Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Bisogna distinguere tra emergenza e normalità. In tempi di pandemia, riconoscere l’indispensabilità della tecnologia è legittimo. Una scelta obbligata per non interrompere traumaticamente i rapporti tra docenti e studenti. Ma mi preoccupano professori e rettori che hanno considerato l’epidemia come una straordinaria occasione per rilanciare con più forza l’“educazione digitale” e le potenzialità virtuali ad essa connesse. Per me, al contrario, la pandemia ha rivelato che le scuole e le università senza studenti e professori sono spazi vuoti, privi di ogni slancio vitale. Privilegiare la cosiddetta “didattica del futuro”, fondata su modelli pedagogici in cui (già da molti anni) vengono depotenziati la lezione in aula e il contatto diretto tra professori e allievi, significa dimenticare che la formazione avviene soprattutto nella vita comunitaria, nelle aule, nelle biblioteche. Purtroppo, da almeno tre decenni, scuole e università corrono sempre più il rischio di sacrificare l’educazione al virtuale e a una pedagogia mercantilistica. In un mondo globalizzato, in cui l’istruzione viene considerata soprattutto un mezzo per acquisire un mestiere e non per formare cittadini liberi e colti, l’allarme è legittimo.

Lei ha espresso sempre molte riserve sulla didattica a distanza.

I social favoriscono relazioni umane o producono invece nuove forme di disuguaglianza?

Lei ha sostenuto che, nel futuro, il vero lusso saranno le relazioni umane.

Professore ordinario di Letteratura italiana nell’Università della Calabria, presidente del Centro Internazionale di Studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani e collaboratore del «Corriere della Sera» e di «El País», Nuccio Ordine ha insegnato in prestigiose università negli Stati Uniti, in America Latina e in Europa. Ha ricevuto cinque dottorati honoris causa, la Legion d’Onore e le Palme Accademiche in Francia ed è Grande Ufficiale dell’Ordine del Merito della Repubblica italiana. È membro d’onore dell’Istituto di Filosofia dell’Accademia Russa delle Scienze e membro dell’Académie Royale de Belgique e del Consiglio scientifico della Treccani. Il suo bestseller L’utilità dell’inutile (Bompiani) è stato tradotto in 32 Paesi. Per La Nave di Teseo ha pubblicato la nuova edizione de La cabala dell’asino e due saggi dedicati ai classici (Classici per la vita e Gli uomini non sono isole). Dirige diverse collane di classici all’estero e, in Italia, i «Classici della letteratura europea» (Bompiani).

Certamente. Lo sostengo ormai da molti anni. La miopia della classe dirigente, sempre più condizionata dalle pressioni delle grandi multinazionali del digitale che non pagano le tasse e che spiano la nostra intimità per venderla alle aziende e ai partiti politici, non ci permetterà di investire in maniera efficace questi miliardi stanziati per riparare in parte i danni della pandemia. Si parla, per la “buona scuola”, di destinare soldi solo all’acquisto di computer per famiglie disagiate e di potenziare la rete Internet. Non c’è traccia di investimenti per formare buoni professori e retribuirli in maniera dignitosa. Nessuna piattaforma digitale cambierà la vita dei nostri studenti. Solo i buoni professori potranno farlo. Come l’hanno fatto, in silenzio, nel corso dei secoli.

È banale pensare che l’amicizia in un profilo social possa coincidere con un semplice clic. Così come chattare in rete non vuol dire coltivare affetti. Un rapporto autentico ha bisogno di legami vivi, veri, fisici. La dipendenza dai dispositivi ha favorito progressivamente una preminenza del virtuale, a tal punto che è sempre più frequente vedere ragazzi seduti, l’uno a fianco all’altro, ognuno con la testa china sul proprio smartphone, ignorarsi senza scambiare una parola. Lo stesso discorso vale per gli utenti dei social network che pensano, nel chiuso di una stanza, di intrecciare relazioni attraverso un computer o un tablet: dietro una permanente connessione con gli altri si finisce per coltivare una nuova forma di terribile solitudine. Sarebbe inimmaginabile vivere senza internet o senza i telefoni. Ma la tecnologia, come un pharmakon, può guarire o intossicare: dipende dalle dosi! Sul «New York Times» Nellie Bowles mostra che negli Stati Uniti l’uso dei dispositivi sta diminuendo nelle famiglie ricche e aumentando in quelle medie e povere. Le élites della Silicon Valley inviano i loro figli in scuole dove al posto della tecnologia si favoriscono i rapporti umani. Così, nel futuro, il lusso dell’interazione umana sarà destinato sempre più ai rampolli dei ricchi e il digitale-virtuale alla formazione standardizzata dei meno abbienti...

Nei mesi di confinamento nella primavera 2020 abbiamo preso coscienza che le relazioni umane – quelle vere, non virtuali – diventano sempre più un bene di lusso. Mentre non pochi colleghi pensano, purtroppo, che siano le tecnologie digitali a fare di una&nbsp;scuola una scuola “moderna”. Al numero esagerato e preoccupante di ore già dedicate ai videogiochi, alla navigazione in Internet, alla televisione, alle relazioni virtuali intrecciate su Facebook, su Twitter e su WhatsApp, adesso i giovani aggiungeranno anche le ore destinate a seguire da remoto le lezioni. Per curare la “dipendenza”, insomma, è meglio somministrare ulteriori “dosi” di materiale digitale. Così la scuola (tutta tesa verso il “mercato”), anziché formare giovani capaci di resistere agli imperativi del consumismo, della velocità, del superficiale, preparerà futuri clienti entusiasti e acritici. Del resto, le recenti campagne pubblicitarie di molti supermercati lo confermano: invitano studenti, professori e famiglie a comprare prodotti in cambio di bollini per ottenere computer o tablet. Anziché essere protetti dal consumismo e dalla pubblicità ingannevole («quando ti regalano qualcosa la merce sei tu»), i giovani saranno invece “educati” a trasformarsi ancor più in fedeli consumatori passivi.

Per lei quindi la “buona scuola” la fanno solo i “buoni professori”?

Didattica a distanza e relazioni umane

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