Potenziare la lingua dello studio

Nel mare ci sono i coccodrilli

La parola a tutti i bambini

Penso a quanto potrebbe essere utile svolgere un analogo progetto nella scuola dell&rsquo;infanzia: per facilitare il dialogo in situazione di conflitto, per provare a tradurre le parole che fanno male, per dare un nome ai propri bisogni.

&Egrave; difficile acquisire o apprendere il lessico delle emozioni, lo &egrave; per i bambini italofoni e ancora di pi&ugrave; per coloro che non sono ancora competenti nella lingua italiana. Noi insegnanti tendiamo a lavorare soprattutto sulla rabbia, probabilmente perch&eacute; &egrave; molto difficile da gestire a scuola a causa dell&rsquo;incontro (che a tratti pu&ograve; diventare scontro) con l&rsquo;altro. Poco indagata invece &egrave; la tristezza dei pi&ugrave; piccoli, eppure la sperimentano anche loro, magari quando perdono un amico a causa di un trasferimento o di un cambiamento di scuola. Un dolore delicato, a volte segreto e sottovalutato in quanto si tende a ridimensionare l&rsquo;importanza delle relazioni tra pari a questa et&agrave;. Essi a volte vivono a lungo sospesi nell&rsquo;attesa di un ritorno che non avverr&agrave;, un&rsquo;emozione che si assopisce ma che agisce in modo sommerso, se pensiamo per esempio al tenerissimo albo illustrato di Eric Carle Amici per sempre dove l&rsquo;autore con profonda leggerezza immagina per s&eacute; e per la sua amica, che ha perso tanti decenni prima, un finale diverso che sfocia addirittura nel matrimonio.

Da questi brevi racconti traspare una notevole consapevolezza: i bambini&nbsp; hanno timore di cose che non esistono e sanno riconoscere la differenza. Provano a esprimere quello che sentono attraverso le parole, ricorrendo a un intreccio di realt&agrave; e fantasia, di elementi di vissuto personale commisti a personaggi di storie ascoltate creando una specie di realismo magico di cui forse anche noi adulti conserviamo per tutta la vita un po&#39; di nostalgia.

Qualche settimana fa ho assistito ad alcuni incontri riguardanti un progetto sulla comunicazione non violenta, in una classe di ragazzi di 17 anni di un liceo artistico. Una delle finalit&agrave; di tale percorso &egrave; visualizzare quanto il linguaggio ordinario sia violento, accusatorio e giudicativo e cominciare a riappropriarsi di ci&ograve; che si sente prendendosi cura delle proprie emozioni.

Nel loro parlare a briglia sciolta, i ragazzi si definiscono prendendo distanza dal mondo dell&rsquo;infanzia appena lasciato eppure gi&agrave; rimpianto e in parte idealizzato, mentre evitano di chiamare in causa il mondo degli adulti che &egrave; vicinissimo a loro, ma che sentono come ancora totalmente altro da s&eacute;. Il processo di crescita comporterebbe, a quanto emerge dalle loro parole, l&rsquo;aggravarsi della componente emozionale. Prima le emozioni erano in numero minore e percepite come meno ambigue.

Altri mettono invece al centro del processo di crescita la perdita della magia legata a quel mondo di cose incantate in cui i bambini hanno diritto a credere anche se non in fondo non esistono. L&rsquo;emozione che avvertono con pi&ugrave; urgenza, per loro stessa dichiarazione, &egrave; l&rsquo;ansia, probabilmente determinata dalla situazione assurda che hanno vissuto e che stanno tuttora vivendo; mentre solo in seconda battuta viene posta la rabbia.

Mi viene spontaneo mettere in relazione le opinioni dei ragazzi pi&ugrave; grandi con ci&ograve; che i bambini vivono e raccontano di s&eacute;. Per i primi, la regina delle emozioni &egrave; l&rsquo;ansia, probabilmente per i secondi, lo &egrave; la paura. Intorno ai 5 anni hanno gi&agrave; chiaro che le paure possono avere un oggetto fisico (come la paura di salire su un cavallo alto o quella dei ladri) o un oggetto indefinito (come quella del buio).

D.: &ndash; I bambini a volte hanno paura dei mostri e delle streghe perch&eacute; pensano a cose che non esistono. Quelli molto piccoli vanno nel letto della mamma perch&eacute; hanno paura del buio.

Insegnante: &ndash; Ma non &egrave; buio lo stesso?

D.: &ndash; S&igrave;, ma l&igrave; c&rsquo;&egrave; la mamma. Io qualche volta ci vado perch&eacute; nel buio vedo quei cosi colorati, come dei vermi. Anche se chiudi gli occhi li vedi lo stesso, possono toccarti senza che tu senti. Non fanno alcun verso, sembra un&rsquo;immaginazione.

Ilaria: &ndash; Quando me ne sono andata in montagna la mamma era sparita. Non la vedevo pi&ugrave;. Io credevo che l&rsquo;aveva mangiata un lupo. Il pi&ugrave; che non l&rsquo;ha mangiata se no io stavo da sola. E forse Hansel e Gretel avevano un po&rsquo; paura dei lupi. Forse avevano paura di stare da soli perch&eacute; c&rsquo;erano le bestie ed era molto fitto. E le bestie si nascondevano dietro gli alberi perch&eacute; era fitto fitto fitto.

Maimouna: &ndash; Delle volte la mia mamma spegne la candela e io ho paura del buio. Io dopo quando mi addormento e apro un occhio piango, perch&eacute; &egrave; come se c&rsquo;&egrave; un fantasma. Perch&eacute; sempre ho sonno e mi addormento. Non c&rsquo;&egrave; qualcuno nella stanza &egrave; solo sogno.

Le emozioni dei bambini

Raccontare piccole e grandi paure

Parole per raccontare piccole e grandi paure

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