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Quali strategie di apprendimento nei testi di studio?

Per garantire un autentico apprendimento, i libri di studio dovrebbero essere organizzati in modo tale da agevolare l’implementazione delle strategie più adeguate.

di Cesare Cornoldi, Rossana De Beni25 febbraio 202116 minuti di lettura
Quali strategie di apprendimento nei testi di studio? | Giunti Scuola

Gran parte del lavoro scolastico è volta a insegnare agli studenti informazioni e abilità nuove che richiedono applicazione e studio per poter essere effettivamente apprese. Infatti, molto spesso non basta esporre agli studenti determinate nozioni per avere la garanzia che esse siano effettivamente apprese in modo tale da poter essere ricordate a distanza di tempo (memoria) e trasferite ad altri contesti in cui possono essere utilizzate (transfer). Ci si aspetterebbe, dunque, che lo sforzo didattico e i testi di studio fossero organizzati in modo tale da stimolare l’implementazione delle strategie più adeguate per garantire un autentico apprendimento di queste informazioni. Non sempre, però, le cose vanno in questo modo.

Alcuni psicologi si sono impegnati ad analizzare in che misura insegnanti e testi si preoccupano di stimolare lo studente su una riflessione metacognitiva sulle informazioni più difficili da memorizzare. È emerso che nella normale routine scolastica questo è fatto in misura molto ridotta e ancor meno accade che l’insegnante si preoccupi di suggerire strategie efficaci. Eppure la ricerca psicopedagogica ha offerto un numero impressionante di risultati su organizzazioni testuali e suggerimenti strategici di cui è stata verificata l’efficacia (si veda Miyatsu et al., 2018).
Quando, circa 10 anni orsono, Roediger, Karpicke e altri studiosi pubblicarono le loro ricerche sugli effetti benefici di occupare buona parte del tempo di studio nello sforzo di recuperare le informazioni piuttosto che di studiarle, elaborarle e organizzarle, ci fu un po’ di sorpresa e di diffidenza. Oggi, a livello scientifico, questo risultato è stato confermato e citato in migliaia di studi, ma ancora non è stato pienamente utilizzato sul piano educativo. Quale insegnante, per esempio, si preoccuperebbe di fare un test di apprendimento dopo una lezione, ma prima di aver consentito allo studente di iniziare lo studio? Eppure questa richiesta avrebbe risultati notevoli, quasi miracolosi.


Quali caratteristiche dovrebbe avere
il testo?

Ci siamo imbattuti spesso, per il nostro lavoro, in testi di studio – e qualche volta anche in autori di questi testi – e ci siamo domandati quali proprietà e organizzazione dei testi potrebbero favorire l’apprendimento dei contenuti.
Per quanto riguarda le proprietà che facilitano l’apprendimento dai materiali scritti, molto è stato scritto sulle caratteristiche di singole parole o frasi. Per esempio, se il testo di studio include materiale ad alta immaginabilità, distintività, salienza, generalizzabilità, applicabilità al caso personale, capacità di indurre emozioni, l’apprendimento ne risulta rafforzato. Per quanto concerne i testi, si è molto insistito anche sulla coerenza e sulla coesione, sulla piacevolezza e sulla capacità di rispondere a curiosità e interessi del lettore, ma anche su proprietà che si è cercato di misurare, quali la leggibilità e l’interesse umano.
Già Flesch, molti decenni orsono (1948), aveva suggerito di calcolare la leggibilità di un testo in base al principio che più le parole sono brevi (e quindi tipicamente d’alto uso) e le frasi sono pure brevi (e quindi poco contorte e articolate anche sintatticamente), più un testo è leggibile. Ci sono state anche applicazioni della formula alla lingua italiana, per esempio la seguente:

206 – (S × 0,6) – P

(dove S è il numero di sillabe contenute mediamente in 100 parole e P è il numero medio di parole contenute in una frase).
Usando questa formula dovrebbe emergere che un testo di fine scuola primaria ha un valore di leggibilità superiore a 70.
Flesch propose anche un’altra formula, meno conosciuta, definita di “interesse umano”, che associava la capacità di un testo di coinvolgere il lettore al numero di nomi di persona che compaiono nel testo e al numero di parole con discorso diretto o che si rivolgono al lettore. Per quanto queste formule siano rigide e la loro applicazione completa risulterebbe meccanica e acritica, esse ci dicono che ci sono testi che riescono a farsi capire e a suscitare l’interesse del lettore molto più di altri.


