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Correzione e autocorrezione
L’errore è normale in qualsiasi processo di apprendimento. Ma cosa fare in classe? Correggere o tollerare l’errore? E come e quando correggere? Di M. Cristina Peccianti
“Sbagliando si impara” recita un vecchissimo e sempre attuale proverbio, che riguarda tutti gli apprendimenti, a cominciare da quelli esperienziali dei bambini più piccoli, ma anche quelli scolastici e quelli di tutta una vita, in cui non si finisce mai di imparare né di sbagliare.
Per quanto riguarda, in particolare, l’apprendimento linguistico la veridicità del proverbio è confermata da numerosi studi e ricerche, che ci dicono che deviazioni, semplificazioni o generalizzazioni delle regole sono normali e naturali nei diversi stadi interlinguistici dell’apprendimento. Sono spie di attivazione di processi mentali e tentativi, più o meno fruttuosi, di avvicinamento alla lingua di arrivo.
Pareri discordi
Quando tuttavia si passa dal piano della considerazione teorica dell’errore a quello della pratica didattica , e ci si chiede che cosa fare di fronte all’errore, i pareri si dividono.
C’è infatti chi si oppone alla correzione, dicendo che questa può generare ansia e perdita di autostima e chi invece sostiene che la non correzione priva l’apprendente di informazioni utili al progredire del suo percorso verso la conquista della lingua di apprendimento.
Chi ha ragione? Pur non essendoci un grandissimo numero di studi sperimentali in proposito, dalla maggior parte di essi risulta che la non correzione dà risultati peggiori rispetto alla correzione, fatta ovviamente nei giusti limiti e tempi, anche perché gli errori tendono poi a “ fossilizzarsi ”, cioè a diventare parte integrante della lingua dell’apprendente e difficili da rimuovere.
Guidare all’autocorrezione
Fatte queste premesse è dunque importante riflettere sul come e quando correggere gli errori, considerando la particolare situazione dei bambini stranieri.
Certamente una correzione efficace degli errori non sarà quella effettuata con modalità che assegnano all’alunno un ruolo del tutto passivo, per cui di fronte a ogni produzione errata, l’insegnante segnala l’errore e riproduce la forma corretta. Né possiamo pensare che sia opportuno intervenire in qualsiasi momento, rischiando di bloccare la produzione orale e turbare delicate situazioni socio-affettive di alunni che fanno in genere tanta fatica a parlare di fronte a insegnanti e compagni, vincendo faticosamente timidezze, paure, tabù culturali.
Possiamo invece registrare il parlato , individuare gli errori e lavorarci in un secondo tempo, coinvolgendo i bambini in un processo di autocorrezione , rendendoli consapevoli delle loro produzioni e quindi anche dei loro errori e manchevolezze, portati alla luce nella loro semplice oggettività, senza le ombre di colpe e imbarazzi.
Scriviamo una frase di ciascun bambino alla lavagna, leggiamola e facciamola rileggere, quindi guidiamo gli alunni, con input di riflessione, a vedere quali sono le cose che non vanno e come possono essere corrette.
Muoviamoci sempre e comunque con il criterio della gradualità , lavorando su un gruppo di errori alla volta, partendo da quelli più rilevanti a livello comunicativo: i bambini, in generale, non sono in grado di percepire e controllare troppe cose in una volta e, meno che meno lo sono i bambini stranieri.
Se i bambini sono più competenti e sono in grado di fare produzioni scritte , anche di poche frasi, l’utilizzo del metodo dell’autocorrezione è molto efficace, per fare in modo che prendano consapevolezza degli errori e non li ripetano.
Consegniamo a ciascun bambino la propria produzione, in cui ci saremo limitati a segnalare gli errori più importanti, e chiediamo di provare a correggerli. Se necessario, guidiamo i bambini e sollecitiamo la loro riflessione con delle domande, magari facciamo lavorare a coppie, e facciamo anche più passaggi di autocorrezione sullo stesso testo.
Per saperne di più
Daniela Masucci, Neoarrivati: la tolleranza dell’errore , Sesamo online , febbraio 2015
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