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Esami universitari

Abbiamo bisogno di un nuovo lessico

Il primo di settembre di ogni anno avremmo la possibilità di vedere la cornice della realtà che abitiamo, per non rimanerne intrappolati. Riusciremmo a mettere a fuoco che il nostro compito non è soltanto quello legato all’apprendimento, alla socializzazione tra esseri umani, ma anche alle procedure amministrative dell’istituzione scolastica di cui facciamo parte.Ascoltate le voci dei bambini e delle bambine, entrano in scena le parole della didattica a cui iniziano a sovrapporsi quelle dei colleghi (PTOF, PEI, MAD, 40+40, programmazione, curriculum verticale...), con un lessico specifico e funzionale alla gestione di quel sistema burocratico che è, anche, la scuola.Ce ne aveva parlato chiaramente Max Weber all’inizio del secolo scorso, in Economia e società (1922): gli Stati capitalistici hanno la necessità di impostare regole generali per governare le decisioni e le azioni; gli ingranaggi di questa macchina, le istituzioni, devono rendere capillare questo modello.Come tenere insieme i vincoli e le procedure standardizzate con il rispetto della modalità e dei tempi di apprendimento di ciascuno?&nbsp;L’insegnante è il punto di contatto di questi due mondi culturali, il filtro che trasforma la gabbia della burocrazia, dentro la quale i bisogni sono anticipati, le persone “imprigionate”, le deviazioni dalla norma ricondotte sui loro binari, in una mappa che lo/la sprona a intraprendere un viaggio di scoperta, una ricerca che dia forza e riconoscimento alle unicità, tanto la propria quanto quelle di chi gli/le è affidato.Non possiamo dimenticare che i vincoli ricevuti sono la base su cui dobbiamo innestare processi innovativi e non il porto a cui le esperienze scolastiche devono attraccare, talvolta senza mai salpare.Abbiamo il compito di tradurre, letteralmente, i limiti in possibilità, le parole della macchina in parole per le persone. Significa entrare a scuola senza smarrire il senso del nostro lavoro: non siamo macchine che lavorano dei pezzi, ma persone che fanno dell’incontro con altre persone un’occasione di crescita.&nbsp;

Cara maestra e caro maestro,&nbsp; riprendiamo <a data-cke-saved-href="https://www.giuntiscuola.it/articoli/nessuno-si-senta-escluso" target="_blank" href="https://www.giuntiscuola.it/articoli/nessuno-si-senta-escluso">da dove eravamo rimasti</a>: se “la scuola pubblica è quella che possiamo fare insieme”, allora proviamo a capire come costruirla e cosa succede ogni volta che passiamo dal mondo delle idee alla pratica.Per farlo proviamo ad adottare lo sguardo parzialmente incontaminato di chi, come ogni anno, fa il suo primo ingresso a scuola in veste di insegnante. Più che uno sforzo di immaginazione, sarebbe una buona abitudine per imparare a guardare le solite cose con occhi nuovi.

Con la presa di servizio la scuola non ci assegna solo a una o più classi, ci regala anche un patrimonio di miti, credenze, possibilità e divieti che dobbiamo imparare a mettere in discussione, pena lo smarrimento, non solo nostro.Per questo vi propongo di stare attenti al linguaggio che usate: le parole costruiscono la realtà che viviamo, non si limitano a descriverla. Abbiamo bisogno di un nuovo lessico e di una diversa sintassi, solo così costruiremo qualcosa di più umano. Le parole di questa nuova grammatica nasceranno grazie al confronto tra colleghi, un dialogo aperto che parta innanzitutto dai sogni che abbiamo per la scuola.Qui sta il problema: per riuscire a dialogare tra insegnanti dobbiamo cambiare le prassi dei luoghi collegiali, così avvezzi alla burocrazia e sempre meno alla pedagogia;&nbsp;riunioni di team, consigli di classe e di interclasse,&nbsp;dipartimenti, collegi dei docenti, consigli di istituto devono diventare luoghi in cui la parola si fa dialogo e l’incontro si fa confronto.&nbsp;È proprio vero: la scuola siamo noi, ma questo ce lo eravamo già detti la volta scorsa!&nbsp;A presto

I nuovi insegnanti&nbsp;

L'insegnante traduce i limiti in possibilità, la burocrazia in parole per le persone