Organizzazione del testo finalizzata
allo studio

Le pagine da studiare sono inserite in un’organizzazione generale che può a sua volta essere determinante nel favorire o, al contrario, sfavorire l’apprendimento.
Ecco, qui di seguito, alcune chiavi tipicamente considerate dalla ricerca psicopedagogica che possono essere sfruttate dai testi.

  1. Multimedialità e codici multipli coerenti: è stato notoriamente osservato che la memorizzazione è facilitata se la stessa informazione è fornita secondo codici diversi ma congruenti, per esempio il codice verbale (il testo) e quello visivo (una figura associata; si veda Mammarella et al., 2005); questa facilitazione si verifica purché ci sia
  2. un evitamento del sovraccarico: un’eccessiva ridondanza delle fonti o solo parziale coerenza figura-testo possono infatti provocare, come hanno illustrato Mayer, Chandler e Sweller e molti altri, un sovraccarico della mente che solo gli studenti più brillanti sono in grado di sopportare, mentre per gli altri sono solo fonte di confusione, al punto da far suggerire all’insegnante pietoso una raccomandazione paradossale («Ma non preoccupatevi di guardare le figure... Vi potrebbero fare confusione»). Lo stesso problema di sovraccarico può porsi quando il testo è articolato in molte parti (finestre, schemi, tabelle, testi in caratteri diversi...): in questi casi è utile che ci sia prima una formazione puntuale all’uso di tale tipo di testo così articolato e che l’introduzione dell’articolazione sia graduale.

  3. Presenza di collegamenti: collegare quello che si deve studiare a quello che già si sa può essere un formidabile facilitatore, perché le informazioni nuove possono essere interpretate e agganciate alle vecchie (gli psicologi cognitivisti parlano di elaborazione top-down) o essere trascurate se in realtà propongono cose note; i collegamenti possono essere favoriti se le informazioni vecchie non vengono esplicitate in modo troppo formale, ma solo come spunti, e accettando di trascurare per un momento le eventuali sottigliezze relative alle differenze fra vecchio e nuovo.

  4. Anticipazioni: conoscenze e interessi preesistenti possono essere riportati alla mente o anche creati attraverso anticipazioni o introduzione di elementi di aspettativa, come avviene in un romanzo appassionante; alcune anticipazioni, come già proponeva Ausubel, possono agire da effettivi organizzatori del nuovo contenuto; questi nuovi organizzatori possono nascere per esempio da

  5. un elenco dei temi che verranno trattati in un capitolo e dall’uso informativo e stimolante di titoli e concetti-chiave: lo studente può essere invitato a fare mente locale ai titoli di capitoli e paragrafi che riguardano la materia di studio. È molto utile anche dare uno sguardo anticipato alla materia non ancora presentata, come nella strategia Preview suggerita da molti metodi di studio, ma occorre che il testo lo invogli.

  6. Enfatizzazione appropriata: un testo ha varie maniere per enfatizzare alcune sue parti, giocando sul corpo, sul carattere tipografico, sul grassetto, sulla presenza di sottotitoli o parole chiave, ma deve evitare di essere troppo rigido, sovrabbondante, incoerente. Infatti si possono evitare effetti boomerang di sovraccarico, confusione, blocco della elaborazione (lo studente potrebbe pensare: «se il testo è già sottolineato o schematizzato, sono esentato a farlo e non sono invogliato a una elaborazione personale» oppure «c’è troppa materia evidenziata e quindi non mi aiuta»). Questo pericolo vale anche per le sia pur utili

  7. informazioni e domande di sintesi, perché l’elaborazione viene ridotta. Lo studente può essere portato a fissarsi su una sintesi già offerta dal testo, mettendo tra parentesi tutta l’elaborazione che ne ha compiuto. Analogamente, lo studente può essere disinvogliato a prodursi delle domande sue, che sono invece notoriamente molto efficaci, come documentato dall’“effetto self-generated questions”.

