Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

<ul><li style="text-align: justify;">Di Tacchio S., Antonietti A. (2019), Io e il Piccolo Principe. Uno strumento per aiutare i bambini a sviluppare curiosità e flessibilità mentale, Fabbrica dei Segni Editore, Novate Milanese (MI).</li></ul>

Il potenziale trasformativo dei singoli episodi Può essere allora utile – e siamo così all’ultimo spunto operativo – invitare lo studente a raccontare episodi della propria esperienza che siano collegati al crescere&nbsp;e all’imparare cogliendo il potenziale trasformativo che essi hanno. L’<a data-cke-saved-href="#schede" href="#schede">Attività 3</a> propone un possibile schema – pensiamo sempre a uno studente che abbia bisogno di qualche “imbeccata” per avviare la propria attività narrativa – da seguire per fare ciò. Lo studente è infatti invitato a stendere un breve resoconto biografico rispetto a un episodio in cui ha avvertito intervenire un certo cambiamento in sé, seguendo lo schema proposto nella scheda. La consegna potrebbe essere la seguente:&nbsp; «Durante la prossima settimana, al termine di ogni giornata, ripensa a ciò che ti è accaduto e individua un’occasione in cui ritieni di essere cambiato rispetto a qualcosa. Forse ti sembrerà di non essere cambiato, ma, con un po’ di sforzo, dovresti riuscire a scoprire almeno un’occasione di tal genere. Potrà capitare che ti venga in mente, per una giornata, anche più di un’occasione. In questo caso, riferisci sulla scheda quella che ti pare più significativa». L’insegnante potrà quindi raccogliere i vari racconti prodotti dagli studenti e organizzarli in maniera tale che emergano elementi comu- ni alle diverse esperienze.

Gli studenti raccontano di sé, ma prevalentemente al di fuori della scuola: in famiglia (anche se i genitori spesso vorrebbero che parlassero di più con loro...), con figure adulte di riferimento per loro importanti, e soprattutto con gli amici. Implicitamente, quest’attività

Gli studenti raccontano di sé, ma prevalentemente al di fuori della scuola: in famiglia (anche se i genitori spesso vorrebbero che parlassero di più con loro...), con figure adulte di riferimento per loro importanti, e soprattutto con gli amici. Implicitamente, quest’attività narrativa spontanea è un esercizio linguistico, perché il bambino/ragazzo deve anzitutto farsi comprendere dall’interlocutore (e quindi deve trovare un modo per organizzare il proprio discorso in maniera chiara e che tenga conto delle competenze e conoscenze circa il contenuto della comunicazione posseduto dalla persona cui si sta rivolgendo), e poi perché il narratore deve attirare e mantenere l’attenzione del destinatario del suo messaggio e quindi deve sfruttare vari meccanismi retorici per incuriosire, coinvolgere, avvincere.Senza compiere indebite intrusioni nella privacy degli studenti, la narrazione autobiografica può però essere anche riportata nell’attività didattica, diventando ulteriore palestra per coltivare capacità comunicative e linguistiche e, se riferita all’esperienza scolastica, fornire all’insegnante preziose informazioni circa il modo con cui lo studente sta vivendo il proprio processo di apprendimento.

Un obiettivo possibile Non c’è un filo d’erba senza una storia da dire, né un cuore che non abbia il suo proprio romanzo

Caratteri ed elementi delle narrazioni sul sé

Uno strumento per sollecitare un approccio a Il Piccolo Principe che permetta di stabilire un contatto tra il contenuto della narrazione e se stessi. A tal fine il racconto è affiancato da cinque spunti di riflessione: 1. con l’Analogia il lettore è invitato a trovare corrispondenze tra quanto raccontato e una situazione della propria vita quotidiana; 2. la Combinazione chiede di associare la situazione descritta a un’altra, e immaginare ciò che deriva da tale messa in rapporto; 3. nella Domanda si è invitati a interrogarsi su aspetti di quanto raccontato per individuare significati non scontati; 4. il Flusso stimola a produrre liberamente idee e commenti personali;

