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Per crescere ci vuole stupore
Prepariamoci al nuovo anno che inizia prestando attenzione a creare stupore e meraviglia in azioni, apprendimenti, eventi, giochi.

Il mio nipotino di circa 3 anni è vicino a una grande voliera piena di uccelli: c’è la gallina (co co), le oche (qua qua), strambi uccelli rosa con una gamba sola. Poi si avvicina alla rete un grosso uccello blu e il bimbo dice “Nonno, cip cip blu”, all’improvviso, senza un motivo, l’uccello blu apre una sontuosa e grandissima ruota verde, blu e oro. Il piccolo, stupefatto, spalanca gli occhi e dice forte “Nonno, ohh, ohh, ohh” e con il ditino teso mi dice di guardare.
Io scopro così, ancora una volta, lo stupore che gli umani vivono quando appare il nuovo vicino a loro: mio nipote non sa nulla di zoologia, né di etologia volatile, ma vede e parla a modo suo, ammirato, al pavone che lo saluta con la sua ruota meravigliosa.
ACCOMPAGNARE LA CRESCITA
Carissimi educatori e insegnanti avete la fortuna di accompagnare bambine e bambini in quel percorso che nasce dal linguaggio interno naturale fino a quello esterno sociale (cioè il pensiero e la parola che si fanno coscienza, come ci ha insegnato il buon Vygotskij), non sprecatelo.
Insegnare a vivere/conoscere attraverso stupore e meraviglia vuol dire creare una relazione empatica tra l’adultità e i nostri piccoli che mette al centro non un lineare e rigido percorso di travasamento del conoscere adulto, adattato a piccole teste, e neppure l’idea che si debba lasciare i piccoli solo in un caotico divertissement.
Mettete al centro del vostro agire educativo l’accompagnamento del loro crescere attraverso eventi, contesti, situazioni creative in cui scatti in loro la gioia del conoscere e dello scambiare parole, emozioni, curiosità.
OFFRIRE L’INEDITO…
Voi il pavone lo conoscete già, per loro può essere la prima volta: ecco, l’incanto di offrire tante prime volte, rende gratificante il vostro lavoro e in bambine e bambini l’incontro con l’ignoto aiuta a crescere curiosi e comunicativi al punto giusto. Dalla meraviglia provata si genereranno domande, curiosità ulteriori, nuove parole, connessioni che creeranno nella mente e nel linguaggio e che si semineranno con i coetanei.
Da qui nasce, non finisce, l’apprendere: una specie di “società dei bambini” che accompagnati da adulti creativi rifanno il mondo della conoscenza e dell’esperienza umana partendo da sé e mescolandola tra loro.
… E LA FLESSIBILITÀ
Ciò vuol dire una flessibilità didattica continua, che rifugge da pratiche rituali e direttive. Perfino per le cosiddette ruotine, peraltro importantissime da acquisire, la meraviglia e la scoperta sono un mettersi in gioco cognitivo ed emotivo che crea il vero apprendimento, non quello assorbito, ma conquistato. E persino le paure, i pericoli, le “cose no” possono diventare un intrigante evento di conoscenze ed esperienze.
Dal pianto, perché ci si è sbucciati un ginocchio, si scopre la cura con l’acqua ossigenata, il cerotto, la tenerezza dell’adulto che consola come evento che contiene la meraviglia.
Naturalmente questo vuol dire che a educatori e insegnanti serve la dote del saper meravigliare, la creatività di creare le condizioni dell’inedito (prepararli, non gestirli in maniera direttiva), la ricerca dello stupore e del piacere e della fatica del conoscere.
Cioè, tutto sommato, restare anche noi adulti un po’ bambini e capaci ancora di stupirci della bellezza e complessità del mondo, che le parole e gli sguardi dei piccoli ci restituiscono.
Poi, man mano che scorre la nostra strada, evitiamo il precocismo e la fretta: lasciamo gustare a bambine e bambini le cose della conoscenza come fossero una caramella da ciucciare senza fretta.
CREARE RICORDI FELICI
Vicino alla voliera, incontro una mamma con due bambini che racconta che quand’era piccola si ricorda di un Babbo Natale grasso che veniva sempre a Natale alla sua scuola materna di allora e che faceva loro una cosa magica. Il Babbo Natale entrava e chiacchierava amenamente, secondo quanto le maestre gli avevano indicato, con bambine e bambini, che parlavano di loro e raccontavano le loro gioie e dolori. E poi, per trovare un’uscita nobile, quel Babbo Natale chiedeva ai bambini di chiudere gli occhi prima che lui andasse via. I bambini chiudevano gli occhi, Babbo Natale tirava fuori dalla tasca un bel mucchio di borotalco, lo soffiava e, poi scappava fuori in corridoio. E quando i piccoli aprivano gli occhi vedendo la nuvoletta rimasta scoprivano la magia ed era tutto un “Oh, Oh, Oh”.
Nel raccontare, la mamma non sapeva che quel Babbo Natale ero io, ma sapeva bene che la maestra era mia moglie, felice di reincontrare la sua ex alunna mamma di due bimbi.
Si può fare Babbo Natale anche senza borotalco, naturalmente, ma l’escamotage di quella volta era il simbolo semplice che la vita ha bisogno, per crescere bene di tanta, ancora tanta e ancora tanta meraviglia.
È l’arte magica dell’insegnare a far diventare la meraviglia un fatto collettivo, di scambio tra bambine e bambini in cui la mutualità di parole ed emozioni rende tutti più ricchi