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In classe ho un bambino sordo, anzi due

Ad Ancona due bambini sordi, attraverso l’insegnamento della lingua dei segni (LIS), sono stati integrati nel gruppo classe con buoni risultati.

di Silvia Mainardi, Maria Bucci, Mauro Mario Coppa22 aprile 20211 minuto di lettura
In classe ho un bambino sordo, anzi due | Giunti Scuola

Nella scuola dell’infanzia

Il percorso è iniziato nella scuola dell’infanzia per garantire a Luca (nome di fantasia), bambino sordo e privo di comunicazione, una piena integrazione e partecipazione alla vita della classe.
All’inizio il percorso prevedeva l’adozione sia del linguaggio verbale sia della lingua dei segni italiana (LIS). Questa scelta di un metodo bilingue ha richiesto la formazione di un gruppo di lavoro costituito da figure professionali complementari: docenti curriculari, un insegnante di un sostegno, un educatore comunale e un esperto LIS.
Nella scuola dell’infanzia l’approccio ai segni è stato realizzato in modo spontaneo e ludico, con un apprendimento incidentale e imitativo, senza che fosse richiesta una produzione strutturata: in pratica è stato possibile disporre quotidianamente del metodo bimodale supportato e consolidato dalla presenza in classe per alcune ore alla settimana di un’interprete LIS che lavorava direttamente con i bambini, in piccolo gruppo, proponendo sia giochi, sia letture ad alta voce segnate.
In pochi mesi si sono osservati dei miglioramenti nel comportamento di Luca e ciò ha incoraggiato ancor più a proseguire. Del resto i risultati logopedici erano stati scarsi e la famiglia stessa si stava orientando verso una comunicazione alternativa al linguaggio verbale; la LIS cominciava a essere considerata come un vero e proprio strumento capace di far uscire il bambino dal suo isolamento.
Alla fine del percorso scolastico nella scuola dell’infanzia Luca era perfettamente integrato, poiché tutti riuscivano a interagire direttamente con lui. Vi era comunque la consapevolezza che con il passaggio alla scuola primaria si sarebbe trovato in un contesto completamente nuovo e che sarebbe stato incapace di comunicare verbalmente e di comprendere i contenuti scolastici senza l’affiancamento di persone che conoscevano la LIS.


Nella scuola primaria

Il passaggio alla scuola primaria ha trasformato una buona prassi in un progetto pluriennale per l’insegnamento della lingua dei segni italiana, articolato attorno a nuove esigenze e nuovi obiettivi, in primis la necessità di garantire il diritto allo studio in un ambiente accogliente, integrante e comunicativamente efficace.

Le idee forti del progetto
Le idee forti alla base del nostro progetto sono maturate in anni di contatto con la cultura dei sordi. In primo luogo, un’idea fondamentale è l’impressione che nella scuola troppo spesso i bambini sordi manifestino problematiche comportamentali non correlate al deficit sensoriale, ma a una metodologia basata su lezioni frontali e interrogazioni, che li esclude dalla comprensione di parte dei contenuti. In secondo luogo, l’idea che spesso le problematiche legate alla sordità non siano immediatamente visibili, ma che appaiano chiaramente solo quando si comunica con un non udente; infine, la consapevolezza che al deficit sensoriale si possano associare forti disagi relativamente all’area socio-affettiva e cognitiva.
È stato necessario operare all’interno di un progetto strutturato, convinti che un bambino come Luca dovesse poter iniziare il proprio percorso formativo in modo paritario rispetto ai suoi compagni, per limitare al massimo il gap che lo avrebbe separato dal resto della classe. Per consentirgli di beneficiare di una continuità dal punto di vista non solo linguistico, ma anche della metodologia didattica, si è pensato di richiedere alla scuola primaria l’utilizzo dell’insegnante di sostegno della scuola dell’infanzia. In questo modo si sarebbe potuto continuare a lavorare sull’area socio-affettiva, che rappresenta uno degli aspetti critici nello sviluppo dei soggetti affetti da disfunzioni uditive (Coppa, 2021; Geniola, Gigliola, 2021).
All’inizio del nuovo anno scolastico è stato proposto a tutta la classe un laboratorio di Lingua dei segni italiana, prevedendo un apprendimento strutturato: sono stati realizzati giochi per la comunicazione totale, conversazioni in LIS, lettura ad alta voce tradotta in segni, “ascolto”, rielaborazione e produzione, laboratorio teatrale su lettura segnata (Murolo, Pasquotto, Rossena 2013).


L’inserimento di un secondo alunno

Questo lavoro svolto nei primi due anni di scuola primaria ha creato le condizioni favorevoli affinché fosse inserito nella classe un secondo alunno sordo, non italofono. Il progetto, quindi, è stato necessariamente rimodulato, considerando che il nuovo alunno (S.) aveva 11 anni e proveniva dal Bangladesh, dove non era mai stato scolarizzato, e quindi aveva scarse competenze linguistiche nella lingua bengali e utilizzava esclusivamente un codice mimico-gestuale gergale.
Nell’inserimento di S. un ruolo di primo piano è stato affidato a Luca, che è diventato per il suo compagno sia un tutor, sia un modello positivo di integrazione.
L’andamento dell’intero progetto è stato monitorato negli anni attraverso l’osservazione sistematica dei comportamenti comunicativi degli alunni e dei docenti, e sono state inoltre proposte prove oggettive per stabilire il grado di accuratezza della LIS e quello di generalizzazione del codice comunicativo. Dai dati è emerso che tutti i bambini hanno mostrato un miglioramento progressivo nella padronanza della seconda lingua, a differenza degli adulti, che si sono mostrati più resistenti al cambiamento delle loro modalità di insegnamento e meno permeabili all’apprendimento della lingua visivo-gestuale. Tuttavia, negli scambi non didattici con gli alunni sordi, tutti hanno mostrato una particolare attenzione a stabilire un approccio comunicativo diretto ed efficace.