Càpita tuttavia che lo studente non sappia da dove incominciare a raccontare di sé e che il compito gli sembri troppo impegnativo. Oppure che si inneschi subito la tendenza, per pigrizia o per ignoranza delle strategie che si possono seguire, a riportare racconti banali, privi di originalità e di autenticità. Un primo modo per aiutarlo è allora quello di partire da narrazioni esistenti e proporre di adattarle a sé introducendovi degli elementi personali (un percorso sistematico di questo tipo basato su Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry è descritto nel <a data-cke-saved-href="#box" href="#box">box di approfondimento</a>). Per esempio, si può invitare lo studente a trovare una narrazione autobiografica scritta da un Autore che percepisce a sé vicino per sesibilità, interessi, condizioni di vita e così via. La narrazione può essere un diario, un memoriale, una vera e propria autobiografia o anche soltanto un brano tratto da tali opere, una lettera, un breve racconto ecc. Lo studente stabilirà quindi un parallelo tra quanto racconta di sé l’Autore prescelto e se stesso, organizzando il proprio elaborato nella forma di un testo parallelo a quello originale, secondo l’esempio riportato nell’<a data-cke-saved-href="#schede" href="#schede">Attività 1</a> al termine dell’articolo. Lo studente potrà infine collegare tra loro le parti scritte in riferimento a sé in modo da produrre un resoconto autobiografico completo e autonomo.

Da che cosa iniziare?

Per fare ciò i racconti autobiografici si adeguano a una serie di principi fondamentali. Tra le proprietà delle narrazioni individuate da Bruner, bisogna anzitutto fare riferimento ai temi della sequenzialità, della particolarità e della concretezza. In altre parole, il raccontare implica il disporre gli eventi narrati entro una precisa sequenza temporale, occupandosi essenzialmente di avvenimenti e di questioni ben precise riguardanti le persone, spesso inserite all’interno di un gruppo sociale con proprie abitudini e costumi. Gli esseri umani protagonisti delle narrazioni sono descritti facendo riferimento alle loro dimensioni mentali; i personaggi manifestano infatti opinioni, sono motivati all’agire da ideali e da obiettivi, ragionano, provano sentimenti ed emozioni.&nbsp;È questo il principio dell’intenzionalità. Nel pensiero narrativo i rapporti che vengono individuati tra gli elementi fanno ricorso a stati affettivi, motivazioni, intenzioni, desideri (quello che viene chiamato lo “scenario – o paesaggio – della coscienza”), oltre che a collegamenti di cause ed effetti (lo “scenario dell’azione”). Infine, nelle narrazioni autobiografiche si possono individuare differenti modi di raccontare. Questi ultimi rispecchiano l’utilizzo di modelli che organizzano i pensieri in una certa direzione e testimoniano l’uso di particolari stili conoscitivi. Sono il risultato di elaborazioni della persona e dell’influenza della cultura, che crea generi attraverso la letteratura, il teatro, il cinema ecc.

