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Un genitore-etnografo nella scuola multiculturale

Tra vita e ricerca: la scuola vista da dentro è piena di sfumature, contraddizioni, risorse, occasioni... vita! Di Anna Granata, Università di Torino

di Anna Granata05 novembre 20185 minuti di lettura
Un genitore-etnografo nella scuola multiculturale | Giunti Scuola

Francesca Gobbo lo ha definito con una felice espressione “insegnante-etnografo” (2004). La sua posizione è indubbiamente privilegiata rispetto a quella del ricercatore classico: è già sul campo, vi è ogni giorno, e se affina la sua lente di osservazione astraendosi dalle attività quotidiane potrà consegnare alla comunità scientifica un punto di vista inedito sulla vita in classe. Ho compreso a pieno il valore di questa immagine quando dopo dieci anni di intensa attività di ricerca nelle scuole, vi ho messo piede per la prima volta in qualità di genitore . Dai primi istanti mi è stato chiaro che quell’esperienza - in una scuola dell’infanzia alla periferia di Milano, con un grado elevatissimo di eterogeneità sociale e culturale - avrebbe messo alla prova le mie certezze di ricercatrice in pedagogia interculturale.

Restiamo o scappiamo?

Lo devo ammettere. Dopo aver scritto libri e articoli denunciando il noto fenomeno del “white flight” (la fuga delle famiglie autoctone dalle scuole di quartiere considerate troppo eterogenee, cfr. Ranci, Pacchi 2017), la tentazione l’ho provata anch’io. Non tanto nei primi i giorni di inserimento della mia piccola in classe, tra volti vivaci e sorridenti dei suoi compagni, di cui soltanto cinque o sei con un nome italiano. Piuttosto, quando ho dovuto distaccarmi da lei, lasciandola in lacrime tra le braccia della maestra e aspettando fuori insieme agli altri genitori. Ore di attesa, seduti l’uno accanto all’altro, in religioso silenzio. Col passare dei giorni (circa dieci!) tra noi non circolava nessuna parola. Le tre mamme velate sedute sul divanetto tenevano rigorosamente lo sguardo basso. Un giovane padre cinese celava la sua ansia restando immerso nel suo smartphone. Mamma e papà rom più spaventati di tutti noi messi insieme – commentavano tra loro la situazione in romanès. È in quel momento che ho vacillato: potrò lasciare mia figlia, serena e tranquilla, in un contesto sociale così diverso dal mio? A risolvere la situazione, dopo giorni inquieti e notti insonni, ci ha pensato proprio la mia treenne, col suo sorriso ed entusiasmo crescente per la sua classe, superati i primi momenti di naturale distacco dalla famiglia.

Tanti mondi diversi

Nel tempo i genitori hanno smesso di sembrarmi degli alieni , grazie alla conoscenza reciproca. Con alcuni ci si saluta soltanto, consegnando il proprio figlio “in corsa” alle maestre, nel folle tentativo di arrivare puntuali al lavoro. Con altri si scambia qualche parola in più e si sosta insieme ai giardini. Se dentro le mura scolastiche siamo tutti un po’ robotizzati, tra routine della vestizione dei nostri figli e moduli da firmare per qualche pratica burocratica, fuori si aprono scenari sorprendenti. Come può ai miei occhi digerire ogni giorno un kebab con cipolle e salsa piccante, la piccola Nur che ha lo stomaco poco più grande di un pulcino?! Chi diventerà da grande la piccola Lucia, che parla italiano a scuola, cinese a casa e i cartoni li guarda rigorosamente in inglese su Disney channel?! Cosa replicare a Jasmine, la mamma di Fatima, quando guardando il mio palazzo da fuori esclama: “wow, casa privata!!”?! Come spiegare alla mamma di Giulia che mia figlia non fa neanche un corso pomeridiano, mentre la sua ha una settimana più intensa di un teenager?! Il mondo è bello perché è vario.

Nati (tutti) per leggere

Una classe così eterogenea funziona solo (e molto bene) con insegnanti creative, fantasiose, incredibilmente organizzate , in sintonia tra loro e pronte a gestire l’imprevisto. Se le guardi muoversi tra questi bambini, alcuni forbiti e plurilingui, altri muti e a volte maneschi, noti immediatamente che il loro modo di lavorare non ha nulla di routinario. Ogni giorno sono alle prese con tablet, corsi di ginnastica o teatro, gite fuori porta e orti urbani, che rendano creativo e innovativo il loro straordinario laboratorio interculturale (Granata, 2016). Come l’iniziativa “nati per leggere” , per cui ogni giovedì i bambini tornano a casa con un libro della biblioteca della scuola dentro una bella sacchetta colorata. Ai genitori le insegnanti hanno dato questa consegna: non importa se sapete leggere in italiano, prendetevi nel fine settimana un momento caldo e gioioso con i vostri figli, commentando insieme le figure… è così che scopriranno l’amore per i libri e per la cultura.
La scuola vista da dentro è piena di sfumature, contraddizioni, risorse, occasioni... vita! Rimettendo le mie vesti di ricercatrice ho l’impressione che tutto – libri, strumenti, progetti di ricerca – riacquisti forma e colore. Nulla può più essere pensato a bianco e nero.

Gobbo F., L’insegnante come etnografo: idee per una formazione alla ricerca , in G. Favaro, L. Luatti (a cura di), L ’intercultura dalla A alla Z , Franco Angeli, Milano 2004, pp. 126-44
Granata A., Pedagogia delle diversità. Come sopravvivere un anno in una classe interculturale , Carocci, Roma 2016
Ranci C., Pacchi C., White flight a Milano: la segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo , Franco Angeli, Milano 201

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