  8. Riferimenti a possibili approfondimenti (con altri materiali, con la navigazione in rete, seguendo un programma televisivo ecc.): sono sicuramente un ottimo stimolo (soprattutto per lo studente molto interessato e per quello superdotato), ma solo se incisivi e presentati come possibilità in più, mai come obblighi o elementi utilizzati nella valutazione. Ricordare sempre l’importanza dell’autodeterminazione.


Riflessione metacognitiva e stimolazione della motivazione epistemica

La nostra proposta relativa al metodo di studio si discosta totalmente dalle proposte che prevalgono in questo campo perché richiama alla necessità di insegnare a studiare, senza insegnare alcun metodo di studio. Questa affermazione paradossale ha un intento lievemente provocatorio, come conseguenza di una debole irritazione per l’adulto che è convinto non solo di sapere come si studia e si apprende, ma anche di poter insegnare al bambino il metodo che egli deve applicare. Analizzando bambini che si affacciavano alla scuola primaria noi abbiamo invece potuto constatare che già ogni allievo possiede strategie intelligenti ed efficaci, che sa adattare alle varie circostanze, e che insistere sul metodo che secondo i nostri parametri di adulti abbiamo in mente può confonderlo e irrigidirlo.

Ogni allievo possiede già strategie di studio intelligenti ed efficaci, che sa adattare alle varie circostanze

La metodica metacognitiva non insiste su alcun metodo in particolare, ma porta lo studente a riflettere sulle difficoltà che può incontrare la sua mente che apprende, sulle strategie che possiede o su altre nuove che potrebbe utilizzare, sul rapporto fra impegno richiesto e obiettivi che egli si pone, lasciandolo poi muoversi liberamente nell’organizzazione del suo studio. Che l’adulto insista su alcuni obiettivi di apprendimento che il bambino deve raggiungere è giusto, che invece voglia imporre al bambino come la sua mente deve lavorare è prevaricante e controproducente. Abbiamo visto studenti che impegnavano un’ora di studio per creare mappe concettuali su un argomento che sarebbero riusciti con il loro metodo a studiare in dieci minuti o che addirittura sapevano già! La motivazione epistemica è centrale nello studio e guida a sapere di più di un argomento e non certo a girare attorno a temi che risultano noti o poco rilevanti. Lo studente dovrebbe essere sempre interessato a quello che studia e dovrebbe essere metacognitivamente consapevole di ciò e dell’importanza di trovare elementi d’interesse anche in materiale ostico.


Stimolazione all’uso di strategie

Questo non impedisce che l’adulto, e soprattutto l’insegnante, direttamente o attraverso suggerimenti presenti nel testo, possa avere la funzione maieutica di portare a piena consapevolezza del bambino le strategie che possiede e fargliene conoscere altre che si sono dimostrate utili. Le attività metacognitive possono servire a tale scopo, anche sfruttando la mediazione sociale, cui il bambino è sempre molto sensibile: egli è infatti più portato a interessarsi a una strategia e ad applicarla se la vede utilizzata con successo da un compagno piuttosto che se gli viene raccomandata dall’insegnante.
Il repertorio di strategie a disposizione dello studente è ampio (si veda la Scheda 1 di Strumenti e percorsi alla fine del presente contributo) e può essere grossolanamente distinto in strategie esterne, strategie interne comportamentali, strategie interne mentali.

