Strategie per apprendere bene

“Cara scuola, non ti dimenticheremo”

Insegnanti "a distanza", quattro buone pratiche da condividere

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna
 
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 per poter fare scuola”.


 Le parole di don Lorenzo Milani aprono la riflessione sull’efficacia dei diversi approcci metodologici nell’insegnamento delle discipline, indirizzando verso un’indiscussa risposta, quella più complessa e problematica: la dimensione dell’
 
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 , che esclude perentoriamente i tecnicismi, le “mode” didattich

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”.
Le parole di don Lorenzo Milani aprono la riflessione sull’efficacia dei diversi approcci metodologici nell’insegnamento delle discipline, indirizzando verso un’indiscussa risposta, quella più complessa e problematica: la dimensione dell’essere, che esclude perentoriamente i tecnicismi, le “mode” didattiche, i metodi rigidi, le “ricette” pedagogiche.
 

L’educazione coinvolge necessariamente motivazione, emozione, pratiche e valori morali e sociali
 

La dimensione dell’essere
Sappiamo che il dibattito sull’educazione spesso è stato confinato nella sfera cognitiva o addirittura si è mosso all’interno di una singola specializzazione disciplinare. In realtà l’educazione, l’istruzione e la formazione rappresentano un’impresa di proporzioni ben più vaste che investe motivazioni, emozioni, nonché pratiche e valori morali e sociali.
Come afferma Howard Gardner, “un’educazione la cui azione quotidiana non coinvolgesse questi aspetti della persona, con ogni probabilità perderebbe qualsiasi efficacia o, peggio, produrrebbe individui che contrastano con la nostra idea di umanità” (Gardner, 2009, p. 19).
A questo proposito, un passo tratto dal romanzo autobiografico Il primo uomo, di Albert Camus, ci restituisce un’immagine tanto suggestiva quanto esplicativa. “Col signor Bernard le lezioni erano sempre interessanti, per la semplice ragione che lui amava appassionatamente il proprio mestiere (...). Il metodo del signor Bernard, (...) consisteva nel non concedere nulla in fatto di disciplina ma di rendere vivo e divertente l’insegnamento. Certo, anche nelle altre classi si insegnavano molte cose, ma un po’ come si ingozzano le oche. Si presentava il cibo preconfezionato e si invitavano i ragazzi a inghiottirlo. Nella sua classe, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione: li si giudicava degni di scoprire il mondo. Non si occupava solo di insegnare ciò per cui era pagato, ma li accoglieva con semplicità nella sua vita personale, la viveva con loro, raccontava la propria storia e quella di altri ragazzi che aveva conosciuto, esponeva i propri punti di vista”.
 
Sul fare
Una volta condivisi questi assunti di base dedicati alla dimensione dell’essere della professionalità docente, possiamo confrontarci anche sul fare. Nel 1997, nel Rapporto sull’educazione del XXI secolo della Commissione Unesco presieduta da Jacques Delors, emerse la centralità dell’educazione e dell’istruzione, sorretta da quattro “pilastri”:
1. imparare a essere: cercando di far emergere tutti i “tesori sommersi”, ovvero le ricchezze di ogni persona;
2. imparare a vivere insieme: in una dimensione comunitaria;
3. imparare a conoscere: per acquisire progressivamente capacità di giudizio autonomo;
4. imparare a fare: per permettere ad ognuno di sviluppare al massimo il proprio potenziale.
All’interno di queste finalità, molti autori hanno tenuto acceso il dibattito pedagogico intorno all’efficacia del processo di insegnamento-apprendimento, individuando alcuni aspetti qualificanti. In generale, vengono riconosciuti come “buoni” insegnanti (che riescono cioè a rendere efficace il proprio insegnamento) coloro che:

sono bene informati sulla loro materia;
sono sensibili ai sentimenti degli alunni e dei colleghi;
credono che gli alunni possano imparare;
hanno una nozione del sé positiva;
credono di potere aiutare tutti gli alunni a fare il meglio che possono;
fanno uso di molti metodi diversi di istruzione.

 
Il coinvolgimento di tutti
Quest’ultimo aspetto, in particolare, richiama il valore della differenziazione metodologica e dell’interdisciplinarità, aspetti che tutt’oggi provocano incertezze e interrogativi.
“Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi?”. Con questa domanda, posta da Gregory Bateson in apertura di Mente e natura. Un’unità necessaria (1984, p. 21), lo studioso inglese si interroga riguardo a ciò che accomuna tra loro le diverse creature, per stimolare la riflessione intorno alla necessità di affrontare la questione attraverso una nuova prospettiva “connettiva”. Utilizzando lo stesso interrogativo “naturalistico” potremmo chiederci: “Quale struttura connette l’italiano con le scienze, la storia con la matematica e tutti e quattro con l’insegnante? E l’insegnante con i bambini?”.
Secondo Bateson soltanto un approccio sensibile alla “struttura che connette”, può permetterci davvero di conoscere il mondo, passando per i nostri sensi, le nostre emozioni e il nostro intuito. È una modalità di relazionarci al mondo che privilegia il pensiero qualitativo rispetto a quello quantitativo e che riconosce ai sensi e alle sensazioni un valore centrale. Infatti, il nostro allontanamento dal mondo vivente naturale richiede di tornare ad avere una relazione sana e partecipata con la natura e con il sapere, fatta di attenzione, curiosità e cura. Tutto questo sarà possibile promuovendo una partecipazione effettiva di tutti, evitando di utilizzare il termine “partecipazione” come parola-mito ad alto potenziale simbolico ma che, in alcuni casi, non trova riscontro nelle situazioni reali.
 


Come fare per fare scuola?

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