Le criticità
Nonostante i notevoli risultati positivi, il percorso non è risultato scevro di criticità. Tra le tante, la principale è stata la difficoltà di organizzare i tempi di lavoro, che sono risultati naturalmente più lunghi, in fase sia di progettazione e preparazione delle unità didattiche, sia di realizzazione delle lezioni. Un tempo didattico così dilatato non è da considerarsi come “perso”, bensì come un’opportunità in più offerta a tutti quei bambini che hanno maggiori difficoltà di apprendimento. L’uso delle lavagne condivise, per esempio, la proiezione di filmati o la semplice rappresentazione grafica dei concetti si sono dimostrati strumenti preziosi anche per gli alunni stranieri (Coppa et al., 1991).
Il problema relativo al tempo è stato in parte risolto attraverso una progettazione efficace e condivisa, sempre tenendo conto dei diversi bisogni formativi.
Infine, ci siamo trovati ad affrontare le perplessità di alcuni genitori nell’accettare l’inserimento del secondo alunno sordo, per il timore che la sua presenza potesse rallentare il raggiungimento dei traguardi di competenza dei propri figli. Nel sottolineare il valore multiculturale e interculturale delle diversità, l’inserimento degli alunni sordi è stato presentato come una particolare forma di intercultura.


Considerazioni conclusive

Tirando le somme di questi cinque anni di percorso, si può affermare con certezza che dal punto di vista didattico gli alunni sordi hanno raggiunto gli obiettivi posti nel PEI, in linea con la progettazione della classe; inoltre, elemento non meno importante, è che la ricaduta positiva del lavoro non si è verificata solo a favore loro, ma anche degli altri alunni.
Tra gli altri obiettivi, ci eravamo posti quello di creare un polo di conoscenza della sordità e di riferimento per le famiglie e per il territorio. Successivamente è stata accolta come osservatrice una terza alunna sorda di 16 anni: questo ha permesso di utilizzare il bagaglio culturale e linguistico formatosi negli anni, evitando di disperdere risorse umane e organizzative.
Pur essendo consapevoli che le competenze linguistiche che i bambini hanno acquisito nel corso del progetto potranno essere dimenticate negli anni, quello che vorremmo restasse loro, dopo questa esperienza, è la capacità di mettersi in gioco in prima persona. Non è solo l’alunno in difficoltà che deve adeguarsi – spesso con grande fatica – per restare nel gruppo o per seguire la progettazione scolastica, ma sono anche gli altri, ovvero coloro che hanno tutte le potenzialità per farlo, a dover impegnarsi affinché le distanze vengano colmate.

Considerazioni di fondo e metodologie didattiche

È importante considerare che nei casi in cui alla sor- dità non si associano altri deficit, la didattica non do- vrebbe discostarsi da quella cosiddetta tradizionale, tenendo conto di vari elementi:

  • l’attenta valutazione oggettiva delle competenze dell’alunno;
  • la necessità di adattamento degli argomenti e dei testi, proposti in maniera semplificata ma non privi dei contenuti, secondo una logica sommativa e non sottrattiva;
  • l’importanza di anticipare all’alunno sordo i contenuti e di spiegare ogni argomento utilizzando diverse possibilità comunicative e strumentali (disegno, drammatizzazione, visione di filmati, mappe concettuali ecc.);
  • l’opportunità di arricchire il lessico attraverso il dizionario specifico di ogni insegnamento e la generalizzazione di uno stesso vocabolo in differenti ambiti disciplinari e semantici;
  • il valore della riflessione metacognitiva che porti alla consapevolezza delle proprie difficoltà e all’individuazione di specifiche strategie per la correzione.

La metodologia va quindi calibrata sulle specificità del deficit uditivo e integrata con quella attuata per la classe, prevedendo varie attività, quali:

  • l’apprendimento cooperativo e l’utilizzo di bambini tutor;
  • il lavoro per piccoli gruppi;
  • l’attività di laboratorio bilingue con l’interprete;
  • l’utilizzo di ausili multimediali e software didattici specifici;
  • l’uso condiviso delle lavagne al fine di rendere visibile a tutta la classe gli insegnamenti individualizzati;
  • la valutazione attraverso verifiche scritte in forma di questionari a scelta multipla che riducono le difficoltà linguistiche;
  • verifiche orali attraverso l’utilizzo della sua lingua naturale.

Per quanto concerne le produzioni orali e scritte, l’ottica valutativa con cui vanno considerate è quella di ritenere gli errori una produzione non standard, privilegiando la fase generativa di un testo orale o scritto, piuttosto che la valutazione conclusiva del prodotto.

Image | Giunti Scuola
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Coppa M.M. (2021), «I passaggi difficili dell’alunno con gravi disabilità», Psicologia e scuola, 3, 60-61.

Coppa M.M., Cardinaletti S., De Santis R., Costantini M., Marconi N., Mondaini L. (1991), «La comunicazione segnaletico-gestuale nella riabilitazione di soggetti pluriminorati», in Caselli M.C., Corazza S. (a cura di), LIS - Studi, Esperienze e ricerche sulla Lingua Italiana dei Segni in Italia, Edizioni Del Cerro, Tirrenia (PI).

Geniola N., Gigliola F. (2021), «Sviluppare le risorse socio-affettive», Psicologia e scuola, 3, 40-45.

Murolo J., Pasquotto M., Rossena R. (2013), Gioco e imparo con la LIS - Attività e schede per l’apprendimento della Lingua dei Segni Italiana, Erickson, Trento.


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