  • Sono strategie esterne il ricorso a dei promemoria (il classico nodo al fazzoletto, una figurina con l’immaginetta di un personaggio da studiare, foglietti di annotazioni, la tavola pitagorica) che ci possiamo portare in giro per favorire la memorizzazione o che, se è consentito, possiamo utilizzare quando necessario.
  • Sono strategie interne comportamentali quelle in cui la mente si aiuta con comportamenti effettivi, come farsi uno schema o una mappa, sottolineare, fare frecce o annotazioni sul testo di studio.
  • Sono strategie interne mentali quelle in cui la mente può lavorare anche senza alcuna azione esplicita, come quelle di immaginare il contenuto di studio, pensare a collegamenti, applicare al caso personale, cercare di ricordare quello che si è studiato.


Suggerimenti specifici di fronte a punti difficili

Lo studio efficace è strategico e flessibile e non disdegna la possibilità di ricorrere anche a trucchi mnemonici per imparare informazioni specifiche difficili da memorizzare. Un’insistenza eccessiva sull’importanza di comprendere ed elaborare il significato profondo del materiale di studio dimentica alcune cose fondamentali, e cioè che:

  1. qualche volta bisogna proprio conoscere l’esatta informazione e questa fa fatica a fissarsi nella memoria: una parola difficile, un nome proprio, una data, una formula;
  2. il possesso esatto di informazioni specifiche può aiutare a organizzare le altre informazioni; per esempio, basta conoscere una data importante per collocare approssimativamente nel tempo episodi storici che l’hanno preceduta o seguita;

  3. al bambino può piacere imparare in modo mnemonico alcune informazioni e più tardi sperimentare che queste poi gli sono rimaste in mente tutta la vita;

  4. attraverso lo sforzo mnemonico la mente è stimolata a organizzarsi e a sviluppare strategie;

  5. l’uso delle mnemotecniche è un buon modo per conoscere meglio la mente e le sue possibilità; per esempio, molte mnemotecniche aiutano a riconoscere l’importanza del recupero (vedi il caso in cui “so, ma non riesco a farmelo venire in mente”).

Noi quindi valutiamo positivamente le mnemotecniche e i trucchi mnemonici che la sapienza didattica ha prodotto negli anni soprattutto per i casi, importanti ma curiosamente ostici alla memoria, con altrettanta sapienza individuati. Sapere che i re e i colli di Roma (o anche i capoluoghi di provincia del Veneto) sono sette aiuta il bambino a rendersi conto se se n’è dimenticato qualcuno, usare la poesiola apparentemente insensata “Ma Con Gran Pena Le Reca Giù” aiuta a ricordare nell’ordine corretto i nomi dei vari tratti della catena alpina.
A questi trucchi mnemonici, costruiti specificamente per memorizzare certe informazioni, si aggiungono poi le mnemotecniche classiche, per esempio quella della parola-chiave (utile soprattutto per l’apprendimento delle parole straniere), quella del codice numero-lettera (preziosa per date e numeri complessi), quella della enfatizzazione immaginativa (per meglio fissare punti apparentemente poco salienti), quelle della filastrocca numerica, o della storia o dei loci (per registrare sequenze ordinate di informazioni) ecc.
Conoscere qualcuna di queste mnemotecniche è divertente, illuminante per capire come funziona la memoria, utile in certi momenti in cui si è in difficoltà o ci si sente poco sicuri di ricordarle. Perché dunque disprezzarle o considerarle irrilevanti? Anche l’insegnante o il testo di studio potrebbero di tanto in tanto fornire, a mo’ di esempio, qualche suggerimento in tale direzione. Spetterà poi allo studente decidere se gli potrà essere utile o meno.


Strumenti e percorsi:


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cornoldi C., De Beni R. (2001), Imparare a studiare-2, Erickson, Trento.
  • Flesch R. (1948), «A new readability yardstick», Journal of Applied Psychology, 32, 221-233.
  • Mammarella N., Cornoldi C., Pazzaglia F. (2005), Psicologia dell’apprendimento multimediale, il Mulino, Bologna.
  • Miyatsu T, Nguyen K, McDaniel M.A. (2018), «Five Popular Study Strategies: Their Pitfalls and Optimal Implementations», Perspectives on Psychological Science, 13(3), 390-407.