Un fatto naturale Il parlare di se stessi è un fatto naturale. L’individuo interpreta il proprio modo di essere e organizza la conoscenza che ha di sé tramite le narrazioni, in particolare per mezzo delle narrazioni sul Sé e degli schemi narrativi sul Sé. La motivazione che spinge a parlare delle proprie esperienze è il tentativo di attribuire un senso, che sia chiaro per se stessi e per gli altri, ad azioni e decisioni personali. Funzione fondamentale di tali narrazioni è quella di aiutarci a capire la nostra realtà esistenziale, fornendo al riguardo una spiegazione di azioni esterne e reazioni interiori di cui siamo protagonisti. Con le parole di Bruner, si può dire che «l’autobiografia costringe all’interpretazione». Anche in questo caso lo studente va guidato a riconoscere questi possibili significati che può avere per lui la narrazione autobiografica e, come in precedenza, se la richiesta di produrre subito un racconto spontaneo e completo è eccessiva, lo si può aiutare fornendogli un esempio al quale possa appoggiarsi e dal quale partire. L’<a data-cke-saved-href="#schede" href="#schede">Attività 2</a> descrive un possibile modo per indurre lo studente a esplicitare il proprio “scenario della coscienza” rispetto all’esperienza scolastica. In questo caso è offerto un canovaccio da seguire immedesimandosi in personaggi di fantasia che possono trovarsi in una situazione analoga alla propria. Lo studente è invitato a esplicitare in maniera autobiografica – in una forma non invasiva ma comunque coinvolgente – i propri vissuti collegati alla propria crescita. Tutti abbiamo delle immagini prototipiche di quella che dovrebbe essere una genuina esperienza di crescita e di ciò che concorre a facilitarla o a ostacolarla. Dalle narrazioni autobiografiche, per esempio, potrà emergere che qualcuno tenderà a collocare il buon e felice apprendimento nella scuola, altri nella vita quotidiana o in occasioni di scambio o di viaggio, altri in particolari eventi personali. Oltre a quello del “luogo”, un altro criterio di lettura dei racconti ricavabili attraverso lo strumento sopra presentato è quello del “che cosa”: crescere è soprattutto acquisire una competenza culturale, una capacità pratica, dei principi di vita? Ancora: nei racconti prodotti, esemplificative della crescita sono situazioni in cui si è da soli, in cui si è aiutati da un “esperto” o in cui si interagisce tra “pari”? Altro criterio può essere il tempo: la crescita è immediata, rapida o graduale? Infine, le soddisfacenti esperienze di crescita sono quelle in cui ciò si è verificato intenzionalmente, sulla base di progetti e sforzi, o invece involontariamente, in modo incidentale?

Strumenti e percorsi

Le narrazioni sul Sé rispecchiano le proprietà delle narrazioni in generale, quali le convenzioni stilistiche, le regole di genere, le strategie retoriche, il riferimento al contesto, la dimensione del possibile, la verosimiglianza ecc. Il processo di “testualizzazione” e di interpretazione delle esperienze di vita è reso possibile dal ricorso a particolari schemi cognitivi di riferimento, gli schemi narrativi sul Sé. Si tratta di schemi mentali, ovvero di “abbozzi” che guidano l’organizzazione, la conoscenza e la comprensione degli avvenimenti della propria esistenza. Sono regole per costruire le narrazioni sul Sé, legate all’ambito sociale e culturale. Nelle narrazioni sulle esperienze personali, che si realizzano in un certo contesto, si possono identificare alcuni elementi costanti, comuni ai differenti narratori. Essi sono: <ul><li style="text-align: justify;">il riconoscimento di se stessi e degli altri come portatori di intenzionalità; </li><li style="text-align: justify;">l’identificazione delle motivazioni dei personaggi; </li><li style="text-align: justify;">la presenza di una trama con un particolare svolgimento; </li><li style="text-align: justify;">l’individuazione di complicazioni e delle loro risoluzioni; </li><li style="text-align: justify;">la possibilità di raggiungere degli obiettivi; </li><li style="text-align: justify;">la descrizione dell’ambiente.</li></ul>

Ammaniti M., Stern D.N. (a cura di) (1991), Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Roma-Bari. Antonietti A., Rota S. (2004), Raccontare l’apprendimento. Il diario narrativo: come ricostruire e monitorare percorsi formativi, Raffaello Cortina Editore, Milano. Confalonieri E., Scaratti G. (a cura di) (2000), Storie di crescita. Approccio narrativo e costruzione del Sé in adolescenza, Unicopli, Milano. Smorti A. (a cura di) (1997), Il Sé come testo. Costruzione di storie e sviluppo della persona, Giunti, Firenze.

