stimolare questa consapevolezza anche (e soprattutto) nelle fasce più deboli della popolazione, che necessitano di un riscatto sociale con estrema urgenza.La scuola infatti rende uguali, dà a tutti le medesime possibilità e pone le basi per il riscatto di coloro che sono privi di mezzi o che hanno patito ingiustizie o gravi limitazioni, ponendo le basi per il diritto di cittadinanza degli individui all’interno della società.Don Milani sapeva precorrere i tempiLa lezione di don Milani, tuttora attualissima, è stata in grado&nbsp; sia di precorrere i tempi sia di cogliere nel profondo le maggiori criticità afferenti al mondo dell’istruzione; essa è luminosa fonte d’ispirazione per coloro che non smettono di ragionare su grandi questioni quali il valore della scuola come luogo educativo, l’importanza decisiva del buon “maestro” o la capacità della scuola di accogliere, creare relazioni, valorizzare le differenze e crescere cittadini responsabili e sovrani (M. Assenza, 2006); impegni e propositi che oggi hanno un valore decisivo, a prescindere dalla misurazione dei risultati, dai voti assegnati, dalle rilevazioni e dalle statistiche didattiche.&nbsp;Pertanto, là dove ci siano i presupposti per lo sviluppo di relazioni o di una concreta interazione, la scuola può diventare il primo luogo d’accoglienza capace di generare la vera e intima “centralità” dello studente, asse portante della mission di ogni operatore scolastico.&nbsp;Nel solco tracciato dall’esperienza di Barbiana si delinea lo scopo ultimo dell’istruzione: accogliere ed emancipare le persone, liberandole dai gioghi culturali e sociali per poi condurle verso lo sviluppo di una coscienza critica e di un pensiero divergente, utili entrambi a far valere quei diritti fondamentali troppo spesso calpestati o disattesi. Infatti non è possibile “educare all’uguaglianza” in assenza di una piena consapevolezza, che ognuno è in grado di maturare soltanto dopo aver trovato la propria strada e la propria identità; a dirla con Zigmunt Bauman, infatti, l’accoglienza deve andare di là dal concetto di tolleranza per poter diventare condivisione e veicolo di ideali, di traguardi concreti.Chi sono gli ultimi oggi?Come ha ben argomentato Andrea Mannucci (2017), sui banchi di scuola di oggi non ci sono più i “Gianni”&nbsp;di allora, ma ci sono i figli degli immigrati, i bambini che portano il fardello di situazioni familiari disastrose, i bisogni educativi speciali non certificati, i numerosissimi minori non accompagnati e i figli di quelle guerre – cancro planetario – che don Milani tanto ebbe in odio.Lo spirito anticipatore di don Lorenzo esprime pertanto la sua inimitabile forza e la sua eccezionale attualità proprio nell’idea che sta alle radici del “fare” scuola, che esula da tempi didattici, programmazioni o progettazioni e si concentra principalmente sulla volontà di offrire un futuro ragionevole a tutti, in particolar modo agli ultimi e agli oppressi, vessati dalla mancanza endemica di mezzi nonché dalle continue vicissitudini quotidiane.A dir il vero, il riverbero di ciò che la scuola di Barbiana ha saputo creare e diffondere è giunto sino ai nostri giorni non solamente sotto forma di mera eredità concettuale, ma anche quale lucida testimonianza.Agostino Burberi, uno dei primi sei ragazzi di Barbiana, oggi sindacalista e anima della Fondazione “Don Milani”, continua indefessamente a raccontare l’unicità e la freschezza dell’esperienza didattica (e non solo) che visse negli anni ’60 del secolo passato. In un’occasione pubblica nel 2017 Burberi ha raccontato:&nbsp;<blockquote>Era una scuola senza banchi e senza voti&nbsp;che iniziava alle otto e finiva alla sera: il maestro era fondamentale, ma altrettanto lo era il clima che si riusciva a creare, perché i più grandi insegnavano ai più piccoli e se qualcuno rimaneva indietro ci si fermava tutti, i traguardi di uno erano i traguardi di tutti. Si leggevano i giornali e c’era grande attenzione alla vita, all’attualità, alle cose che succedono. Fondamentale, poi, era il valore del gruppo e lo spirito di classe, in modo che ognuno potesse raggiungere i medesimi traguardi.&nbsp;</blockquote>Ecco il segreto dell’ottavo sacramento: aver saputo inseguire un ideale di giustizia ed equità sociale e di averlo tradotto in una serie di azioni pratiche e concrete, a supporto di ogni discente. Perché la scuola che sa accogliere è quella che sa prendersi cura di ogni esigenza, evitando che nessuno resti indietro.

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L'ottavo sacramento, una scuola che accoglie: la lezione di don Milani