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Le scelte della mia scuola multiculturale – Lavoro minorile e mafia cinese

Mei Huì è una ragazza cinese di 15 anni. Dopo un paio di settimane di frequenza regolare in una terza media, non si presenta più in classe. Sembra impossibile comunicare con la famiglia. Che si fa? Maria Frigo ci racconta una storia dove s'intrecciano pregiudizi e voglia di vederci chiaro. Aspettando il convegno “A scuola nessuno è straniero”. 

di Maria Frigo25 gennaio 20165 minuti di lettura
Le scelte della mia scuola multiculturale – Lavoro minorile e mafia cinese | Giunti Scuola

Giuseppe Amadio , Bnilo , 2001. Acrilico su tela estroflessa. Fonte immagine: Farsetti Arte.

In occasione del convegno A scuola nessuno è straniero. La scuola multiculturale nel tempo delle scelte (18 marzo, Padova) abbiamo chiesto ad alcuni amici di "Sesamo" (insegnanti, educatori, dirigenti scolastici) di raccontarci una delle scelte che la scuola multiculturale si trova a fare ogni giorno. Oggi diamo voce a Maria Frigo.

Mei Huì non è malata!

Siamo a febbraio, in una piccola scuola di paese ai confini della provincia milanese. In una classe di terza media c'è Mei Huì, quindicenne ragazza cinese. Ha due anni più dei compagni e frequenta da poco questa scuola; si è trasferita da Prato insieme ai genitori, operai in una ditta artigianale di pellame gestita da loro parenti. È in Italia da pochi mesi e il suo italiano limita ancora molto la comunicazione . Dopo un paio di settimane di frequenza regolare, la ragazza non si presenta più in classe. Gli insegnanti la conoscono ancora poco, i compagni anche, ma alla domanda esplicita qualcuno di loro dice che no, Mei Huì non è malata, l'hanno vista lo scorso sabato al mercato del paese!

Dubbi e pregiudizi

La referente del progetto chiama la famiglia a casa, ma non riesce a farsi capire poiché nessuno parla abbastanza l'italiano. Però il giorno successivo Mei Huì è in classe e, di nuovo, non ci si capisce abbastanza per comprendere i motivi della sua prolungata assenza. Nei giorni seguenti si ripetono le assenze.
Corre voce che sia la ragazza a non voler più venire a scuola e tra i docenti prende corpo una facile spiegazione: certo, siamo ai confini dell'obbligo scolastico e probabilmente lei si sarà messa ad aiutare i genitori nella fabbrica di borsette. Del resto, sostengono alcuni, se la famiglia reputa la scuola meno importante del lavoro o comunque ha bisogno del suo aiuto e la ragazza ha quasi sedici anni, a questo punto...
Che si fa? Si accetta la situazione o si prova a capirla meglio?

Sotto sotto, la paura...

Il problema principale è nella impossibilità di comunicare con la famiglia. La referente cerca una mediatrice linguistico-culturale per la lingua cinese e, superati alcuni ostacoli di natura burocratica per la definizione del contratto, concorda con lei di andare a parlare direttamente con i genitori.
Referente e mediatrice si presentano al cancello del capannone artigianale nel quale vive la famiglia. Il colloquio rivela una realtà differente da quella immaginata. La mamma vorrebbe che Mei Huì venisse a scuola, ma la ragazza ha paura. Mentre tornava alla casa, cioè al capannone in zona industriale, ha ricevuto più volte minacce . Ma chi la sta minacciando? A poco a poco, e con il fondamentale aiuto della mediatrice, emergono i particolari della storia. Ci sono degli uomini, seduti in macchina, che quando torna da scuola le dicono cose che lei non capisce ma che non le sembrano proprio amichevoli. Una volta uno l'ha afferrata per un braccio. In più qualche notte fa qualcuno ha cercato di entrare in casa forzando una finestra. La mamma poi parla di qualcuno che vuole soldi da lei per lasciarli in pace. Referente e mediatrice suggeriscono alla mamma di sporgere denuncia presso la locale stazione dei carabinieri. La mamma, dopo qualche titubanza, accetta.

Mei Huì torna a scuola

Quando la referente ne parla con i colleghi, qualcuno commenta: sarà una storia di mafia cinese, forse è pericoloso per noi immischiarsi. Alla stazione dei carabinieri, dove va la mamma accompagnata dalla mediatrice, si precisa una realtà diversa. In paese c'è un gruppo di tossicodipendenti che si ritrova proprio nella zona industriale, un po' isolata dalle altre abitazioni. È molto probabile che siano loro, italiani, i soggetti che minacciano e chiedono soldi. I carabinieri promettono maggiori controlli e ringraziano la famiglia cinese perché la denuncia permette loro di agire. Intanto Mei Huì ha ripreso a venire a scuola.
Questa è una vicenda realmente accaduta. Gli insegnanti potevano adagiarsi sulle facili spiegazioni offerte dagli stereotipi e non vedere ciò che stava veramente accadendo . Qualcuno – la referente in questo caso – ha scelto invece di guardare oltre il velo del pregiudizio.

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