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C&rsquo;&egrave; speranza se questo accade a Vho viene pubblicato nel 1963. &Egrave; il diario di classe di Mario Lodi: c&rsquo;&egrave; quello che pensa e quello che fa in classe e quello che pensa su ci&ograve; che ha fatto in classe. &Egrave; un modello di riflessione didattica. La prima pagina &egrave; datata 1951, e contiene una considerazione storica: &ldquo;dopo il fascismo &egrave; diventato naturale rifiutare il ruolo di tecnico che trasmette i valori e l&rsquo;ideologia della classe dominante ai ragazzi del popolo che sono nella maggioranza figli dei poveri, degli sfruttati e degli oppressi&rdquo;.&nbsp;

Ma come fare? si domanda Lodi, ammettendo di non aver imparato &laquo;nessuna tecnica di liberazione&raquo;. Le tecniche che s&rsquo;ingegner&agrave; a usare sono spesso mutuate dal lavoro freinetiano. Lodi aderisce quasi da subito al Movimento di Cooperazione educativa, nel 1955; l&rsquo;Mce viene fondato nel 1951 ispirandosi alla nuova pratica didattica di Celestin Freinet in Francia.&nbsp;

Nei prossimi mesi uscir&agrave; un saggio di Vanessa Roghi sulla figura di Mario Lodi, e in modo esplicito in questo saggio si legge quello il primo elemento imprescindibile che dobbiamo ricordare quando leggiamo la storia della scuola democratica in Italia: &egrave; una storia collettiva, di maestre e maestri, pedagogiste e pedagogisti che tutti i giorni confrontavano le proprie esperienze.&nbsp;

Don Milani non sarebbe esistito senza questa rete, non sarebbe esistito Mario Lodi. Barbiana o Piadena sarebbero rimaste due esperienze sconosciute e limitate. Ma c&rsquo;&egrave; di pi&ugrave; nella lettura di Roghi e di altri storici che finalmente hanno dato un valore storico, non solo relativo all&rsquo;educazione, rispetto a questi buoni maestri. Lo sottolinea Ernesto Balducci, nel 1982, quando gli viene richiesto della possibilit&agrave; di riprodurre il modello di Barbiana. La sua risposta &egrave;: &laquo;il limite di fondo della proposta milaniana &egrave; oggi pi&ugrave; visibile: non &egrave; possibile chiedere alla scuola-istituzione quel che invece pu&ograve; offrire una scuola spontanea animata da un maestro &lsquo;carismatico&rsquo;. In quanto &egrave; un servizio reso a tutti i cittadini, secondo le regole oggettive dello Stato di diritto, la scuola di Stato non pu&ograve; essere progettata facendo affidamento sulla eventualit&agrave; della ricchezza soggettiva degli educatori&raquo;. Il carisma non pu&ograve; essere considerato un fattore su cui fondare l&rsquo;intero sistema educativo, servono strumenti condivisi che siano alla portata di tutti.

Mario Lodi &egrave; un maestro eccezionale e un pedagogista eccezionale? Da una parte viene da risponderci s&igrave;. Il suo lavoro in classe, la sua riflessione pedagogica, i suoi libri sono considerati &ndash; e giustamente &ndash; modelli per pi&ugrave; di una generazione di educatori. Ma dall&rsquo;altra parte in quel s&igrave; c&rsquo;&egrave; un rischio: ritenere solo esemplare il suo lavoro e quindi credere che la riproducibilit&agrave; sia solo una imitazione. Il pericolo da scongiurare insomma &egrave; fare di queste figure, come Don Milani, Maria Montessori, Paulo Freire, o Mario Lodi delle sorte di santi laici, e in questo modo ridimensionarne la potenzialit&agrave; politica.

Non dobbiamo soltanto riconoscere la collettivit&agrave; che ha prodotto figure emblematiche come quelle di Lodi, ma dobbiamo soprattutto riconoscere la necessit&agrave; di organizzare quelle reti oggi. Questo libro &egrave; un invito a organizzarsi, c&rsquo;&egrave; scritto nella prima pagina di Lettera a una professoressa. Quell&rsquo;invito a partire dalle parole della scuola democratica ci chiama, uno per uno, nel nostro prossimo futuro. &nbsp;

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L&#39;immagine &egrave; tratta dall&#39;<a href="https://www.giuntiscuola.it/materiali/mario-lodi-racconta-fare-scuola-ieri-e-oggi" target="_blank">intervista a Mario Lodi</a> di Carla Ida Salviati per La Vita Scolastica.

C'è speranza se ci organizziamo: l'attualità di Mario Lodi