Parole che fanno male, parole che curano

L’espressione “Me ne frego” mostra un progetto linguistico esattamente contrario a ciò che cerchiamo di fare nella scuola

di Franco Lorenzoni23 novembre 20182 minuti di lettura
Parole che fanno male, parole che curano | Giunti Scuola
Torna a circolare nel linguaggio pubblico l’espressione Me ne frego , a cui oltre mezzo secolo fa don Lorenzo Milani contrappose il celebre I care - mi importa - scelto come motto della scuola di Barbiana. Oltre a far tornare tristemente alla mente modi e posture del ventennio fascista, questa frase è espressione di un progetto linguistico - dunque politico, direbbe De Mauro citando Gramsci - intorno al quale credo sia importante ragionare.

Chi dice me ne frego interrompe drasticamente ogni confronto. Di più, rivendica il diritto a non ascoltare una ragione diversa dalla sua, allontanando ed espellendo dal suo orizzonte l’opinione di chi pensa diversamente. Me ne frego annuncia, con il tratto spiccio della volgarità, di potere tranquillamente fare a meno della parola altrui. Si situa dunque, letteralmente, agli antipodi del parlamento, che è il luogo della parola che si confronta, si scontra anche, ma all’interno di un contesto di riconoscimento reciproco.
Me ne frego rivendica l’idea che regole e convenzioni vadano bene fino a un certo punto, ma possano essere travalicate dall’energia esuberante di chi è capace di decidere da solo, naturalmente per conto del popolo.

Questa provocazione linguistica , che ben rappresenta il clima di crescente intolleranza che sempre più si respira in tanti luoghi, ci aiuta a capire meglio cosa dobbiamo fare a scuola.
Se uno dei nostri compiti sta nell’ arricchire il più possibile il linguaggio e il pensiero di bambine e bambini, devo avere ben presente che il mio primo compito sta nell’ascoltare e dare valore a ogni parola, nel prestare attenzione e mostrare, con il mio comportamento prima di tutto, che ogni cosa accade tra noi mi importa, mi interessa.

Per provare a intendere e comprendere un testo, ad esempio, debbo per prima cosa avere fiducia nella mia capacità di ragionare in proprio. E questa fiducia nella mia capacità di pensare la conquisto, fin da piccolo, solo se qualcun altro ascolta con attenzione e rilancia ciò che dico. È nell’oralità e in un dialogo costante, dunque, che si costruiscono le condizioni per affrontare e affinare la mia capacità di lettura e, soprattutto, il desiderio di comprensione di un testo che può apparire difficile o distante. Solo se creiamo un contesto in cui tutti - davvero tutti - possano dire la loro ascoltati con attenzione, possiamo sperimentare la bellezza dell’intendere una parola, un concetto o l’articolazione di un ragionamento, facendoci portare per mano dalle parole degli altri.

Poiché all’origine di tante ingiustizie e differenze, che rischiano di trasformarsi in discriminazioni, c’è la diversa quantità di parole che ciascun bambino intende e sente di possedere e poter utilizzare, ecco che tutta la nostra ricerca, ogni giorno, sta nell’opporci a qualsiasi me ne frego, perché la parola è una soglia a cui debbo potermi affacciarmi con fiducia, fin dai miei primi passi.

 
 
 
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