I principi di fondo del racconto autobiografico

Una definizione di noi stessi Dopo aver riconosciuto che, anche se con l’aiuto di un modello, si è in grado di raccontare di sé in maniera non stereotipata, lo studente può essere condotto a riconoscere alcune delle funzioni che la narrazione autobiografica svolge. Anzitutto queste narrazioni ci aiutano a elaborare una definizione di noi stessi e contribuiscono alla genesi dell’immagine che abbiamo di noi. Le storie ci indicano il nostro posto nel mondo e i comportamenti più pertinenti nelle diverse situazioni. Esse, inoltre, ci forniscono un’idea del mondo contraddistinta da ordine e prevedibilità, aspetto che ci fornisce rassicurazione e ci aiuta a orientarci nella realtà, pur lasciando la porta aperta all’insolito e all’imprevisto, aspetto che dà sapore alla vita.

Gli studenti raccontano di sé, ma prevalentemente al di fuori della scuola: in famiglia (anche se i genitori spesso vorrebbero che parlassero di più con loro...), con figure adulte di riferimento per loro importanti, e soprattutto con gli amici. Implicitamente, quest’attività narrativa spontanea è un esercizio linguistico, perché il bambino/ragazzo deve anzitutto farsi comprendere dall’interlocutore (e quindi deve trovare un modo per organizzare il proprio discorso in maniera chiara e che tenga conto delle competenze e conoscenze circa il contenuto della comunicazione posseduto dalla persona cui si sta rivolgendo), e poi perché il narratore deve attirare e mantenere l’attenzione del destinatario del suo messaggio e quindi deve sfruttare vari meccanismi retorici per incuriosire, coinvolgere, avvincere. Senza compiere indebite intrusioni nella privacy degli studenti, la narrazione autobiografica può però essere anche riportata nell’attività didattica, diventando ulteriore palestra per coltivare capacità comunicative e linguistiche e, se riferita all’esperienza scolastica, fornire all’insegnante preziose informazioni circa il modo con cui lo studente sta vivendo il proprio processo di apprendimento.

annotò il 28 marzo 1855 il pensatore e scrittore svizzero Henri-Frédéric Amiel nel proprio Diario intimo. Non che vogliamo fare di tutti gli studenti necessariamente dei futuri romanzieri, ma dotarli della sensibilità e della competenza cognitiva e linguistica per poter esprimere efficacemente la propria esperienza personale – e con ciò farli diventare maggiormente consapevoli del suo significato – può essere un obiettivo dell’educazione scolastica.

Sempre seguendo il pensiero di Bruner, si rileva che le narrazioni sul Sé possiedono alcune caratteristiche: <ul><li style="text-align: justify;">descrivono vicende di valore per la persona, significative per la loro carica emotiva e per l’intenzionalità che le contraddistingue; </li><li style="text-align: justify;">il narratore-protagonista dei fatti influenza in maniera sensibile il corso degli eventi; a loro volta, questi ultimi condizionano i progetti della persona; </li><li style="text-align: justify;">collocano l’individuo entro un preciso ambiente di vita e, in senso più ampio, in una cultura; </li><li style="text-align: justify;">consentono di ricostruire il passato ma anche di fare inferenze e previsioni per il futuro.</li></ul>

5. negli spunti Variazione si ipotizzano modi alternativi in cui una data situazione potrebbe evolversi.

Vi sono narrazioni sul Sé “chiuse”, in cui la vicenda appartiene al passato (come, se si è adulti, il racconto dei giochi infantili), e narrazioni sul Sé “aperte”, la cui trama è ancora in evoluzione e deve essere completata nel tempo dall’individuo (si pensi per esempio al racconto di una storia d’amore se si è, nel presente, ancora innamorati della stessa persona). In entrambe le situazioni, nuovi stimoli possono riattivare le narrazioni; in questi casi il contenuto dei resoconti funziona come un sistema di memoria per elaborare le informazioni in entrata, per interpretare i dati, per simulare scenari e possibili Sé, per fare progetti e prendere decisioni. In altri termini, i ricordi immagazzinati vengono usati come schemi per comprendere i nuovi eventi.

Raccontare se stessi

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